I colori della letteratura - volume 2

Il primo Ottocento – L'opera: Canti

 T18 

A se stesso

Canti, 28


Scritto probabilmente nel 1833, è il testo più duro e disperato del cosiddetto "ciclo di Aspasia": concentrato in 16 versi, costituisce l’appello finale del poeta al proprio cuore. In esso Leopardi sviluppa il tema della disillusione amorosa, a partire dalla sfortunata esperienza di una passione non corrisposta, quella per Fanny Targioni Tozzetti, una nobildonna fiorentina bellissima e affascinante, ma fredda e insensibile nei suoi confronti.


METRO Endecasillabi e settenari liberamente rimati.

         Or poserai per sempre,
         stanco mio cor. Perì l'inganno estremo,
         ch'eterno io mi credei. Perì. Ben sento,
         in noi di cari inganni,
5      non che la speme, il desiderio è spento.
         Posa per sempre. Assai
         palpitasti. Non val cosa nessuna
         i moti tuoi, né di sospiri è degna
         la terra. Amaro e noia
10    la vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
         T'acqueta omai. Dispera
         l'ultima volta. Al gener nostro il fato
         non donò che il morire. Omai disprezza
         te, la natura, il brutto
15    poter che, ascoso, a comun danno impera,
         e l'infinita vanità del tutto.

      Dentro il testo

I contenuti tematici

Svanita la possibilità di una relazione con la donna amata, il poeta, rivolgendosi al proprio cuore, esprime una visione sconsolata della vita e lo esorta a non tenere più in alcun conto i sentimenti, che sono pure illusioni, la natura, che è matrigna, ostile agli uomini e neppure l'universo, che è inutile e privo di significato. In particolare, Leopardi si scaglia contro il brutto / poter che, ascoso, a comun danno impera (vv. 14-15): una sorta di imprecazione rivolta contro una forza del male che a suo giudizio regge il destino umano, presiedendo nascostamente allo svolgersi di ogni vita.

Le scelte stilistiche

La caratteristica formale più evidente del componimento è la sintassi secca e spezzata in periodi brevi e brevissimi: abbandonata volutamente ogni leggerezza lirica, la frammentarietà dei versi sottolinea una raggiunta e definitiva imperturbabilità, che le palpitazioni e le illusioni avevano, almeno in una certa fase della vita del poeta, insidiato. Ora invece lo sfogo bandisce anche l'espressione dei desideri e dei rimpianti: viene meno lo spazio della memoria, scompare la dolce rievocazione del passato, domina solo l'esacerbata razionalità per imprimere, a mo' di epigrafe, l'ultima negativa verità che avvolge la superficie vuota della vita (l'infinita vanità del tutto, v. 16).

Il frequente cadere del punto fermo a metà del verso (sono presenti ben 12 periodi in soli 16 versi) dà alla metrica un andamento singhiozzante, capace di rendere anche sul piano ritmico il dolore del poeta, un ritmo* in cui il pensiero prevale sul canto: è come se la sua voce non trovasse lo spazio sufficiente per distendersi. Il testo è dominato da verbi al modo indicativo, i quali esprimono la perentorietà di una decisione di rinuncia e distacco, che Leopardi impone a sé stesso proponendosi di non cedere più, in futuro, alle lusinghe delle speranze e dei sentimenti. L'anafora* del passato remoto perì (vv. 2 e 3) dà il senso di una fine inesorabile, così come la ripetizione insistita di altre espressioni (oltre a perì, nei primi 8 versi troviamo poserai per sempre, posa per sempre, l'inganno estremo, inganno, inganni) pare quasi il segno di un'incapacità di trovare (e quindi modificare) le parole. Alcune frasi assumono il tono di sentenze lapidarie, conseguenza del gelo impassibile, perfino sprezzante, che si è impossessato del cuore del poeta: né di sospiri è degna / la terra (vv. 8-9); Amaro e noia / la vita, altro mai nulla; e fango è il mondo (vv. 9-10); Al gener nostro il fato / non donò che il morire (vv. 12-13).

Un'ultima osservazione riguarda il lessico usato da Leopardi nel canto. In esso trovano spazio tutti i termini appartenenti al vocabolario sentimentale che caratterizza l'intera raccolta dei Canti, compresi quelli più vaghi e indefiniti come sempre, eterno, infinito e tutto, che però qui non ampliano più – come accadeva negli idilli – le facoltà dei sensi. Essi, cioè, appaiono «ormai privi della loro maschera, svelati nella loro vanità» (Rota), senza cioè quell'eco di illusione che prima possedevano. Si pensi ancora agli inganni, ai cari inganni (v. 4) che hanno offerto al poeta ragione di vita; oppure ai palpiti (Assai / palpitasti, v. 6-7) e ai sospiri, compagni delle sue passioni giovanili: di tutto ciò ormai non rimane che il ricordo, non la dolce «rimembranza», ma solo una traccia remota guardata con gli occhi di un'esperienza definitivamente disingannata.

      Verso le competenze

COMPRENDERE 

1 Fai la parafrasi del testo.


2 Qual è il soggetto di T’acqueta (v. 11)?

ANALIZZARE

3 Come può essere descritto il lessico? Tradizionale o innovativo?


4 Descrivi i rapporti tra il piano metrico e quello sintattico.


5 Le espressioni iniziali, Or poserai per sempre, / stanco mio cor, configurano

  •     una metafora. 
  •     una metonimia.
  •     un’apostrofe.
  •     un’anastrofe. 

6 Qual è la funzione logica del mi al v. 3?

  •     Complemento oggetto.
  •     Complemento di interesse.
  •     Complemento di vantaggio. 
  •     Complemento di svantaggio.

INTERPRETARE

7 La poesia esprime

  •     rabbia e frustrazione passionale.
  •     desiderio di riposo e di oblio.
  •     recriminazione del poeta contro sé stesso.
  •     recriminazione del poeta contro la donna che l’ha deluso.

PRODURRE

8 Sull’esempio di Leopardi, scrivi un testo narrativo di circa 30 righe in cui ti rivolgi a te stesso e tracci una sorta di bilancio esistenziale.


I colori della letteratura - volume 2
I colori della letteratura - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento