scrittore più complesso di quanto non creda chi lo incasella nello stereotipo di
umorista e satirico, apparteneva alla schiera di quegli intellettuali che erano dominati
da una sorta di “complesso d’inferiorità” verso la rivoluzione e da un rovinoso
ma sincero desiderio di adattarsi alla nuova realtà e collaborare con essa.
10 Perché, allora, quell’attacco grossolano? E che cosa, in realtà, fu quell’intervento
di Andrej Ždanov?1 Queste domande è bene porsele oggi, mezzo secolo dopo
quel fatale 1946, quando ormai, per fortuna, è inattuale una polemica contro lo
zdanovismo. Vediamo, prima di tutto, come i due bersagli diretti dell’attacco del
gerarca comunista interpretarono quell’intervento. Lasciamo da parte Žoščenko,
15 nel cui appartamento museo, squallidamente povero, a Pietroburgo, oggi si può
vedere il numero della “Pravda” col testo del rapporto di Ždanov solcato da segni
e sottolineature in matita rossa, frutto della lettura che lo scrittore aveva fatto di
quel verdetto. […] Più originale fu la reazione di Anna Achmatova, che costruì
una sorta di mito personale, attribuendo a se stessa e a un episodio della sua
20 vita un significato decisivo ed eccessivo. Alla fine del 1945 Isaiah Berlin, oggi
noto come storico delle idee e allora collaboratore dei servizi d’informazione
britannici, da Mosca, dove era giunto per un breve soggiorno, si recò a Leningrado
e, entrato per caso in contatto con un conoscente dell’Achmatova, espresse
il desiderio di visitare e conoscere di persona l’illustre poetessa. […] “Dunque
25 la monaca riceve visite di spie straniere”, dicono (e fu la stessa Achmatova a riferirlo)
che abbia esclamato Stalin, ricoprendo la poetessa di epiteti irriferibili,
quando seppe di quell’incidente. L’Achmatova indicava anche un altro episodio
nella preistoria dell’attacco zdanoviano: il fatto che nell’aprile 1946, durante una
serata dedicata ai poeti leningradesi, lei fosse stata applaudita dal pubblico in
30 piedi, onore che era riservato solo al “padre amato dei lavoratori di tutto il mondo”.
Di qui l’ira di Stalin. Forse questo “mito personale” contiene una parte di
verità, ma certo le ragioni dell’intervento di Ždanov furono altre. Nel quarto di
secolo che aveva preceduto l’attacco zdanoviano, la cultura e la letteratura russa
sovietizzata avevano subito una durissimo addestramento alla sottomissione
35 grazie a un sistema senza precedenti fatto di violenza e di censura, ma anche di
egemonia ideologica, un sistema che, in letteratura, era culminato nel 1934 nella
proclamazione del “realismo socialista” a dottrina ufficiale (e Ždanov era stato
il dirigente sovietico che aveva tenuto a battesimo il neonato dogma letterario).
La guerra antinazista vittoriosa, tuttavia, aveva rianimato qualche speranza anche
40 nella domata intelligentsija2 sovietica, speranza semplicemente di un attenuamento
del rigido controllo del partito. Il rapporto di Ždanov, espressione della
politica comunista e quindi personalmente di Stalin, era un richiamo all’ordine
da parte del Padrone e l’estinzione di ogni illusione. Il fatto stesso che di mira
venissero presi direttamente proprio due letterati di gran nome anche internazionale
45 come l’Achmatova e Žoščenko faceva capire che agli altri, minori, non
sarebbe stato risparmiato nulla in caso di un lieve “sgarro”.
Vittorio Strada, E Zdanov mandò i poeti all’inferno, “Corriere della Sera”, 21 ottobre 1996