L’impegno civile

Il secondo Ottocento – L'autore: Giovanni Pascoli

 T3 

Il gelsomino notturno

Canti di Castelvecchio


Composta in soli tre giorni, tra il 16 e il 19 luglio del 1901, questa poesia appartiene a un sottogenere lirico che i greci chiamavano epitalamio: una sorta di “serenata” cantata presso la stanza nuziale la sera del matrimonio. Il componimento nasce infatti da un motivo occasionale, le nozze di un amico del poeta, Gabriele Briganti, e reca la seguente dedica: «A me pensi Gabriele Briganti risentendo l’odor del fiore che olezza nell’ombra e nel silenzio: l’odore del “gelsomino notturno”. In quelle ore gli sbocciò un fiorellino […] voglio dire, gli nacque Dante Gabriele Giovanni». Queste parole sono un’utile traccia per comprendere il senso profondo della lirica, nella quale la consueta trama di significati simbolici e allusivi rimanda alla realtà di un atto d’amore da cui nasce una nuova vita.


METRO Sei quartine di novenari a rima alternata (ABAB, CDCD ecc.). Il verso 21 è sdrucciolo (la rima è peta[li]/segreta).

        E s’aprono i fiori notturni,
        nell’ora che penso a’ miei cari.
        Sono apparse in mezzo ai viburni
        le farfalle crepuscolari.

5     Da un pezzo si tacquero i gridi:
        là sola una casa bisbiglia.
        Sotto l’ali dormono i nidi,
        come gli occhi sotto le ciglia.

        Dai calici aperti si esala
10   l’odore di fragole rosse.
        Splende un lume là nella sala.
        Nasce l’erba sopra le fosse.

        Un’ape tardiva sussurra
        trovando già prese le celle.
15   La Chioccetta per l’aia azzurra
        va col suo pigolìo di stelle.

 >> pag. 308 

        Per tutta la notte s’esala
        l’odore che passa col vento.
        Passa il lume su per la scala;
20   brilla al primo piano: s’è spento…

        È l’alba: si chiudono i petali
        un poco gualciti; si cova,
        dentro l’urna molle e segreta,
        non so che felicità nuova.

      Dentro il testo

I contenuti tematici

In questo, come in molti componimenti di Pascoli, la dimensione narrativa e i nessi logici sono quasi del tutto annullati, per lasciare posto a un flusso di impressioni colte nella loro immediatezza e depositate in una serie di immagini e suoni carichi di mistero.
È il momento in cui scende la sera, i gelsomini notturni si aprono e nel silenzio si ode solo il soffuso mormorio proveniente da una casa, prima che anche questo leggero rumore si spenga insieme con le luci. Poi, quando spunta l’alba, i petali del fiore tornano a chiudersi per custodire, dentro il loro calice, un nuovo fremito vitale.

Tuttavia le manifestazioni della natura nella poesia rappresentano allegoricamente l’atto d’amore che si consuma nella casa e che la sensibilità poetica e umana di Pascoli richiama solo per allusione, in modo reticente: non è un caso che i veri protagonisti, l’uomo e la donna, non compaiano se non attraverso cenni velati.
Del resto il concepimento non viene celebrato come una festa della vita, ma come un evento inquietante. C’è infatti nella lirica tutto il groviglio di pulsioni, fisiche e psichiche, che tormenta il poeta: la contemplazione della carne, la tremante morbosità, una fantasia eccitata che guarda a distanza l’eros con un misto di fascinazione e disgusto.

Più Pascoli cerca qui di tacitare e sfumare il proprio turbamento, più esso si manifesta attraverso una serie di emergenze. D’altra parte, è il contenuto stesso della poesia a insistere sulla medesima, inconfessabile ossessione, intrecciando nello stesso arco di tempo, che va dalla sera alla mattina, due vicende richiamate per analogia*: il ciclo della fecondazione dei fiori, che culmina nell’odore di fragole rosse (v. 10: si badi, “odore”, non il più immediato “profumo”) e si conclude con l’immagine simbolica dei petali / un poco gualciti (vv. 21-22); e la storia parallela che avviene all’interno della casa, dove l’unione dei due sposi è preparata dai bisbigli e dal lume che si spegne.

Mentre si svolge l’incontro d’amore e si forma una nuova vita, si consuma per contrasto l’esperienza solitaria del poeta che descrive gli altri rimanendo vincolato al solo ricordo dei morti (nell’ora che penso a’ miei cari, v. 2; come gli occhi sotto le ciglia, v. 8; Nasce l’erba sopra le fosse, v. 12), escluso come l’ape che, giunta tardi e isolata dalle compagne, rimane a vagabondare fuori dall’alveare (vv. 13-14).

 >> pag. 309 

L’osservazione o, meglio, l’immaginazione del rito di fecondazione avviene dall’esterno; ma si tratta di una vista nascosta, quasi proibita, come se il poeta stesse spiando una situazione che non potrà mai vivere in prima persona. Egli, incapace di amare, vive nella notte, nel silenzio e nel pensiero della morte; gli sposi-amanti, invece, sono insieme nel chiarore di un lume.

Al tempo stesso la pulsione sessuale innesca, come per un’arcana e occulta corrispondenza, la presenza simbolica della morte. Il tema della fecondazione e della nascita, infatti, pare agitare l’intero universo con una nuova vitalità (Dai calici aperti si esala / l’odore di fragole rosse, vv. 9-10; Per tutta la notte s’esala / l’odore che passa col vento, vv. 17-18), che però si stempera a contrasto con l’ombra silenziosa, ma onnipresente, della morte e con il fondo oscuro delle fosse (v. 12): da esse nasce l’erba e i petali, schiusi per il concepimento, appaiono un poco gualciti (v. 22), mentre l’ovario del fiore, simbolo del grembo materno fecondato, viene definito urna (v. 23), un termine ambiguo che evoca suggestioni al tempo stesso funebri e sacrali.

Tuttavia il poeta tenta stavolta di reprimere lo sgomento, abbandonandosi all’immensità dello spazio notturno, che appare dolce, familiare e amichevole (La Chioccetta per l’aia azzurra / va col suo pigolìo di stelle, vv. 15-16). Come ha scritto Giacomo Debenedetti, l’universo, per una volta rasserenato in una tenera concordia con l’animo del poeta, «sta narrando una specie di grande fiaba azzurra: l’uomo ha concluso, grazie alla felicità d’amore e al senso di vita facile e piena che gliene deriva, una tregua con le difficoltà e coi problemi, ricupera la credulità infantile, per la quale il mondo, anche nelle sue manifestazioni misteriose, è meravigliosa, benevola fiaba».
Bloccato in una condizione infantile e irreale, di cui ha bisogno e in cui si sente protetto, il poeta può così dare il proprio consenso alla trasgressione dell’amore, anche se la felicità nuova covata dentro l’urna molle e segreta del fiore (e della donna) rimane per lui sconosciuta (non so che, v. 24) e almeno in parte persino repellente (si noti l’effetto sgradevole della continua allitterazione* della l nell’ultima strofa: È l’alba; i petali; gualciti; l’urna molle).

Le scelte stilistiche

Abolito ogni rapporto di tipo logico con la realtà, Pascoli non ha interesse a descrivere avvenimenti o fenomeni: lo scopo che si prefigge è creare la suggestione grazie all’analogia, giustapponendo sensazioni e impressioni di diverso tipo per evocare l’atmosfera misteriosa di una notte in cui si mescolano carnalità e turbamento. Proprio per questo prevale uno stile nominale, fatto di sostantivi, aggettivi, immagini riprodotte fonicamente (i vocaboli onomatopeici* dei vv. 6 e 13: bisbiglia; sussurra), contaminazioni di sfere sensoriali diverse (le sinestesie* dei vv. 10 e 16: odore di fragole rosse; pigolìo di stelle) che enfatizzano il valore della percezione.

Le libere associazioni del poeta tendono a creare una situazione indefinita: a bisbigliare non sono le persone ma la casa, in una metonimia* al v. 6; non dormono gli uccellini ma i nidi (v. 7); la sacralità violata dell’urna molle e segreta (v. 23) non è detta in termini chiari ma vaghi e reticenti (non so che felicità nuova, v. 24). Su tutto questo repertorio di immagini si posa lo sguardo selettivo del poeta, che trasferisce su innocenti e neutrali elementi della natura la propria voce e i propri pensieri.

 >> pag. 310 

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Indica le coordinate spaziali e temporali entro le quali si svolge l’azione evocata nella poesia.


2 A che cosa allude la strofa finale?

ANALIZZARE

3 Il tema della casa è ricorrente nella poesia di Pascoli: individua in questo testo le espressioni che vi si riferiscono.


4 In questo componimento compare, tra le diverse figure retoriche, anche una similitudine. Rintracciala e spiegane il significato.


5 Nella seconda strofa sono presenti due metonimie. Individuale e precisa il loro significato.


6 Quale funzione sintattica svolgono i due che presenti nei seguenti versi: E s’aprono i fiori notturni, / nell’ora che penso a’ miei cari (vv. 1-2) e Per tutta la notte s’esala / l’odore che passa col vento (vv. 17-18)?


7 Elenca le parole che rimandano, direttamente o indirettamente, alla vita e alla morte.


8 La lirica è intessuta di percezioni olfattive, acustiche e tattili. Trascrivi nella tabella i versi nei quali sono espresse tali percezioni.


Percezioni
Versi
olfattive


acustiche


tattili


INTERPRETARE

9 Quale funzione hanno i puntini di sospensione che chiudono il v. 20?


L’impegno civile

Negli ultimi anni della sua parabola letteraria, Pascoli coltiva l’abitudine di comporre poesie d’occasione, a commento di avvenimenti storici o di attualità. Questa produzione, di stampo quasi “giornalistico”, può apparire molto lontana dalla sua vocazione, soprattutto poetica.

Pascoli però desidera ritagliarsi un ruolo pubblico, che lo ponga in contatto con la massa dei lettori: per quanto lontano dai salotti e dalla mondanità della vita culturale nazionale, egli non è infatti insensibile all’idea di competere, sia pure su un terreno per lui sfavorevole, con il rivale d’Annunzio, abile comunicatore, sempre al centro dell’attenzione.

Ma c’è anche una ragione ideologico-culturale più profonda. Nel Fanciullino (► p. 296) Pascoli scrive che «il poeta è colui che esprime la parola che tutti avevano sulle labbra e che nessuno avrebbe detta»: ciò significa che a lui non si chiede solo di esprimere la propria sensibilità soggettiva, ma anche di interpretare il sentimento collettivo, dando voce alle aspirazioni e ai bisogni dell’intera comunità popolare e nazionale.
Raccolte come Odi e inni, Le canzoni di Re Enzio e Poemi del Risorgimento esprimono questa sua ambizione di cantore della Storia e delle glorie nazionali; ambizione che lo porta, per esempio, a celebrare con il tono populistico della Grande proletaria si è mossa (1911) l’impresa coloniale libica come una soluzione al dramma dell’emigrazione. Il poeta conferisce infatti al proprio nazionalismo una motivazione umanitaristica, affermando il diritto degli Stati meno ricchi (come l’Italia, che è definita non a caso «proletaria ») a conquistare nuove terre in cui i contadini possano trasferirsi. In tal modo gli italiani, costretti a migliaia a emigrare in cerca di fortuna al di là dell’oceano e spesso sottoposti a umiliazioni e soprusi, possono riacquistare dignità e lavoro, rinnovando la gloriosa tradizione di un popolo civilizzatore.

 >> pag. 311 

Anche prima della campagna libica, però, non mancano occasioni nelle quali Pascoli riversa sulla pagina quello spirito di fratellanza già prefigurato nel socialismo invocato nel Fanciullino. La pace sociale viene auspicata entro un invito alla solidarietà e alla condivisione al di là e al di sopra delle classi.
Nel recuperare la lezione leopardiana della Ginestra, il poeta confeziona così un generico messaggio di concordia tra gli uomini che non si inserisce però in una compiuta ideologia politica: egli infatti non supera mai l’orizzonte psicologico del nostalgico cantore dei buoni e semplici valori contadini, neutralizzando all’interno di un’ingenua dimensione idilliaca i veri e duri conflitti che agitano l’Italia del suo tempo.
In tal modo anche il nazionalismo che affiora in alcuni versi, lettere e discorsi non coincide con un’autentica e aggressiva volontà di potenza, ma con la viscerale difesa (anche con le armi della guerra, se necessario) di una nazione e di un popolo oppressi. Il modello privato del «nido», da proteggere gelosamente dalle ingerenze degli estranei, si proietta così su quello pubblico della patria, da esaltare con passione e sentimento nella strenua difesa delle radici, dell’identità e delle tradizioni.

 T4 

Italy

Primi poemetti, Canto primo, I-V


Il poemetto racconta in due canti di complessivi 450 versi la storia della piccola Maria-Molly, che dagli Stati Uniti viene portata in Italia, nel paese d’origine del padre, nella speranza che il clima mite la possa guarire dalla tubercolosi. Qui la bambina conosce un mondo diverso da quello in cui ha vissuto fino a quel momento e fa fatica ad ambientarsi. Poi, però, a poco a poco il solco che la divide dai suoi parenti si assottiglia, fino a scomparire: la bambina guarisce e, prima di partire, promette di tornare, un giorno, da quella che ora riconosce come la sua famiglia.


METRO Terzine dantesche di endecasillabi a rima incatenata (ABA BCB CDC ecc.). Ogni strofa termina con un verso isolato che rima con il penultimo della terzina precedente.

          Sacro all’Italia raminga*

          I
          A Caprona, una sera di febbraio,
          gente veniva, ed era già per l’erta,
          veniva su da Cincinnati, Ohio.

          La strada, con quel tempo, era deserta.
5       Pioveva, prima adagio, ora a dirotto,
          tamburellando su l’ombrella aperta.

 >> pag. 312 

          La Ghita e Beppe di Taddeo lì sotto
          erano, sotto la cerata ombrella
          del padre: una ragazza, un giovinotto.

10     E c’era anche una bimba malatella,
          in collo a Beppe, e di su la sua spalla
          mesceva giù le bionde lunghe anella.

          Figlia d’un altro figlio, era una talla
          del ceppo vecchio nata là: Maria:
15     d’ott’anni: aveva il peso d’una galla.

          Ai ritornanti per la lunga via,
          già vicini all’antico focolare,
          la lor chiesa sonò l’Avemaria.

          Erano stanchi! avean passato il mare!
20     Appena appena tra la pioggia e il vento
          l’udiron essi or sì or no sonare.

          Maria cullata dall’andar su lento
          sembrava quasi abbandonarsi al sonno,
          sotto l’ombrella. Fradicio e contento

25     veniva piano dietro tutti il nonno.

          II
          Salivano, ora tutti dietro il nonno,
          la scala rotta. Il vecchio Lupo in basso
          non abbaiò; scodinzolò tra il sonno.

          E tentennò sotto il lor piede il sasso
30     davanti l’uscio. C’era sempre stato
          presso la soglia, per aiuto al passo.

          E l’uscio, come sempre, era accallato.
          Lì dentro, buio come a chiuder gli occhi.
          Ed era buia la cucina allato.

 >> pag. 313 

35     La mamma? Forse scesa per due ciocchi…
          forse in capanna a mòlgere… No, era
          al focolare sopra i due ginocchi.

          Avea pulito greppia e rastrelliera;
          ora, accendeva… Udì sonare fioco:
40     era in ginocchio, disse la preghiera.

          Appariva nel buio a poco a poco.
          «Mamma, perché non v’accendete il lume?
          Mamma, perché non v’accendete il fuoco?»

          «Gesù! che ho fatto tardi col rosume…»
45     E negli stecchi ella soffiò, mezzo arsi;
          e le sue rughe apparvero al barlume.

          E raccattava, senza ancor voltarsi,
          tutta sgomenta, avanti a sé, la mamma,
          brocche, fuscelli, canapugli, sparsi

50     sul focolare. E si levò la fiamma.

          III
          E i figli la rividero alla fiamma
          del focolare, curva, sfatta, smunta.
          «Ma siete trista! siete trista, o mamma!»

          Ed accostando agli occhi, essa, la punta
55     del pannelletto, con un fil di voce:
          «E il Cecco è fiero? E come va l’Assunta?»

          «Ma voi! Ma voi!» «Là là, con la mia croce».
          I muri grezzi apparvero col banco
          vecchio e la vecchia tavola di noce.

60     Di nuovo, un moro, con non altro bianco
          che gli occhi e i denti, era incollato al muro,
          la lenza a spalla ed una mano al fianco:

 >> pag. 314 

          roba di là. Tutto era vecchio, scuro.
          S’udiva il soffio delle vacche, e il sito
65     della capanna empiva l’abituro.

          Beppe sedé col capo indolenzito
          tra le due mani. La bambina bionda
          ora ammiccava qua e là col dito.

          Parlava, e la sua nonna, tremebonda,
70     stava a sentire e poi dicea: «Non pare
          un luì quando canta tra la fronda?»

          Parlava la sua lingua d’oltremare:
          «… a chicken-house» «un piccolo luì…»
          «… for mice and rats» «che goda a cinguettare,

75     zi zi» «Bad country, Ioe, your Italy!»

          IV
          ITALY, penso, se la prese a male.
          Maria, la notte (era la Candelora),
          sentì dei tonfi come per le scale…

          tre quattro carri rotolarono… Ora
80     vedea, la bimba, ciò che n’era scorso!
          the snow! la neve, a cui splendea l’aurora.

          Un gran lenzuolo ricopriva il torso
          dell’Omo-morto. Nel silenzio intorno
          parea che singhiozzasse il Rio dell’Orso.

85     Parea che un carro, allo sbianchir del giorno,
          ridiscendesse l’erta con un lazzo
          cigolìo. Non un carro, era uno storno,

 >> pag. 315 

          uno stornello in cima del Palazzo
          abbandonato, che credea che fosse
90     marzo, e strideva: marzo, un sole e un guazzo!

          Maria guardava. Due rosette rosse
          aveva, aveva lagrime lontane
          negli occhi, un colpo ad or ad or di tosse.

          La nonna intanto ripetea: «Stamane
95     fa freddo!» Un bianco borracciol consunto
          mettea sul desco ed affettava il pane.

          Pane di casa e latte appena munto.
          Dicea: «Bambina, state al fuoco: nieva!
          nieva!» E qui Beppe soggiungea compunto:

100  «Poor Molly! qui non trovi il pai con fleva!»

          V
          Oh! no: non c’era lì né pie flavour
          né tutto il resto. Ruppe in un gran pianto:
          «Ioe, what means nieva? Never? Never? Never?»

          Oh! no: starebbe in Italy sin tanto
105  ch’ella guarisse: one month or two, poor Molly!
          E Ioe godrebbe questo po’ di scianto!

          Mugliava il vento che scendea dai colli
          bianchi di neve. Ella mangiò, poi muta
          fissò la fiamma con gli occhioni molli.

110  Venne, sapendo della lor venuta,
          gente, e qualcosa rispondeva a tutti
          Ioe, grave: «Oh yes, è fiero… vi saluta…

          molti bisini, oh yes… No, tiene un frutti- 
          stendo… Oh yes, vende checche, candi, scrima…
115  Conta moneta: può campar coi frutti…

 >> pag. 316 

          Il baschetto non rende come prima…
          Yes, un salone, che ci ha tanti bordi…
          Yes, l’ho rivisto nel pigliar la stima…»

          Il tramontano discendea con sordi
120  brontoli. Ognuno si godeva i cari
          ricordi, cari ma perché ricordi:

          quando sbarcati dagli ignoti mari
          scorrean le terre ignote con un grido
          straniero in bocca, a guadagnar danari

125  per farsi un campo, per rifarsi un nido…

      Dentro il testo

I contenuti tematici

Il tema dell’emigrazione è qui tradotto in un vero e proprio racconto, una narrazione di cronaca familiare ispirata a un episodio reale di cui il poeta fu testimone nel 1895 a Caprona, il borgo in cui viveva: il ritorno dagli Stati Uniti di una bambina (Maria o Molly, che nella realtà si chiamava Isabella), nipote di Bartolomeo Caproni detto Zi’ Meo (il fattore di casa Pascoli), figlia di emigranti e venuta in Italia per curare la tubercolosi.

Il carattere narrativo del poemetto consente di dividere il brano in cinque sequenze ben distinte: l’arrivo dei tre emigranti (Margherita e Giuseppe di Taddeo, detti Ghita e Beppe, e Maria-Molly) accompagnati dal nonno (I); l’ingresso nella vecchia casa e l’incontro con la nonna che accende il fuoco (II); il colloquio con la nonna e la descrizione della casa, con la sua miseria e il suo squallore (III); la nevicata notturna e la scoperta, al mattino, del paesaggio innevato (IV); l’incontro di Giuseppe con alcuni compaesani che raccolgono informazioni sulla vita degli amici rimasti in America (V).

Il tema fondamentale è il rapporto tra due civiltà lontane: quella dell’immobile provincia agricola toscana e quella della moderna America, che ha sconvolto vita, costumi e lingua degli emigranti. Molly fa fatica a entrare in contatto con un ambiente molto diverso dal suo: non parla italiano, le condizioni di vita del borgo le sembrano – e in effetti sono – misere, il rapporto con la nonna è inizialmente impossibile per la differenza di età, ma soprattutto di lingua, abitudini, cultura e mentalità. Fra i due mondi, insomma, la comunicazione è assai difficile, come si capisce dall’equivoco sorto intorno ai commenti negativi di Molly (che definisce la casa una chicken-house, un pollaio, for mice and rats, adatta solo ai topi), che la nonna scambia per teneri cinguettii.
Eppure nella seconda parte della poesia (qui non antologizzata) la bambina, mentre la sua salute migliora giorno dopo giorno, scopre il telaio della nonna e comincia a trascorrere ore intere con lei, aiutandola nel lavoro. Insomma, saprà riconoscere, come in virtù di un inconscio sentimento di parentela, i luoghi, i volti e gli affetti che gli emigranti conservano nella memoria.

 >> pag. 317 

L’emigrazione è per Pascoli una realtà dolorosa, un evento lacerante che scardina il «nido » familiare e determina un profondo trauma interiore in quanto separa dalla comunità contadina d’origine, dalla famiglia e da una cultura secolare. Tuttavia il ritorno al «nido» (alla famiglia, ma anche alla patria) può donare agli emigranti, che hanno sofferto le pene della lontananza e dell’esilio, la salute e la serenità perdute: la malattia e la guarigione di Molly vogliono rappresentare proprio questo.
In tal senso la trama del poemetto non nasconde, attraverso una vicenda esemplare che permette di assimilarlo a un apologo edificante, il desiderio dell’autore di cimentarsi con una poesia sociale dalle chiare valenze ideologiche. Quello di Molly-Maria è infatti una sorta di percorso di formazione: la bambina nata in America, dopo l’iniziale disgusto per la povertà della sua famiglia, vi riscopre i suoi stessi valori e la sua stessa identità. Non a caso, ai bambini che le chiederanno se un giorno tornerà in Italia, lei risponderà «Sì», con la prima parola italiana che pronuncia. Il tema del «nido» si è così dilatato, dall’originario significato autobiografico ed esistenziale, a quello sociale e politico.

Le scelte stilistiche

Troviamo nello stile un’amplificazione epica delle scene narrative (che hanno il ritmo di un’arcaica saga contadina), l’indeterminatezza spazio-temporale della vicenda (nonostante l’autenticità dei toponimi) e una certa frammentazione dei dialoghi (che sembrano rimanere sospesi fra ampie zone di silenzio).
Assai originale è soprattutto l’incastro plurilinguistico, ottenuto grazie all’inserzione di vocaboli ed espressioni di diversa matrice: accanto al lessico dialettale (talla, v. 13; mòlgere, v. 36; banco, v. 58; nieva, v. 98) e a tasselli della lingua colta della tradizione (erta, v. 2; anella, v. 12; galla, v. 15; sbianchir, v. 85; lazzo, v. 86) e del vocabolario tecnico contadino (brocche, fuscelli, canapugli, v. 49), Pascoli immette nel linguaggio poetico l’idioma italo-americano, senza però alcun intento caricaturale: non si tratta dell’inglese standard, ma di una variante americana del registro familiare, su cui si innestano gli echi della parlata italiana (pai con fleva, v. 100; bisini, v. 113).

Ma il plurilinguismo pascoliano non rimanda solo a una scelta di riproduzione del reale di stampo veristico. L’inglese da una parte e l’italiano e il dialetto garfagnino dall’altra simboleggiano infatti due mondi antitetici, con i rispettivi valori, in quanto la lingua è un fattore fondamentale dell’identità di una comunità: la nuova cultura dei figli (cioè delle vittime) dell’emigrazione, che hanno reciso il legame con la propria storia, di contro alla cultura originaria, espressione di una visione del mondo ancora pura e non corrotta dall’industrializzazione e dal capitalismo.
In mezzo a questi due poli sta il linguaggio ibrido degli emigranti di prima generazione (Ghita e Beppe), che nell’ostinata resistenza a non perdere del tutto il patrimonio della propria lingua rivelano di non aver abbandonato il desiderio di tornare in patria, tra gli affetti più cari, per rifarsi un nido (v. 125).

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Riassumi il contenuto dei versi antologizzati.

ANALIZZARE

2 Riconosci nel testo vocaboli ed espressioni rispettivamente in inglese, italo-americano e dialetto.

INTERPRETARE

3 Quali elementi positivi emergono nel racconto dei compaesani di Ioe-Beppe reduci dall’America?


I colori della letteratura - volume 3
I colori della letteratura - volume 3
Dal secondo Ottocento a oggi