I colori della letteratura - volume 2

Il primo Ottocento – L'opera: I promessi sposi

 T11 

L’angosciosa notte dell’Innominato

Cap. 21


Lucia, rapita dal monastero di Monza, è condotta prigioniera nel castello dell’Innominato, il potente bandito al quale don Rodrigo si è rivolto. Rinchiusa in una cella con una vecchia incaricata di confortarla, all’improvviso riceve la visita del temuto signore, incuriosito dalle parole di un suo sgherro, il Nibbio, che gli ha confessato di aver provato compassione per la giovane sequestrata. Lucia dimostra fermezza e pudore con l’Innominato, che da qualche tempo ha cominciato a sentire dentro di sé il disagio per le proprie azioni scellerate, disagio che aumenta quando lei lo supplica di liberarla, ricordandogli che «Dio perdona tante cose, per un’opera di misericordia». Inizia così per l’Innominato una notte di tormenti, dalla quale uscirà radicalmente trasformato.

Partito, o quasi scappato da Lucia, dato l'ordine per la cena di lei, fatta una consueta
visita a certi posti del castello,1 sempre con quell'immagine viva nella mente,
 e con quelle parole risonanti all'orecchio, il signore s'era andato a cacciare in
camera, s'era chiuso dentro in fretta e in furia, come se avesse avuto a trincerarsi
5 contro una squadra di nemici; e spogliatosi, pure in furia, era andato a letto. Ma
quell'immagine, più che mai presente, parve che in quel momento gli dicesse: tu
non dormirai. «Che sciocca curiosità da donnicciola», pensava, «m'è venuta di vederla?
Ha ragione quel bestione del Nibbio;2 uno non è più uomo; è vero, non è
più uomo!... Io?... io non son più uomo, io? Cos'è stato? Che diavolo m'è venuto
10 addosso? Che c'è di nuovo? Non lo sapevo io prima d'ora, che le donne strillano?
Strillano anche gli uomini alle volte, quando non si possono rivoltare. Che diavolo!
non ho mai sentito belar donne?».
E qui, senza che s'affaticasse molto a rintracciare nella memoria, la memoria da
sé gli rappresentò più d'un caso in cui né preghi né lamenti non l'avevano punto
15 smosso dal compire le sue risoluzioni.3 Ma la rimembranza di tali imprese, non
che gli ridonasse la fermezza, che già gli mancava, di compir questa; non che spegnesse
nell'animo quella molesta pietà;4 vi destava in vece una specie di terrore,
una non so qual rabbia di pentimento. Di maniera che gli parve un sollievo il tornare
a quella prima immagine di Lucia, contro la quale aveva cercato di rinfrancare
20 il suo coraggio. «È viva costei», pensava, «è qui; sono a tempo; le posso dire: andate,
rallegratevi; posso veder quel viso cambiarsi,5 le posso anche dire: perdonatemi...
Perdonatemi? Io domandar perdono? A una donna? Io...! Ah, eppure! Se una parola,
una parola tale mi potesse far bene, levarmi d'addosso un po' di questa diavoleria,6
la direi; eh! Sento che la direi. A che cosa son ridotto! Non son più uomo, non
25 son più uomo!... Via!» disse, poi, rivoltandosi arrabbiatamente nel letto divenuto
duro duro, sotto le coperte divenute pesanti pesanti: «Via! Sono sciocchezze che mi
son passate per la testa altre volte. Passerà anche questa».
E per farla passare, andò cercando col pensiero qualche cosa importante, qualcheduna
di quelle che solevano occuparlo fortemente, onde applicarvelo tutto; ma
30 non ne trovò nessuna. Tutto gli appariva cambiato: ciò che altre volte stimolava
più fortemente i suoi desidèri, ora non aveva più nulla di desiderabile: la passione, 

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come un cavallo divenuto tutt'a un tratto restìo per un'ombra, non voleva più
andare avanti. Pensando all'imprese avviate e non finite, in vece d'animarsi al compimento,7
in vece d'irritarsi degli ostacoli (ché l'ira in quel momento gli sarebbe
35 parsa soave), sentiva una tristezza, quasi uno spavento de' passi già fatti. Il tempo
gli s'affacciò davanti voto8 d'ogni intento, d'ogni occupazione, d'ogni volere, pieno
soltanto di memorie intollerabili; tutte l'ore somiglianti a quella che gli passava
così lenta, così pesante sul capo. Si schierava9 nella fantasia tutti i suoi malandrini,10
e non trovava da comandare a nessuno di loro una cosa che gl'importasse;
40 anzi l'idea di rivederli, di trovarsi tra loro, era un nuovo peso, un'idea di schifo e
d'impiccio. E se volle trovare un'occupazione per l'indomani, un'opera fattibile,
dovette pensare che all'indomani poteva lasciare in libertà quella poverina.
«La libererò, sì; appena spunta il giorno, correrò da lei, e le dirò: andate, andate.
La farò accompagnare... E la promessa? E l'impegno? E don Rodrigo?... Chi è
45 don Rodrigo?».
A guisa di11 chi è colto da una interrogazione inaspettata e imbarazzante d'un
superiore, l'innominato pensò subito a rispondere a questa che s'era fatta lui stesso,
o piuttosto quel nuovo lui, che cresciuto terribilmente a un tratto, sorgeva come a
giudicare l'antico. Andava dunque cercando le ragioni per cui, prima quasi d'esser
50 pregato, s'era potuto risolvere a prender l'impegno di far tanto patire, senz'odio,
senza timore, un'infelice sconosciuta, per servire colui;12 ma, non che riuscisse13
a trovar ragioni che in quel momento gli paressero buone a scusare il fatto, non
sapeva quasi spiegare a se stesso come ci si fosse indotto. Quel volere, piuttosto
che una deliberazione, era stato un movimento istantaneo dell'animo ubbidiente
55 a sentimenti antichi, abituali, una conseguenza di mille fatti antecedenti; e il tormentato
esaminator di se stesso, per rendersi ragione d'un sol fatto, si trovò ingolfato14
nell'esame di tutta la sua vita. Indietro, indietro, d'anno in anno, d'impegno
in impegno, di sangue in sangue, di scelleratezza in scelleratezza: ognuna ricompariva
all'animo consapevole e nuovo, separata da' sentimenti che l'avevan fatta
60 volere e commettere; ricompariva con una mostruosità che que' sentimenti non
avevano allora lasciato scorgere in essa. Eran tutte sue, eran lui:15 l'orrore di questo
pensiero, rinascente a ognuna di quell'immagini, attaccato a tutte, crebbe fino
alla disperazione. S'alzò in furia a sedere, gettò in furia le mani alla parete accanto
al letto, afferrò una pistola, la staccò, e. al momento di finire una vita divenuta
65 insopportabile, il suo pensiero sorpreso da un terrore, da un'inquietudine, per dir
così, superstite, si slanciò nel tempo che pure continuerebbe a scorrere dopo la sua
fine. S'immaginava con raccapriccio il suo cadavere sformato, immobile, in balìa
del più vile sopravvissuto; la sorpresa, la confusione nel castello, il giorno dopo:
ogni cosa sottosopra; lui, senza forza, senza voce, buttato chi sa dove. Immaginava
70 i discorsi che se ne sarebber fatti lì, d'intorno, lontano; la gioia de' suoi nemici.
Anche le tenebre, anche il silenzio, gli facevan veder nella morte qualcosa di più
tristo, di spaventevole; gli pareva che non avrebbe esitato, se fosse stato di giorno,
all'aperto, in faccia alla gente: buttarsi in un fiume e sparire. E assorto in queste
contemplazioni16 tormentose, andava alzando e riabbassando, con una forza convulsiva

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75 del pollice, il cane17 della pistola; quando gli balenò in mente un altro pensiero.
«Se quell'altra vita di cui m'hanno parlato quand'ero ragazzo, di cui parlano
sempre, come se fosse cosa sicura; se quella vita non c'è, se è un'invenzione de'
preti; che fo io?18 Perché morire? Cos'importa quello che ho fatto? Cos'importa? È
una pazzia la mia... E se c'è quest'altra vita...!».
80 A un tal dubbio, a un tal rischio, gli venne addosso una disperazione più nera,
più grave, dalla quale non si poteva fuggire, neppur con la morte. Lasciò cader
l'arme, e stava con le mani ne' capelli, battendo i denti, tremando. Tutt'a un tratto,
gli tornarono in mente parole che aveva sentite e risentite, poche ore prima: «Dio
perdona tante cose, per un'opera di misericordia!». E non gli tornavan già con
85 quell'accento d'umile preghiera, con cui erano state proferite; ma con un suono
pieno d'autorità, e che insieme induceva una lontana speranza. Fu quello un momento
di sollievo: levò le mani dalle tempie, e, in un'attitudine più composta, fissò
gli occhi della mente19 in colei da cui aveva sentite quelle parole; e la vedeva, non
come la sua prigioniera, non come una supplichevole, ma in atto di chi dispensa
90 grazie e consolazioni. Aspettava ansiosamente il giorno, per correre a liberarla, a
sentire dalla bocca di lei altre parole di refrigerio e di vita; s'immaginava di condurla
lui stesso alla madre. «E poi? Che farò domani, il resto della giornata? Che farò
doman l'altro? Che farò dopo doman l'altro? E la notte? La notte, che tornerà tra
dodici ore! Oh la notte! No, no, la notte!». E ricaduto nel voto20 penoso dell'avvenire,
95 cercava indarno21 un impiego del tempo, una maniera di passare i giorni, le
notti. Ora si proponeva d'abbandonare il castello, e d'andarsene in paesi lontani,
dove nessun lo conoscesse, neppur di nome; ma sentiva che lui, lui sarebbe sempre
con sé: ora gli rinasceva una fosca speranza di ripigliar l'animo antico, le antiche
voglie; e che quello fosse come un delirio passeggiero; ora temeva il giorno, che
100 doveva farlo vedere a' suoi22 così miserabilmente mutato; ora lo sospirava,23 come
se dovesse portar la luce anche ne' suoi pensieri.

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I contenuti tematici

Nelle pagine precedenti a quelle riportate si è consumato un momento cruciale della vicenda: il drammatico faccia a faccia tra Lucia, prigioniera dell'Innominato, e il suo rapitore. È una situazione tipica nei romanzi settecenteschi, destinata quasi sempre a evolvere verso terribili scoppi di violenza o momenti di commozione patetica. Manzoni sceglie una strada diversa, al termine della quale la donna oppressa trionfa sull'oppressore, con la sola forza delle parole. Del resto, nella circostanza si instaurano numerose analogie fra i due personaggi: entrambi sono sconvolti dalla sofferenza, che li divora al punto che restano digiuni e passano lunghe ore di tormento, l'una nella cella, l'altro nella propria stanza. Il parallelismo è sottolineato dal narratore, che osserva come – nel momento in cui Lucia, pronunciato il voto di castità, scivola in un «sonno perfetto e continuo», fiduciosa nell'aiuto di Dio – l'Innominato senta un allegro scampanare, che annunzia la visita in paese del cardinale Borromeo. Qualche ora più tardi, ammesso al suo cospetto, scoppierà in un pianto dirotto, che ne suggellerà l'avvenuta conversione.

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Le parole di Lucia fanno emergere un disagio già presente nell'Innominato, che da tempo prova una certa insofferenza al ricordo delle sue pessime azioni. Toccato il culmine della potenza, egli ha sentito sprigionarsi in sé un'inquietudine che gli fa apparire insensato il percorso compiuto. Ciò che un tempo lo eccitava, ora lo lascia indifferente, e di lì a poco gli susciterà orrore. Incontentabile, deluso dalla vita, ansioso di trovare una diversa dimensione nella sua esistenza, l'Innominato è la figura dei Promessi sposi più vicina al profilo dell'eroe romantico. Ora il passato prende ai suoi occhi nuove tinte: si sorprende (non son più uomo!, rr. 24-25) nell'accorgersi di come il suo disprezzo verso la femminilità si tramuti in rispetto dinanzi alla malcapitata Lucia, che diviene una messaggera della retta via. È Lucia, infatti, a pronunciare la frase di speranza che lo ossessiona e determina la svolta del suo modo di sentire: «Dio perdona tante cose, per un'opera di misericordia!». All'inverso, egli non sa capacitarsi di come abbia potuto dare la sua parola a un personaggio disprezzabile come don Rodrigo.
Il percorso verso il bene non è tuttavia piano e rettilineo. Nell'ennesima notte drammatica del romanzo (dopo la "notte degli imbrogli", con il tentato matrimonio e la fuga al chiaro di luna di Renzo verso l'Adda) l'Innominato conosce momenti di disperazione. A tratti si riaffaccia in lui la fosca speranza di ripigliar l'animo antico (r. 98); la tentazione di rivolgere verso sé stesso la remota consuetudine con la violenza, di uccidersi cioè con un colpo di pistola, è sventata dall'orgoglio, che trabocca al pensiero del proprio cadavere umiliato, e della gioia che i nemici avrebbero provato alla notizia della sua morte. A ciò si aggiunge il timore del castigo eterno, che in precedenza non l'aveva mai sfiorato. Si scatena così quella «bufera» divina che Manzoni aveva invocato nella Pentecoste, perché inducesse nell'animo dei violenti uno «sgomento» tale da insegnare loro «la pietà».

Le scelte stilistiche

L'esame di coscienza dell'Innominato ricorda da vicino i lunghi "a solo" del teatro di Shakespeare, che Manzoni aveva ben presenti. Possiamo pensare per esempio al monologo angosciato di Riccardo III, che esamina le sue colpe nella tragedia omonima, o ai dubbi di Amleto sulla condotta da tenere. La metamorfosi del personaggio manzoniano, attentamente preparata, si svolge rapidamente. In breve tempo la decisione di liberare Lucia diviene, da eventualità (le posso dire: andate, rallegratevi; posso vedere quel viso cambiarsi, le posso anche dire: perdonatemi, rr. 20-21), certezza (La libererò, sì, r. 43). L'evoluzione del suo atteggiamento spirituale accelera sino a farsi riconoscibile in poche righe, come avviene nel passaggio su quell'altra vita (r. 76) prospettata dai preti dopo la morte, che diviene subito dopo quest'altra vita (r. 79).
Nel monologo dell'Innominato il narratore spinge la sua onniscienza più a fondo che mai, scavando nelle pieghe di una mente turbata. Il succedersi nervoso dei moti psicologici è illuminato con minuziosa precisione, ora accompagnato da commenti articolati, ora mostrato nei suoi nudi soprassalti. Al culmine della tensione, il processo con cui l'Innominato acquista consapevolezza dell'irrimediabilità dei propri misfatti – arrivando a un passo dal suicidio – è costruito attraverso un magistrale crescendo, per coppie binarie (Indietro, indietro, d'anno in anno, d'impegno in impegno, di sangue in sangue, di scelleratezza in scelleratezza, rr. 57-58) che culminano nella sovrapposizione della propria stessa esistenza al male: le scelleratezze eran tutte sue, eran lui (r. 61).

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      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Perché l’Innominato quasi scappa dalla vista di Lucia?


2 Che cosa intende quando sostiene di non essere più uomo (r. 24)?

ANALIZZARE

3 Rintraccia le frasi da cui emerge la misoginia dell’Innominato.


4 E don Rodrigo?... Chi è don Rodrigo? (rr. 44-45): quali sentimenti nutre l’Innominato nei suoi confronti?

  •     Simpatia.
  •     Disprezzo.
  •     Indifferenza. 
  •     Compiacimento.

5 Individua i termini a tuo giudizio più significativi che si riferiscono agli stati d’animo dell’Innominato.

INTERPRETARE

6 Lucia, da essere debole e indifeso in quanto prigioniero, diventa potente e piena d’autorità. Confronta questo episodio con il brano dell’incontro tra fra Cristoforo e don Rodrigo (► T7, p. 733) dove avviene un ribaltamento analogo. Quali analogie e quali differenze cogli?


 T12 

La madre di Cecilia

Cap. 34


Guarito dalla peste, Renzo torna a Milano in cerca di Lucia. Trova una città in ginocchio, spopolata e atterrita dall’epidemia. Per le strade si rincorrono urla, bestemmie e risate dei monatti, indaffarati a caricare i cadaveri sui carri. I sopravvissuti si aggirano guardinghi per le strade, o si barricano nelle case. La paura sembra avere ucciso la compassione. Eppure, nel generale degrado, ancora sopravvive qualche barlume di umanità, rischiarata dalla luce della fede.

Entrato nella strada, Renzo allungò il passo, cercando di non guardar quegl'ingombri,1
se non quanto era necessario per iscansarli;2 quando il suo sguardo s'incontrò
in un oggetto singolare di pietà, d'una pietà che invogliava l'animo a contemplarlo;
 di maniera che si fermò, quasi senza volerlo.
5 Scendeva dalla soglia d'uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio,3 una
donna, il cui aspetto annunziava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa; e vi
traspariva una bellezza velata e offuscata, ma non guasta,4 da una gran passione,5
e da un languor6 mortale: quella bellezza molle7 a un tempo e maestosa, che brilla
nel sangue lombardo. La sua andatura era affaticata, ma non cascante; gli occhi non
10 davan lacrime, ma portavan segno d'averne sparse tante; c'era in quel dolore un non
so che di pacato e di profondo, che attestava un'anima tutta consapevole e presente
a sentirlo.8 Ma non era il solo suo aspetto che, tra tante miserie, la indicasse così
particolarmente alla pietà, e ravvivasse per lei quel sentimento ormai stracco e ammortito9
ne' cuori. Portava essa in collo una bambina di forse nov'anni, morta; ma
15 tutta ben accomodata, co' capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo,
come se quelle mani l'avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo, e
data per premio. Né la teneva a giacere,10 ma sorretta, a sedere sur un braccio, col

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petto appoggiato al petto, come se fosse stata viva; se non che una manina bianca
a guisa di cera11 spenzolava da una parte, con una certa inanimata gravezza,12 e il
20 capo posava sull'omero della madre, con un abbandono più forte del sonno: della
madre, ché, se anche la somiglianza de' volti non n'avesse fatto fede, l'avrebbe detto
chiaramente quello de' due ch'esprimeva ancora un sentimento.13
Un turpe monatto andò per levarle la bambina dalle braccia, con una specie
però d'insolito rispetto, con un'esitazione involontaria. Ma quella, tirandosi indietro,
25 senza però mostrare sdegno né disprezzo, «no!» disse: «non me la toccate per
ora; devo metterla io su quel carro: prendete». Così dicendo, aprì una mano, fece
vedere una borsa, e la lasciò cadere in quella che il monatto le tese. Poi continuò:
«promettetemi di non levarle un filo d'intorno,14 né di lasciar che altri ardisca di
farlo, e di metterla sotto terra così».
30 Il monatto si mise una mano al petto; e poi, tutto premuroso, e quasi ossequioso,
più per il nuovo sentimento da cui era come soggiogato, che per l'inaspettata
ricompensa, s'affaccendò a far un po' di posto sul carro per la morticina. La madre,
dato a questa un bacio in fronte, la mise lì come sur un letto, ce l'accomodò,
le stese sopra un panno bianco, e disse l'ultime parole: «addio, Cecilia! riposa in
35 pace! Stasera verremo anche noi, per restar sempre insieme. Prega intanto per noi;
 ch'io pregherò per te e per gli altri». Poi voltatasi di nuovo al monatto, «voi», disse,
«passando di qui verso sera, salirete a prendere anche me, e non me sola».
Così detto, rientrò in casa, e, un momento dopo, s'affacciò alla finestra, tenendo
in collo un'altra bambina più piccola, viva, ma coi segni della morte in volto.
40 Stette a contemplare quelle così indegne esequie della prima,15 finché il carro non
si mosse, finché lo poté vedere; poi disparve. E che altro poté fare, se non posar sul
letto l'unica che le rimaneva, e mettersele accanto per morire insieme? come il fiore
già rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino ancora in boccia,16 al passar
della falce che pareggia tutte l'erbe del prato.
45 «O Signore!» esclamò Renzo: «esauditela! tiratela a voi, lei e la sua creaturina:
hanno patito abbastanza! hanno patito abbastanza!».

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I contenuti tematici

Siamo dinanzi alla pagina più straziante del romanzo, più volte rivista da Manzoni, al quale l'ispirazione venne da un passo del trattato De pestilentia, scritto dal cardinal Borromeo a margine della grande epidemia che si scatenò a Milano nel 1630. Il tono lirico del brano contrasta fortemente con il resto del capitolo, in cui la città è rappresentata come un luogo infernale, dove la morte è divenuta avvenimento comune e privo di importanza, tanto che i cadaveri vengono ammassati sui carri dai monatti senza riguardi, come sacchi «in un mercato di granaglie». È in questo contesto di desolazione che fa il suo ingresso la madre di Cecilia, con un moto dall'alto verso il basso (Scendeva dalla soglia, r. 5) che ne suggerisce l'estraneità al generale abbrutimento, una diversità rimarcata dall'accenno a una bellezza offuscata (r. 7) ma non cancellata dai segni della malattia: una bellezza molle a un tempo e maestosa (r. 8), che la proietta in un'aura di distanza. Come già nel ritratto della monaca di Monza, il narratore abbandona i canoni classici di un'armonia incontaminata e lontana dalle miserie umane: la grazia si presenta romanticamente intrecciata al dramma.

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Immagine sublime del dolore materno, la donna assiste all'agonia e alla morte delle figlie senza abbandonarsi alle lacrime o a gesti disperati. La sua asciutta commozione ha un fascino magnetico che si trasmette, prima che al lettore, a Renzo che si ferma a guardarla quasi senza volerlo (r. 4) e poi al monatto cui consegna Cecilia: questi immediatamente si fa tutto premuroso, e quasi ossequioso (rr. 30-31), non in virtù della ricompensa, ma per il nuovo sentimento da cui era come soggiogato (r. 31). Ad alimentare la dignità della madre è la fede in Dio, che echeggia nelle composte parole di addio alla figlia, e si riconosce nell'amorosa cura con cui ne prepara l'ultimo viaggio, tutta ben accomodata, co' capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo, come se quelle mani l'avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per premio (rr. 15-17). La speranza di una vita eterna dà significato al dolore intollerabile inflitto a un'innocente, sintetizzato nel doloroso accostamento nov'anni, morta (r. 14).

Le scelte stilistiche

La scena dell'addio a Cecilia è colta dal punto di vista di Renzo, che alla fine dà sfogo alla propria compassione. L'attenzione concentrata con cui segue la scena, interrompendo il cammino, si traduce in un deciso rallentamento del ritmo narrativo, cadenzato da una lunga sequenza di imperfetti riservati alle azioni della madre (scendeva, veniva ecc.). Le graduali messe a fuoco comportano il ricorso sistematico alle avversative, che funzionano da "aggiustamenti" della prima impressione: la giovinezza della madre dunque era avanzata, ma non trascorsa (r. 6); la sua bellezza velata e offuscata, ma non guasta (r. 7); l'andatura era affaticata, ma non cascante; gli occhi non davan lacrime, ma portavan segno d'averne sparse tante (rr. 9-10).
Più attento ai particolari concreti è lo sguardo riservato alla bambina, abbagliato dal vestito bianchissimo (r. 15): il superlativo si fa emblema della sua immacolata purezza. Non a caso la medesima nota di colore – l'unica del passo – si ripresenta nella manina bianca (r. 18) e nel panno bianco (r. 34) che ne ricopre le spoglie. Manzoni conclude l'episodio come l'ha cominciato, su una nota alta, proponendo una visione cosmica della morte, tramite la similitudine di ascendenza classica della falce che, tagliando, pareggia tutte l'erbe del prato (r. 44).

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Riassumi il brano in non più di 10 righe.


2 Perché la madre ordina al monatto di ritornare più tardi?


3 Da quali segni Renzo comprende di essere dinanzi a una madre che sorregge la figlia morta?

ANALIZZARE

4 Nell’espressione con una specie però d’insolito rispetto, con un’esitazione involontaria (rr. 23-24) quale figura retorica riconosci?

  •     Anastrofe.
  •     Chiasmo.
  •     Climax
  •     Perifrasi.

INTERPRETARE

5 Spiega che cosa impedisce alla madre di scivolare nella disperazione.


6 Quale ti sembra sia la sensazione prevalente del monatto di fronte alla compostezza della madre di Cecilia?

PRODURRE

7 Descrivi quali emozioni può suscitare la lettura di questo brano e “ascolta” quali prevalgono in te.


I colori della letteratura - volume 2
I colori della letteratura - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento