Il primo Ottocento – L'autore: Giacomo Leopardi

L'AUTORE NEL TEMPO

Il giudizio severo dei contemporanei
La valutazione di Leopardi e della sua poesia fu assai controversa presso i contemporanei. Infatti accanto all’apprezzamento di intellettuali quali l’amico Pietro Giordani, il primo a comprenderne il genio e a definirlo «sommo filologo, sommo poeta, sommo filosofo», molti Romantici espressero giudizi di condanna, accusando il poeta di materialismo, pessimismo e irreligiosità. I più generosi limitarono il proprio elogio solo alle prime canzoni, di cui condividevano lo slancio educativo e patriottico.
Pesò sulla limitata fortuna di Leopardi fra i contemporanei l’eccentricità del suo pensiero rispetto al moderatismo liberal-cattolico egemone presso la borghesia intellettuale di quegli anni. Lo stesso Manzoni, che incontrò il poeta a Firenze senza – pare – degnarlo di particolari attenzioni, non si espresse sul valore delle poesie e si limitò a dire delle Operette morali che «quanto a stile, probabilmente c’è di meglio nella prosa dei nostri giorni».
Nel 1880 viene pubblicato un libro di memorie, Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi, del letterato napoletano Antonio Ranieri (1806-1888), che era stato accanto al poeta negli ultimi anni di vita, assistendolo affettuosamente sino alla morte insieme alla sorella Paolina. In esso Ranieri cerca di offrire di sé l’immagine del mecenate, più che, come invece era in effetti, del compagno di vita e di traversie di Leopardi, né vi mancano, accanto a dettagli e pettegolezzi biografici di scarso o nullo interesse, recriminazioni ingiuste e meschine, dettate dal desiderio di attenuare un’immagine di Ranieri stesso non sempre positiva, che Leopardi aveva affidato ad alcune lettere.

La duplice valutazione di De Sanctis
Sempre nel secondo Ottocento, però, i saggi di Francesco De Sanctis offrono una prima valutazione esclusivamente letteraria dell’opera di Leopardi, ripercorsa nello svolgersi delle sue diverse fasi. Mentre egli esprime un’opinione assai positiva sugli idilli, che considera esempio di una perfetta fusione tra contenuto e forma, condanna invece severamente le Operette morali e le ultime poesie (compresa La ginestra), poiché in esse l’intento filosofico gli sembra soffocare il risultato artistico. Per De Sanctis motivo centrale della poetica leopardiana è il dissidio tra cuore e ragione: «Leopardi produce l’effetto contrario a quello che si propone. Non crede al progresso, e te lo fa desiderare; non crede alla libertà, e te la fa amare. Chiama illusioni l’amore, la gloria, la virtù, e te ne accende in petto un desiderio inesausto». Il discorso critico desanctisiano ha il merito di articolarsi su un nesso continuo di analisi letteraria e indagini biografiche e psicologiche, dando origine a un’interpretazione complessiva basata su fonti documentali. De Sanctis enfatizza anche il valore risorgimentale dell’impegno politico di Leopardi, giungendo a scrivere questa frase lapidaria: «Se fosse sopravvissuto, ce lo saremmo trovato accanto nel ’48 sulle barricate».

Il primo Novecento: la scoperta della filosofia leopardiana e la critica idealistica
Una svolta nella critica leopardiana è rappresentata dalla mole di studi e approfondimenti saggistici di importanti lettori (Alessandro D’Ancona, Arturo Graf, Eugenio Donadoni) attorno al centenario della nascita del poeta (1898), quando viene pubblicata la prima edizione dello Zibaldone, che permette di valutare l’importanza e l’originalità del Leopardi pensatore. La consapevolezza del ruolo assunto dalla filosofia nell’opera leopardiana, però, non conduce sempre a una considerazione positiva della sua produzione. Anzi, all’inizio del Novecento, riprendendo un aspetto del giudizio desanctisiano, Benedetto Croce, contrario alle contaminazioni tra arte e ideologia, giudica «non poesia», cioè fredda oratoria, tutta la produzione del poeta a eccezione degli idilli, che esprimerebbero con maggiore sincerità i sentimenti e i moti dell’anima. Tale lettura condizionerà per molti anni il giudizio su Leopardi, anche se non mancheranno voci dissonanti: Giovanni Gentile, per esempio, vede proprio nella “filosofia” la radice più rilevante dell’ispirazione letteraria leopardiana.

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Il secondo dopoguerra: il Leopardi progressista
Nel secondo dopoguerra, la critica marxista rivaluta la stagione impegnata di Leopardi ed esalta i componimenti dell’ultimo periodo, in particolare La ginestra, dei quali viene sottolineata la visione materialistica: alcuni studiosi hanno scorto nell’ideologia leopardiana tracce di progressismo ideologico. Trattando della polemica antispiritualista di Leopardi, il critico e filosofo Cesare Luporini evidenzia la sua partecipazione alle battaglie ideologiche del proprio tempo: il «sistema filosofico» leopardiano è il frutto emblematico di quella «delusione storica» che caratterizzò la generazione sopravvenuta dopo la Rivoluzione francese per un verso e la Restaurazione per un altro.
Di una fondamentale «tensione tra progressismo e pessimismo» parla il filologo Sebastiano Timpanaro, il quale sottolinea il carattere "impegnato" della produzione leopardiana, che non si chiude nella contemplazione di una condizione umana eterna e immutabile, ma – al contrario – propone di contribuire attivamente a una conoscenza autentica della realtà, premessa indispensabile per rendere lo stato terreno meno ingannevole e infelice. Tuttavia in Leopardi – scrive lo studioso – «le esigenze progressiste non sopraffanno mai il pessimismo; anzi, nell’ultima fase progressismo e pessimismo si esaltano e si potenziano entrambi, e l’originale tentativo di conciliazione tra i due termini, che egli compie, non significa in nessun modo vanificazione o attenuazione di uno dei due».
Superando la vecchia limitazione del significato dell’esperienza poetica leopardiana alla stagione "elegiaca" e "musicale" della "poesia del paesaggio" tipica degli idilli, Walter Binni si è concentrato sulla produzione dell’ultimo Leopardi, considerandola quale momento conclusivo di una tensione polemica ed eroica già presente in quella dei primi anni. In tal modo "momento idillico" e "momento eroico" diventano i due aspetti di un itinerario poetico che non conosce vere soluzioni di continuità, ma che invece, pur articolato in diverse fasi, presenta una sostanziale unità: perché – scrive il critico – «solo nel complesso sviluppo della sua esperienza e della sua personalità quale si consegnò negli ultimi canti, si può cogliere interamente, entro e anche al di là del puro valore poetico, tutta la grandezza del Leopardi, la sua decisiva presenza nella nostra tradizione moderna».

Le interpretazioni successive
Negli ultimi decenni, la personalità del poeta di Recanati è stata studiata nella sua problematica complessità, sul piano filosofico, ma anche su quello linguistico (Gianfranco Contini, Stefano Agosti, Luigi Blasucci, Franco D’Intino) e infine su quello psicanalitico (Elio Gioanola, Giovanni Giuseppe Amoretti, Neuro Bonifazi).
Importante è il saggio II pensiero poetante (1980) scritto da Antonio Prete sullo Zibaldone, opera della quale sono analizzate le forme della scrittura (insieme teorica e narrativa, frammentaria e progettuale) e la complessa stratificazione dei riferimenti culturali (il sapere degli antichi e dei moderni, ben oltre la linea della riflessione illuminista). Del labirintico lavoro leopardiano e delle sue domande vengono ripercorsi alcuni temi che accompagnano l’intero arco della scrittura: il desiderio, la ricordanza, l’infinito come elementi della lunga meditazione sul piacere; le forme del rapporto tra filosofia e poesia; la critica della civiltà e delle sue forme di astrazione e di violenza; la formazione del gusto e dello stile; la lontananza dalla natura e l’evocazione, da un punto di non-ritorno, delle favole antiche, della fanciullezza, degli animali, e la custodia delle loro immagini nel deserto della vita.
Originale si rivela anche l’interpretazione offerta nel volume Il nulla e la poesia (1990) dal filosofo Emanuele Severino, secondo il quale Leopardi va annoverato tra i più importanti pensatori moderni, e considerato antesignano della filosofia del pensatore tedesco Friedrich Nietzsche (1844-1900) nel demolire quei valori ritenuti, nella civiltà occidentale, eterni e assoluti: Leopardi, visto come pensatore del "nulla" – dell’opacità e dell’inconsistenza della realtà imprigionata nell’eterna gabbia del nascere e del morire –, apre la strada all’intera filosofia del nostro tempo; per lui la poesia rappresenta l’ultima illusione di salvezza offerta agli uomini, oltre il fallace ottimismo alimentato dal paradiso della scienza e della tecnica moderne.

I colori della letteratura - volume 2
I colori della letteratura - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento