I colori della letteratura - volume 3

Il secondo Ottocento – L'autore: Giovanni Verga

 T4 

La roba

Novelle rusticane


La novella – pubblicata inizialmente nel dicembre del 1880 nella “Rassegna settimanale di politica, scienze, lettere e arti” e poi compresa nella raccolta Novelle rusticane – ha come protagonista Mazzarò, un uomo che, da bracciante sfruttato, ha raggiunto la ricchezza, appropriandosi a poco a poco delle terre e dei beni del suo padrone.

Il viandante1 che andava lungo il Biviere di Lentini,2 steso là come un pezzo di mare
morto, e le stoppie riarse della Piana di Catania, e gli aranci sempre verdi di Francofonte,
e i sugheri grigi di Resecone, e i pascoli deserti di Passaneto e di Passanitello,3
se domandava, per ingannare la noia della lunga strada polverosa, sotto il cielo fosco
5 dal caldo, nell’ora in cui i campanelli della lettiga4 suonano tristamente nell’immensa
campagna, e i muli lasciano ciondolare il capo e la coda, e il lettighiere5 canta la
sua canzone malinconica per non lasciarsi vincere dal sonno della malaria: «Qui di
chi è?», sentiva rispondersi: «Di Mazzarò». E passando vicino a una fattoria grande
quanto un paese, coi magazzini che sembrano chiese, e le galline a stormi accoccolate
10 all’ombra del pozzo, e le donne che si mettevano la mano sugli occhi6 per vedere
chi passava: «E qui?». «Di Mazzarò». E cammina e cammina, mentre la malaria vi
pesava sugli occhi,7 e vi scuoteva all’improvviso l’abbaiare di un cane, passando per
una vigna che non finiva più, e si allargava sul colle e sul piano, immobile, come gli
pesasse addosso la polvere, e il guardiano sdraiato bocconi sullo schioppo,8 accanto
15 al vallone, levava il capo sonnacchioso, e apriva un occhio per vedere chi fosse: «Di
Mazzarò». Poi veniva un uliveto folto come un bosco, dove l’erba non spuntava mai,
e la raccolta durava fino a marzo. Erano gli ulivi di Mazzarò. E verso sera, allorché
il sole tramontava rosso come il fuoco, e la campagna si velava di tristezza, si incontravano
le lunghe file degli aratri di Mazzarò che tornavano adagio adagio dal
20 maggese,9 e i buoi che passavano il guado lentamente, col muso nell’acqua scura; e si
vedevano nei pascoli lontani della Canziria,10 sulla pendice brulla, le immense macchie
biancastre delle mandre di Mazzarò; e si udiva il fischio del pastore echeggiare
nelle gole, e il campanaccio che risuonava ora sì ed ora no, e il canto solitario perduto
nella valle. «Tutta roba di Mazzarò». Pareva che fosse di Mazzarò perfino il sole
25 che tramontava, e le cicale che ronzavano, e gli uccelli che andavano a rannicchiarsi
col volo breve dietro le zolle, e il sibilo dell’assiolo11 nel bosco. Pareva che Mazzarò
fosse disteso tutto grande per quanto era grande la terra, e che gli si camminasse sulla
pancia. – Invece egli era un omiciattolo, diceva il lettighiere, che non gli avreste dato
un baiocco,12 a vederlo; e di grasso non aveva altro che la pancia, e non si sapeva
30 come facesse a riempirla, perché non mangiava altro che due soldi di pane; e sì ch’era
ricco come un maiale; ma aveva la testa ch’era un brillante,13 quell’uomo.

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Infatti,14 colla testa come un brillante, aveva accumulato tutta quella roba, dove
prima veniva da mattina a sera a zappare, a potare, a mietere; col sole, coll’acqua,
col vento; senza scarpe ai piedi, e senza uno straccio di cappotto; che tutti si rammentavano
35 di avergli dato dei calci nel di dietro, quelli che ora gli davano dell’eccellenza,
e gli parlavano col berretto15 in mano. Né per questo egli era montato in
superbia, adesso che tutte le eccellenze del paese erano suoi debitori; e diceva che
eccellenza vuol dire povero diavolo e cattivo pagatore;16 ma egli portava ancora il
berretto, soltanto lo portava di seta nera, era la sua sola grandezza, e da ultimo era
40 anche arrivato a mettere il cappello di feltro, perché costava meno del berretto di
seta. Della roba ne possedeva fin dove arrivava la vista, ed egli aveva la vista lunga
– dappertutto, a destra e a sinistra, davanti e di dietro, nel monte e nella pianura.
Più di cinquemila bocche, senza contare gli uccelli del cielo e gli animali della
terra, che mangiavano sulla sua terra, e senza contare la sua bocca la quale mangiava
45 meno di tutte, e si contentava di due soldi di pane e un pezzo di formaggio,
ingozzato in fretta e in furia, all’impiedi, in un cantuccio del magazzino grande
come una chiesa, in mezzo alla polvere del grano, che non ci si vedeva, mentre i
contadini scaricavano i sacchi, o a ridosso di un pagliaio, quando il vento spazzava
la campagna gelata, al tempo del seminare, o colla testa dentro un corbello,17
50 nelle calde giornate della messe.18 Egli non beveva vino, non fumava, non usava
tabacco, e sì che del tabacco ne producevano i suoi orti lungo il fiume, colle foglie
larghe ed alte come un fanciullo, di quelle che si vendevano a 95 lire. Non aveva il
vizio del giuoco, né quello delle donne. Di donne non aveva mai avuto sulle spalle
che sua madre, la quale gli era costata anche 12 tarì,19 quando aveva dovuto farla
55 portare al camposanto.
Era che ci aveva pensato e ripensato tanto a quel che vuol dire la roba, quando
andava senza scarpe a lavorare nella terra che adesso era sua, ed aveva provato quel
che ci vuole a fare i tre tarì della giornata, nel mese di luglio, a star colla schiena
curva 14 ore, col soprastante20 a cavallo dietro, che vi piglia a nerbate se fate di rizzarvi
60 un momento. Per questo non aveva lasciato passare un minuto della sua vita
che non fosse stato impiegato a fare della roba;21 e adesso i suoi aratri erano numerosi
come le lunghe file dei corvi che arrivano in novembre; e altre file di muli,
che non finivano più, portavano le sementi; le donne che stavano accoccolate nel
fango, da ottobre a marzo, per raccogliere le sue olive, non si potevano contare,
65 come non si possono contare le gazze che vengono a rubarle; e al tempo della vendemmia
accorrevano dei villaggi interi alle sue vigne, e fin dove sentivasi cantare,
nella campagna, era per la vendemmia di Mazzarò. Alla messe poi i mietitori di
Mazzarò sembravano un esercito di soldati, che per mantenere tutta quella gente,
col biscotto22 alla mattina e il pane e l’arancia amara a colazione, e la merenda, e
70 le lasagne alla sera, ci volevano dei denari a manate, e le lasagne si scodellavano
nelle madie23 larghe come tinozze. Perciò adesso, quando andava a cavallo dietro

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la fila dei suoi mietitori, col nerbo24 in mano, non ne perdeva d’occhio uno solo, e
badava a ripetere: «Curviamoci, ragazzi!». Egli era tutto l’anno colle mani in tasca
a spendere, e per la sola fondiaria25 il re si pigliava tanto che a Mazzarò gli veniva
75 la febbre, ogni volta.
Però ciascun anno tutti quei magazzini grandi come chiese si riempivano di
grano che bisognava scoperchiare il tetto per farcelo capire26 tutto; e ogni volta che
Mazzarò vendeva il vino, ci voleva più di un giorno per contare il denaro, tutto di
12 tarì d’argento, ché lui non ne voleva di carta sudicia27 per la sua roba, e andava
80 a comprare la carta sudicia soltanto quando aveva da pagare il re,28 o gli altri; e alle
fiere gli armenti di Mazzarò coprivano tutto il campo, e ingombravano le strade,
che ci voleva mezza giornata per lasciarli sfilare, e il santo, colla banda,29 alle volte
dovevano mutar strada, e cedere il passo.
Tutta quella roba se l’era fatta lui, colle sue mani e colla sua testa, col non dormire
85 la notte, col prendere la febbre dal batticuore o dalla malaria, coll’affaticarsi
dall’alba a sera, e andare in giro, sotto il sole e sotto la pioggia, col logorare i suoi
stivali e le sue mule – egli solo non si logorava, pensando alla sua roba, ch’era tutto
quello ch’ei avesse al mondo; perché non aveva né figli, né nipoti, né parenti; non
aveva altro che la sua roba. Quando uno è fatto così, vuol dire che è fatto per la
90 roba.
Ed anche la roba era fatta per lui, che pareva ci avesse la calamita, perché la
roba vuol stare con chi sa tenerla, e non la sciupa come quel barone che prima
era stato il padrone di Mazzarò, e l’aveva raccolto per carità nudo e crudo ne’ suoi
campi, ed era stato il padrone di tutti quei prati, e di tutti quei boschi, e di tutte
95 quelle vigne e tutti quegli armenti, che quando veniva nelle sue terre a cavallo coi
campieri30 dietro, pareva il re, e gli preparavano anche l’alloggio e il pranzo, al
minchione, sicché ognuno sapeva l’ora e il momento in cui doveva arrivare, e non
si faceva sorprendere colle mani nel sacco. «Costui vuol essere rubato per forza!»,
diceva Mazzarò, e schiattava dalle risa quando il barone gli dava dei calci nel di
100 dietro, e si fregava la schiena colle mani, borbottando: «Chi è minchione se ne stia
a casa», «la roba non è di chi l’ha, ma di chi la sa fare». Invece egli, dopo che ebbe
fatta la sua roba, non mandava certo a dire se veniva a sorvegliare la messe, o la
vendemmia, e quando, e come; ma capitava all’improvviso, a piedi o a cavallo alla
mula, senza campieri, con un pezzo di pane in tasca; e dormiva accanto ai suoi
105 covoni, cogli occhi aperti, e lo schioppo fra le gambe.
In tal modo a poco a poco Mazzarò divenne il padrone di tutta la roba del
barone; e costui uscì31 prima dall’uliveto, e poi dalle vigne, e poi dai pascoli, e
poi dalle fattorie e infine dal suo palazzo istesso, che non passava giorno che non
firmasse delle carte bollate,32 e Mazzarò ci metteva sotto la sua brava croce.33 Al
110 barone non rimase altro che lo scudo di pietra34 ch’era prima sul portone, ed era
la sola cosa che non avesse voluto vendere, dicendo a Mazzarò: «Questo solo, di
tutta la mia roba, non fa per te». Ed era vero; Mazzarò non sapeva che farsene, e

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non l’avrebbe pagato due baiocchi. Il barone gli dava ancora del tu,35 ma non gli
dava più calci nel di dietro.
115 «Questa è una bella cosa, d’avere la fortuna che ha Mazzarò!», diceva la gente;
e non sapeva quel che ci era voluto ad acchiappare quella fortuna: quanti pensieri,
quante fatiche, quante menzogne, quanti pericoli di andare in galera, e come quella
testa che era un brillante avesse lavorato giorno e notte, meglio di una macina
del mulino, per fare la roba; e se il proprietario di una chiusa limitrofa si ostinava
120 a non cedergliela, e voleva prendere pel collo Mazzarò, dover trovare uno stratagemma
per costringerlo a vendere, e farcelo cascare, malgrado la diffidenza contadinesca.
Ei gli andava a vantare, per esempio, la fertilità di una tenuta la quale
non produceva nemmeno lupini, e arrivava a fargliela credere una terra promessa,
sinché il povero diavolo si lasciava indurre a prenderla in affitto, per specularci sopra,
125 e ci perdeva poi il fitto, la casa e la chiusa, che Mazzarò se l’acchiappava36 – per
un pezzo di pane. – E quante seccature Mazzarò doveva sopportare! – I mezzadri
che venivano a lagnarsi delle malannate,37 i debitori che mandavano in processione
le loro donne a strapparsi i capelli e picchiarsi il petto per scongiurarlo di non
metterli in mezzo alla strada, col pigliarsi il mulo o l’asinello, che non avevano da
130 mangiare.
«Lo vedete quel che mangio io?», rispondeva lui, «pane e cipolla! e sì che ho
i magazzini pieni zeppi, e sono il padrone di tutta questa roba». E se gli domandavano
un pugno di fave, di tutta quella roba, ei diceva: «Che, vi pare che l’abbia
rubata? Non sapete quanto costano per seminarle, e zapparle, e raccoglierle?». E se
135 gli domandavano un soldo rispondeva che non l’aveva.
E non l’aveva davvero. Ché in tasca non teneva mai 12 tarì, tanti ce ne volevano
per far fruttare tutta quella roba, e il denaro entrava ed usciva come un fiume dalla
sua casa. Del resto a lui non gliene importava del denaro; diceva che non era roba,
e appena metteva insieme una certa somma, comprava subito un pezzo di terra;
140 perché voleva arrivare ad avere della terra quanta ne ha il re, ed esser meglio del re,
ché il re non può né venderla, né dire ch’è sua.
Di una cosa sola gli doleva, che cominciasse a farsi vecchio, e la terra doveva
lasciarla là dov’era. Questa è una ingiustizia di Dio, che dopo di essersi logorata
la vita ad acquistare della roba, quando arrivate ad averla, che ne vorreste ancora,
145 dovete lasciarla! E stava delle ore seduto sul corbello, col mento nelle mani, a guardare
le sue vigne che gli verdeggiavano sotto gli occhi, e i campi che ondeggiavano
di spighe come un mare, e gli oliveti che velavano la montagna come una nebbia,
e se un ragazzo seminudo gli passava dinanzi, curvo sotto il peso come un asino
stanco, gli lanciava il suo bastone fra le gambe, per invidia, e borbottava: «Guardate
150 chi ha i giorni lunghi! costui che non ha niente!».
Sicché quando gli dissero che era tempo di lasciare la sua roba, per pensare
all’anima, uscì nel cortile come un pazzo, barcollando, e andava ammazzando a
colpi di bastone le sue anitre e i suoi tacchini, e strillava: «Roba mia, vientene con
me!».

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Dal secondo Ottocento a oggi