La poesia

Il secondo Novecento e gli anni Duemila – L'autore: Pier Paolo Pasolini

Gli anni Settanta sono quelli della disperazione: Pasolini constata negli italiani una «mutazione antropologica», che li ha condotti – a contatto con la modernità, il benessere e la civiltà dei consumi – a perdere ogni carattere individuale e spirituale. Tale processo degenerativo è spesso al centro dei suoi articoli, pubblicati dal 1973 sul “Corriere della Sera”, in una collaborazione che prosegue fino alla sua morte e gli offre una costante visibilità pubblica.
Nella raccolta di versi La nuova gioventù (1974) ha modo di tessere un’amara palinodia delle sue prime poesie friulane, mentre lavora accanitamente a Petrolio, un “non-romanzo” che si addentra nei misteri e nei complotti della Storia italiana a lui contemporanea. Nel suo ultimo film Salò (1975) il mondo gli appare ormai come una sorta di campo di concentramento globale.

Nella notte del 1° novembre 1975 Pasolini viene assassinato all’idroscalo di Ostia. Al processo, l’unico imputato, Pino Pelosi, è condannato per omicidio «in concorso con ignoti». All’inizio la pista più accreditata sembra quella legata all’ambiente della prostituzione omosessuale, ma in seguito sono emerse diverse incongruenze, tanto da far ipotizzare che i mandanti venissero da altri ambienti: politici, economici o mafiosi, come conseguenza delle opinioni sempre più scomode da lui espresse e delle inchieste, denunce e polemiche di cui si faceva portatore. Certo è che dopo tanti anni il mistero di quella tragica notte rimane fitto, e forse per sempre inestricabile.

2 Le opere

La poesia

Pasolini nasce come poeta, e quindi è da questo aspetto della sua multiforme produzione che conviene partire. La scrittura poetica viene del resto da lui percepita «come scrittura privilegiata, luogo dell’assoluto, dove ogni asserzione diventa verità e il privato può presentarsi come universale. A questa perenne tensione verso la poesia vanno ricondotte anche tutte le altre sue scritture, compreso il cinema. In numerosi interventi egli ascrive le sue molteplici esperienze a questa volontà poetica ininterrotta e onninclusiva» (Bandini).

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La produzione in dialetto friulano

Poesie a Casarsa

La prima opera pubblicata di Pasolini è la raccolta Poesie a Casarsa, 14 componimenti usciti alla fine di luglio del 1942 in trecento copie. Sono poesie in dialetto friulano, il che non è indice però della scelta di un registro basso e solo colloquiale, essendo presenti molti riferimenti alla tradizione letteraria: dalla poesia provenzale all’Ottocento italiano di Leopardi o di Tommaseo, dal Novecento di Ungaretti a sparse citazioni da Rimbaud, Mallarmé, Verlaine, Lorca.
I temi di questi testi rimandano a Casarsa, il paese friulano della madre, luogo delle vacanze della famiglia nei primi anni Quaranta, ma anche luogo di fuga e di isolamento, di letture e di esperienze. Sono versi che parlano di spensieratezza, di gioia di vivere, di innocenza, di un rapporto diretto con la natura; ma anche di un serpeggiante turbamento, di una certa inquietudine esistenziale, della paura della morte. A questo secondo filone tematico, diciamo “negativo”, si connette il motivo di una religiosità non pacificata e non rasserenante.

La meglio gioventù

Nel 1954 esce la raccolta La meglio gioventù, che comprende, oltre alle Poesie a Casarsa (linguisticamente modificate), tutta la produzione in friulano che va dagli anni 1939-1940 al 1953. In questa raccolta (il cui titolo è tratto da un canto degli Alpini, La mejo zoventù la va soto tera) compaiono precisi riferimenti alla Seconda guerra mondiale e alla Resistenza, che rivelano, attraverso il ricorso al “noi”, la partecipazione del poeta alla Storia collettiva.

La produzione in lingua italiana

L’usignolo della Chiesa Cattolica

Nel 1958 esce la raccolta L’usignolo della Chiesa Cattolica, contenente testi in lingua italiana composti fra il 1943 e il 1949. Il tema principale è quello religioso. Si tratta però di una religiosità “decadente”, in cui ricorre il motivo di un turbamento erotico e sessuale.

Le ceneri di Gramsci

La raccolta Le ceneri di Gramsci (1957) comprende 11 poemetti scritti da Pasolini negli anni Cinquanta, di vario argomento, ma tutti, in qualche modo, legati alla sua scoperta del sottoproletariato romano delle borgate.

La religione del mio tempo

L’opera, edita nel 1961, raccoglie poesie scritte nella seconda metà degli anni Cinquanta. Molte sono le polemiche contenute in diversi epigrammi.

Poesia in forma di rosa

Uscito nel 1964, il volume comprende componimenti scritti tra il 1961 e il 1963. Si tratta della più ampia raccolta di versi di Pasolini e di un’opera estremamente eterogenea anche quanto ai generi e alle forme metriche (si va dal classico poemetto in terzine allo sperimentalismo della poesia visiva). Sul piano tematico, torna a più riprese il motivo di una generale delusione del poeta. Gli ideali in cui aveva creduto sono definitivamente tramontati, si è ormai affacciata una nuova epoca che egli non è più in grado di comprendere. Il popolo stesso è ormai, sempre più, borghesia.

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Trasumanar e organizzar

Con la raccolta di versi Trasumanar e organizzar (1971), l’ultimo libro poetico di Pasolini, siamo, insieme, all’addio dello scrittore alla poesia e a un’anticipazione, nei temi e nei toni, dell’ultimo Pasolini, quello delle riflessioni sulla società e sulla politica presenti negli Scritti corsari e nelle Lettere luterane. Il titolo, per metà dantesco («Trasumanar significar per verba / non si porìa», Paradiso, I, 70-71), allude alla coesistenza, nello scandaglio pasoliniano, di riflessione metafisica («trasumanar») e di attenzione alla dimensione più concreta e materiale dell’esistenza (“organizzare” è verbo che si applica all’industria, al commercio, e, se vogliamo, anche all’attività politica).

La prosa

Spinto dall’esigenza di raggiungere un pubblico più vasto, Pasolini affianca presto a quella in versi una produzione in prosa, di tipo sia narrativo sia saggistico. Dopo le prime prove – Atti impuri e Amado mio, due brevi racconti autobiografici editi postumi nel 1982, ma scritti già alla fine della guerra – sono proprio i romanzi a dargli fama e celebrità, nonché il primo periodo di benessere economico dopo anni molto travagliati.

La narrativa

Il sogno di una cosa

I giorni del lodo De Gasperi avrebbe dovuto intitolarsi un romanzo scritto da Pasolini tra il 1948 e il 1949. Uno dei suoi nuclei narrativi era costituito dai violenti scontri tra latifondisti e braccianti, con i primi ostinati a resistere al lodo De Gasperi (un decreto legge del 1947 che imponeva ai proprietari terrieri di assumere la manodopera disoccupata) e i secondi determinati invece a richiederne la piena attuazione. Il romanzo si intitolerà invece Il sogno di una cosa e sarà pubblicato soltanto nel 1962.

In realtà nel romanzo i fatti legati al lodo De Gasperi sono soltanto una parte (seppure collocata in posizione centrale) della materia narrativa, che vede come protagonisti tre ragazzi friulani, Nini, Eligio e Milio. Viste le difficoltà economiche in cui si trovano a vivere nella loro terra, Nini ed Eligio emigrano clandestinamente nella vicina Iugoslavia, in cerca di lavoro. Ma la loro situazione non migliora e, anzi, i due fanno la fame. Milio emigra poi in Svizzera, e il racconto di quest’altra esperienza è condotto in uno stile vicino al parlato, tanto che possiamo intravedere qui un’anticipazione di quelle che saranno le scelte linguistiche più caratteristiche dei romanzi romani.

Ragazzi di vita

Ragazzi di vita (1955) è il romanzo in cui Pasolini riversa la propria conoscenza del sottoproletariato romano, sviluppata a partire dal suo trasferimento nella capitale all’inizio del 1950.

L’arco temporale coperto dalle vicende narrate è quello del dopoguerra a Roma «dal caos pieno di speranze dei primi giorni della liberazione alla reazione del ‘50-51» (come scriveva l’autore nel 1954 in una lettera al suo editore, Livio Garzanti). Questa realtà storico-sociale è colta e rappresentata in presa diretta: da qui l’andamento quasi cinematografico del racconto.

È la storia di un gruppo di ragazzi di borgata, tra i quali emerge il personaggio del Riccetto, sul quale si concentra maggiormente l’attenzione del narratore. I «ragazzi di vita» sono giovani nati e vissuti in un ambiente sociale privo di certezze: non c’è la sicurezza del lavoro, ma neanche quella della casa e della famiglia. Gli adulti sono ostili, abbrutiti dalla fatica e dalle frustrazioni; il rapporto tra le generazioni è segnato da una sorda e rancorosa ostilità reciproca. In assenza del cerchio protettivo degli affetti, i ragazzi sono costretti a crescere in fretta, a imparare presto ad arrangiarsi, a vivere di espedienti.

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Ragazzi di vita è stato letto in vari modi, dando origine a interpretazioni tra loro discordanti. Una prima chiave di lettura è quella legata alla tradizione della narrativa picaresca: la provvisorietà materiale, l’instabilità morale, la capacità di improvvisare soluzioni ai problemi concreti che di volta in volta si presentano, la soggezione agli istinti primari della fame, del sonno, del sesso, la gioia di vivere all’aria aperta, per le strade, il gusto per una libertà scelta e rivendicata come la propria condizione naturale, la tendenza a trasgredire l’etica sociale e religiosa (con il furto, la truffa, la prostituzione) sono tutte caratteristiche che i ragazzi pasoliniani hanno in varia misura in comune con i picari del Siglo de Oro spagnolo.
Un’altra chiave di lettura è quella del romanzo di formazione: il Riccetto cresce, e crescendo matura, sebbene tale maturazione non sia vista con occhio positivo da Pasolini, che la interpreta come sinonimo di corruzione, di perdita di quell’innocenza infantile che rendeva speciale il personaggio. Si tratta dunque di una formazione che è piuttosto, per così dire, una deformazione. Quella di Riccetto peraltro è una maturazione tutta particolare. Non segue le tappe tradizionali della pedagogia borghese, con i suoi luoghi e le sue istituzioni: la famiglia, la scuola, la Chiesa. Si tratta invece di una formazione che avviene tramite una sorta di “pedagogia della strada”, fatta della capacità di sfruttare le occasioni che si presentano, occasioni spesso criminali, visto che il lavoro non è contemplato tra le possibilità: lavorare significherebbe rinunciare irrimediabilmente alla propria libertà, sentita come il bene più prezioso, anzi forse proprio l’unico che si possiede.
Una terza chiave di lettura è quella del romanzo sociale. In effetti la rappresentazione delle borgate offre uno spaccato decisamente istruttivo delle realtà di povertà e di emarginazione su cui all’epoca le istituzioni e l’opinione pubblica preferivano tenere gli occhi chiusi. Il processo per oscenità che Pasolini dovette affrontare per questo libro fu legato probabilmente anche al fastidio che una fascia della borghesia provava a vedere raccontata apertamente una realtà di indigenza e degrado che era più comodo fingere di non vedere.

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Lo stile del romanzo si muove efficacemente fra italiano e dialetto, quest’ultimo utilizzato soprattutto (ma non solo) nei dialoghi. Non si tratta tanto dell’utilizzo di una lingua letterariamente documentata (il romanesco di poeti come Belli o Trilussa), quanto di quella tipica di una certa malavita di quartiere, un lessico gergale contaminato dai dialetti del Sud della recente migrazione interna. È, insomma, il “romanaccio”, il romanesco parlato nelle borgate: una lingua ridotta all’essenziale, fatta spesso di interiezioni e caratterizzata da un esteso ricorso al turpiloquio. Tale lingua non è solo documento umano, ma precisa scelta di poetica, già oltre il Neorealismo.

Una vita violenta

Più lineari sono la struttura e la trama del romanzo Una vita violenta (1959), storia della presa di coscienza di classe da parte di un ragazzo di borgata, Tommaso Puzzilli, che acquista consapevolezza politica passando attraverso la successiva adesione ad alcuni dei principali partiti degli anni Cinquanta: prima il Movimento sociale, poi la Democrazia cristiana e infine il Partito comunista. Sarà proprio in virtù dell’adesione agli ideali solidaristici del comunismo – sembra volerci dire l’autore tra le righe – che il ragazzo, già minato dalla tubercolosi, metterà a repentaglio la propria vita per salvare quella di una prostituta travolta dalla tracimazione del fiume Aniene.

Appare un po’ posticcia la conclusione del romanzo, incentrata su uno sprezzo del pericolo e su una generosità strettamente connesse alla nuova fede ideologica. La morte di Tommasino – che avviene in seguito all’aggravarsi delle sue condizioni di salute dopo che si è gettato nelle gelide acque dell’Aniene per salvare la donna che rischiava di annegare – sancisce la santificazione laica del personaggio: al rosso della bandiera comunista fa ora pendant il rosso del sangue che gli macchia la canottiera, simbolo del suo sacrificio. L’epilogo del romanzo sottolinea l’impasse ideologica di Pasolini: la salvezza del personaggio «è in questa morte “eroica”, non in un paziente futuro di lavoro e impegno politico» (Mannino).

Teorema

Teorema è un’opera duplice: il libro con questo titolo esce nel marzo del 1968 e contemporaneamente hanno inizio le riprese dell’omonimo film, poi presentato al Festival di Venezia di quell’anno. In realtà il romanzo è assai spoglio dal punto di vista stilistico, rappresentando una sorta di sceneggiatura in forma narrativa del lungometraggio.

Il titolo ha a che fare con l’assunto di partenza (ipotesi) da cui discenderebbero necessariamente alcune specifiche conseguenze (tesi): se in una famiglia borghese irrompesse una visita inattesa e misteriosa, questa famiglia finirebbe per disintegrarsi. La famiglia alto-borghese (ma ideologicamente e psicologicamente piccolo-borghese) rappresenta la borghesia non come classe sociale storicamente determinata ma come condizione generale dello spirito: sinonimo, cioè, di bieca razionalità e di spento grigiore quotidiano, routine abitudinaria dei rapporti e vuoto formalismo dei comportamenti.

Petrolio

L’ultimo romanzo, uscito postumo nel 1992 in forma incompiuta, si intitola Petrolio. Sappiamo che l’autore lo ha composto tra il 1972 e il 1975 e che ci stava ancora lavorando al momento della morte.
Qualcuno ha anche avanzato l’ipotesi che alcuni contenuti del testo, compromettenti per certe persone, sarebbero stati all’origine della decisione di ambienti della politica, della finanza o della grande industria di assassinare Pasolini, eliminando così un testimone scomodo e pericoloso.

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Il libro si presenta nella forma di una bozza costituita da 133 «Appunti», articolati in due parti intrecciate tra loro: «Mistero» e «Progetto». È un testo che diventa spesso metaromanzo per la presenza di ripetute riflessioni dell’autore sul proprio fare letteratura, di note critiche e filologiche a piè di pagina, di appelli al lettore tra ironia e sarcasmo.

Protagonista di Petrolio è Carlo Valletti, ingegnere della buona borghesia torinese, cattolico e insieme comunista, in carriera all’Eni (Ente Nazionale Idrocarburi): un dato, quest’ultimo, che rimanda a un personaggio storicamente esistito, Enrico Mattei, che aveva avviato le ricerche petrolifere nella Pianura Padana e che, da presidente dell’Eni (carica ricoperta dal 1953), aveva ricercato accordi diretti con i paesi produttori del Medio Oriente e anche con l’Unione Sovietica. Nel 1962 Mattei era morto in un incidente aereo, di cui non è mai stata accertata la causa. Secondo alcuni si trattò di un attentato, le cui motivazioni andrebbero ricercate nella sua volontà di sottrarsi all’egemonia delle maggiori compagnie petrolifere statunitensi.
In realtà a questi dati storici Pasolini allude soltanto, in quest’opera magmatica e fantasiosa, apocalittica e visionaria, di cui è impossibile riassumere la trama (perché, di fatto, una vera e propria trama è assente), che ha sullo sfondo complotti politici e affaristici, il mondo del petrolio (con le crisi dei mercati come quella dell’inverno del 1974-1975), i servizi segreti statunitensi e il potere mafioso, gli intrallazzi politici italiani e la situazione mediorientale, le due fasi della strategia stragista della tensione (nella lettura pasoliniana, la prima organizzata dall’Msi per contrastare l’avanzata delle sinistre, la seconda organizzata dalle stesse forze di governo per ridimensionare il ruolo dello stesso Msi).

La saggistica

Fitta è la produzione saggistica di Pasolini, che annovera interventi sia di critica letteraria e artistica sia di indagine politico-sociale. Tra i volumi di interventi letterari pubblicati mentre l’autore è ancora in vita, ricordiamo Passione e ideologia (1960) ed Empirismo eretico (1972), a cui seguirà la raccolta postuma Descrizioni di descrizioni (1979). Quanto ai saggi sulla politica e sulla società, ricordiamo i due volumi Scritti corsari (1975) e Lettere luterane (1976).

Gli Scritti corsari, usciti l’anno stesso della morte dell’autore (1975), sono una sorta di compendio del pensiero dell’ultimo Pasolini: un pensiero amaro e negativo, a partire dal quale, tuttavia, lo scrittore cerca ancora una via di comunicazione con il pubblico. Si tratta di un libro che raccoglie interventi giornalistici usciti, per lo più sul “Corriere della Sera”, tra il 1973 e il 1975.
Negli Scritti corsari Pasolini affronta vari argomenti: la società dei consumi, il potere coercitivo da essa esercitato sulle coscienze dei singoli, il cambiamento “antropologico” degli italiani, la rivoluzione sessuale, il ruolo della religione cattolica nell’Italia contemporanea, la contestazione giovanile, insomma i temi più rilevanti dell’epoca.

I colori della letteratura - volume 3
I colori della letteratura - volume 3
Dal secondo Ottocento a oggi