Il primo Ottocento – L'autore: Alessandro Manzoni

L'AUTORE NEL TEMPO

Una fama precoce e duratura
Manzoni ha goduto di una fama straordinaria già in vita. Fin da ragazzo le sue doti intellettuali erano state notate dai maggiori letterati presenti nella Milano neoclassica: Vincenzo Monti e Ugo Foscolo. La conversione e la comparsa degli Inni sacri gli alienano tuttavia numerose simpatie. In compenso Johann Wolfgang Goethe, in Germania, gli riconosce «semplicità di sentimento, ma insieme audacia d’ingegno, di metafore, di costruzioni»; e qualche anno più tardi giudicherà Il cinque maggio il più bel componimento scritto in morte dell’imperatore Napoleone Bonaparte. L’ode suscita grande eco internazionale e piace anche al romanziere francese Stendhal, che non aveva invece apprezzato le tragedie, al pari di Foscolo. Quest’ultimo, esule in Inghilterra, pubblica infatti una perplessa recensione anonima al Conte di Carmagnola.
Nel 1827 enorme è il successo – non solo in Italia, dove fioriscono edizioni clandestine, ma in tutta Europa – dei Promessi sposi, subito tradotti in tedesco, francese, inglese. La scelta del genere romanzo, per realizzare la proposta romantica di una letteratura "popolare", suscita tuttavia le diffidenze di molti letterati. Istruttiva in merito è la testimonianza a caldo di Leopardi: «Le persone di gusto lo trovano molto inferiore all’aspettazione; gli altri generalmente lo lodano».
Nei decenni successivi Manzoni occupa, pur con la sua discrezione abituale, un ruolo di primo piano fra gli scrittori italiani, lavorando sino alle soglie dei novant’anni, circondato dall’ammirazione generale. Ciò spiega l’avversione nei suoi confronti di un poeta scapigliato come Emilio Praga, che in Preludio arriva addirittura ad augurargli la morte: «Casto poeta che l’Italia adora, / vegliardo in sante visioni assorto, / tu puoi morir!... Degli antecristi è l’ora!» (1864). Ma quando Manzoni scomparirà, nel 1873, Praga scriverà una commossa palinodia, cioè un componimento poetico di tenore opposto a quello precedente.

I cattolici e De Sanctis
Le venature gianseniste del cattolicesimo di Manzoni, e la presenza nel romanzo della figura di un parroco vile e inetto come don Abbondio, mettono in sospetto gli ambienti più bigotti: anche se è esagerata l’espressione dell’intellettuale milanese Carlo Cattaneo, quando scrive che le autorità religiose avrebbero volentieri bruciato il romanzo insieme al suo autore. A suscitare scandalo, prima delle opere, è l’atteggiamento di Manzoni nei confronti della questione romana. Contrario al potere temporale dei papi, sostenitore dei Savoia e addirittura di Garibaldi: davvero troppo per i cattolici intransigenti.
Anche sul fronte laico non mancano le riserve. A dissipare molti equivoci provvedono i contributi di Francesco De Sanctis, che considera Manzoni il maestro del realismo romantico italiano. La parabola della sua opera, secondo il critico, si caratterizza per un progressivo calarsi dell’ideale nel reale, che trova un esito magnifico nei Promessi sposi: «E qui è appunto l’interesse di questo racconto, ché le avventure non prodotte, ma patite da questi innocenti personaggi, non sono l’effetto del caso, o di combinazioni fantastiche, dette romanzesche, perché materia comune del romanzo, ma sono il risultato palpabile di cause storiche, rappresentate nel loro spirito e nella loro forma con una connessione così intima e così logica, che il racconto ti dà l’apparenza di una vera e propria storia».

Le critiche di Croce e Gramsci
Nel Novecento i due più temibili attacchi alla centralità di Manzoni nel sistema culturale italiano vengono fra le due guerre, da direzioni opposte: l’uno da una prospettiva liberale, l’altro da una prospettiva marxista. Benedetto Croce ritiene I promessi sposi un lavoro in cui gli intenti morali, e dunque pratici, prevalgono sull’espressione artistica: non poesia ma altissima oratoria, in cui «non si fa sentire nella sua forza e nel suo libero moto nessuno di quelli che si chiamano gli affetti e le passioni umane».
Antonio Gramsci mette invece in discussione l’atteggiamento dello scrittore, giudicato paternalistico verso gli "umili": i «popolani, per il Manzoni, non hanno "vita interiore", non hanno personalità morale profonda; essi sono "animali", e il Manzoni è "benevolo" verso di loro, proprio della benevolenza di una cattolica società di protezione degli animali». È certamente un giudizio severo, che tanto più colpisce se posto a confronto con l’apprezzamento espresso da un altro importante critico marxista, l’ungherese György Lukács, che ritiene Manzoni superiore a Walter Scott per l’abilità con cui ha saputo ritrarre un’epoca attraversata da guerre e ingiustizie, imperniando il suo romanzo sulle traversie di due popolani.

 >> pag. 760 

Manzoni oggi
Il ricorso intenso e obbligatorio all’opera manzoniana nella pratica scolastica ha finito inevitabilmente per attirare sull’incolpevole autore l’antipatia di generazioni di studenti e un numero incalcolabile di riscritture, parodie, stravolgimenti (► p. 758). Già nel 1927 un suo conterraneo e ammiratore sincero, Carlo Emilio Gadda, si sente in dovere di scrivere un’Apologia manzoniana, in cui si chiede amareggiato: «Che cosa avete mai combinato, don Alessandro, che qui, nella vostra terra, dove pur speravate nell’indulgenza di venticinque sottoscrittori, tutti vi hanno per un povero di spirito?». Più tardi Gadda non manca di rispondere ad Alberto Moravia, che in un polemico intervento rispolvera l’idea crociana di un romanzo in cui la propaganda cattolica soffoca le ragioni dell’arte.
In occasione di una nuova edizione dei Promessi sposi stampata nel 1960, Moravia osserva infatti che la fortuna di Manzoni dipende più dalla sua morale pedagogica che da autentici meriti letterari. Criticando «l’importanza preponderante, eccessiva, massiccia, quasi ossessiva che ha nel romanzo la religione», Moravia arriva a paragonare il capolavoro manzoniano a una «stratificazione geologica»: «il primo strato, il più vistoso ma anche, secondo noi, il più superficiale, è quello dell’arte di propaganda, alimentata da una strenua volontà conformistica di adesione al modo cattolico di intendere la vita. Su questo strato cresce e lussureggia la vegetazione del realismo cattolico, paragonabile a una pianta dalle foglie enormi e dalle radici esigue».
Nel frattempo tuttavia la critica ha continuato a dissodare un terreno vastissimo, non ancora del tutto esplorato. Nel secondo Novecento il lavoro di studiosi come Natalino Sapegno, Ettore Bonora, Lanfranco Caretti, Ezio Raimondi, Vittorio Spinazzola ha consentito di precisare i rapporti di Manzoni con la grande cultura europea del suo tempo, mettendo in luce le peculiarità delle tecniche narrative e delle scelte linguistiche che hanno consentito ai Promessi sposi di fondare la civiltà italiana del romanzo.

I colori della letteratura - volume 2
I colori della letteratura - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento