Il Settecento – L'opera

Il Giorno

Il Giorno, capolavoro incompiuto di Parini, è un poemetto satirico-didascalico in endecasillabi sciolti, che descrive, come suggerisce il titolo, la giornata tipo di un «giovin signore»: assumendo le vesti di un servile precettore e fingendo di aderire all’ideologia nobiliare, il poeta impartisce al rampollo di una famiglia aristocratica una serie di istruzioni sul modo migliore e più conveniente alla sua classe sociale di trascorrere le diverse parti della giornata, mettendo in evidenza in realtà il vuoto che la caratterizza.
Attraverso il meccanismo dell’antifrasi, in base al quale il poeta usa espressioni di significato opposto a quello che vuole realmente far intendere, l’opera racconta con toni ironici e scherzosi – che giungono però anche alla critica aperta e al duro sarcasmo – salotti, teatri, feste, cene, cacce e ogni genere di attività dei nobili, dediti esclusivamente a un vacuo e sterile godimento dei privilegi acquisiti.
Tali privilegi appaiono tanto più insensati se messi a confronto con la vita del popolo, sana, laboriosa e volta all’”utile”: anche se privi di cultura, i più semplici sanno esprimere la realtà di un mondo in evoluzione, di cui Parini è un acuto interprete.

1 Stesura e struttura

La composizione e la pubblicazione

L’opera, cui l’autore dedica gran parte della sua vita senza tuttavia arrivare a terminarla, è composta da circa 4000 endecasillabi sciolti. Le parti edite mentre è in vita sono Il Mattino (1763) e Il Mezzogiorno (1765). A queste, Parini intendeva inizialmente aggiungere un terzo poemetto, La Sera; in seguito, però, cambia idea, progettando la composizione di un solo poema diviso in quattro parti: Il Mattino, Il Meriggio, Il Vespro e La Notte. Titolo complessivo dell’opera doveva essere, appunto, Il Giorno.

Per realizzare il suo progetto, Parini lavora alla revisione delle due sezioni già pubblicate, con l’intenzione di renderle parti di un insieme coerente: riscrive alcune sequenze, interviene sullo stile, aggiunge brani nuovi. Il Mezzogiorno cambia titolo, divenendo Il Meriggio, e la sua conclusione confluisce nella terza sezione, intitolata Il Vespro. Quest’ultima è la parte meno elaborata ed estesa di tutta l’opera, mentre alla quarta, La Notte, Parini si dedicherà con molto impegno fino agli ultimi anni: ne rimangono 673 versi compiuti, numerosissimi appunti preparatori e frammenti incompleti.

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Solo due anni dopo la morte del poeta, nel 1801, Il Giorno viene stampato nel suo insieme a cura di un fedele allievo di Parini, Francesco Reina, che compie però interventi arbitrari sul testo. Per tutto l’Ottocento e per gran parte del Novecento l’opera viene letta in quell’edizione, destinata a essere completamente rivoluzionata dal lavoro critico di Dante Isella, terminato nel 1969. Il filologo ha distinto innanzitutto le parti a stampa dai testi derivati dai manoscritti, che costituiscono redazioni nuove del Mattino e del Meriggio; quindi, ha separato i testi non compiuti del Vespro e della Notte, dando risalto, nel suo apparato di commenti, all’originalità di quest’ultima sezione, che ora viene apprezzata soprattutto per le sue qualità sperimentali e per la caratteristica di opera in continua evoluzione, in cui si vede come il poeta ha sovvertito fino all’ultimo gli equilibri d’insieme.

La trama

Il Giorno si presenta come la raccolta di una serie di insegnamenti impartiti da un precettore a un nobile allievo, che deve imparare quali siano i giusti comportamenti da adottare nella sua vita mondana. L’ironia dell’opera consiste nel fatto che tali precetti sono smaccatamente falsi, essendo intesi a lodare i vizi e denigrare le virtù, con un ribaltamento in chiave comico-grottesca del genere didascalico. Sotto la finzione pedagogica si procede, di fatto, all’accurata descrizione della vita quotidiana di un aristocratico, osservato nel corso di una giornata tipica della sua oziosa esistenza. In tal modo Parini può mettere in evidenza il carattere frivolo e vano delle occupazioni proprie di una classe nobiliare inutile e parassitaria.

Nel Mattino si assiste al risveglio del giovin signore, che è andato a letto tardi, dopo feste, bevute e balli, e apre gli occhi solo quando il sole è già alto e il resto del mondo è al lavoro ormai da ore. Egli divide pigramente la sua attenzione fra i cibi esotici della prima colazione e le futili chiacchiere dei maestri di canto, di ballo e di lingua francese. Prima della toeletta compie i suoi doveri di cicisbeo , mandando un valletto a chiedere notizie sulla salute della dama alla quale fa da cavalier servente. Dopo una digressione del poeta sull’origine del cicisbeismo, nella forma di una favola mitologica che narra la storia di Amore e Imene, ritroviamo il protagonista che, acconciato dal parrucchiere, parte in carrozza per una corsa a tutta velocità lungo le strade cittadine, dove le ruote del suo convoglio minacciano pericolosamente i passanti.

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Nel Mezzogiorno l’ambiente comincia a farsi più vario e ricco, e i personaggi che attorniano il protagonista si moltiplicano. La scena si svolge alla tavola della dama e le conversazioni si intrecciano intorno a vari argomenti: l’arte, il commercio, l’industria e le scienze, in modo molto fatuo e con una diffusa ostentazione di modi di pensare moderni e spregiudicati. I commensali mostrano verso il cibo un ricercato disdegno: privi di appetito, cercano solo di soddisfare il piacere, con un gusto raffinato e artificioso.
Come nel Mattino, la vicenda narrata si interrompe per far spazio a una digressione, la favola del Piacere, in cui viene confermata – sempre in chiave antifrastica, cioè affermando il contrario di quanto si vuole dichiarare – l’inferiorità del volgo. Il poeta raggiunge qui il culmine dell’ironia, facendo derivare le differenze fra aristocratici e plebei da una maggiore attitudine dei primi a percepire le sensazioni del piacere: poiché per il giovin signore l’appagamento dei sensi è scopo e norma di vita, Parini pone sarcasticamente l’origine della nobiltà non già in capacità reali quali «arte, forza, fortuna», bensì appunto nel “dono” di saper apprezzare il piacere.
Fra i commensali c’è anche un vegetariano, che odia la violenza perpetrata ai danni degli animali. La dama lo ascolta pensando con commozione alla sua «vergine cuccia», la cagnetta che morse il piede di un servo e fu da questi colpita con un calcio; il servo fu subito licenziato e i suoi familiari ridotti in miseria (► T5, p. 368).
Il pranzo intanto è finito, e i convitati si ritirano dalla tavola per non sentire gli odori degli avanzi, che, per loro insopportabili, sono invece assai graditi ai mendicanti che aspettano di riceverli fuori dal portone del palazzo. Dopo il caffè, subentra il rumoroso gioco del tric-trac (un gioco da tavola per due giocatori, praticato su una tavola di legno su cui si può giocare anche a backgammon), inventato da Mercurio per permettere i segreti colloqui tra gli amanti ed eludere la gelosia dei mariti, ma divenuto poi un puro e disinteressato passatempo di società. Qui ha termine il Mezzogiorno, che nell’edizione a stampa del 1765 continuava con la descrizione del tramonto e della passeggiata in carrozza, confluita poi nella terza parte del poemetto, Il Vespro.

Nel Vespro, che si apre con la bellissima scena dell’imbrunire, assistiamo alla corsa in carrozza, attraverso la città, del giovin signore e della sua dama, che vanno a far visita – per dovere o curiosità – agli amici e alle amiche. Si trova qui la descrizione della principale strada cittadina, affollata di gente, e della sfilata dei cocchi, interessante mostra dei tipi umani più diversi: dal bellimbusto al nuovo nobile, dalle vecchie madri, che conducono a passeggio le figlie da marito, alle nobildonne di più antica aristocrazia. Nel turbinio fragoroso delle carrozze, il poeta sofferma lo sguardo sul suo eroe, dipingendolo intento a passeggiare solitario o a discorrere con una nuova dama, mentre la sua compagna inganna l’attesa circondata dalle premure di altri damerini.
Nell’ultima parte, La Notte, l’oscurità incalza, e il poeta coglie l’occasione per comporre un pezzo di grande maestria stilistica e di gusto apparentemente preromantico. A questo “tenebroso” esordio subentra poi la descrizione del salotto notturno, della folla di personaggi che lo frequenta, delle conversazioni. Infine, a notte alta, fanno la loro apparizione le carte da gioco, mentre, a coronamento di una così intensa giornata, circolano tra gli ospiti i gelati ristoratori.

Rispetto alle prime due parti, nel Vespro e nella Notte il quadro si allarga ulteriormente, e il ritratto della vita dell’aristocrazia (fatta di visite, amori, litigi, divertimenti, ricevimenti, giochi di società) si fa più completo. Il tono è più pensoso e sommesso: le delusioni di una vita, l’età, la consapevolezza della resistenza al cambiamento pervadono questi versi; solo episodicamente ritroviamo la forza polemica del giovane Parini, cui subentra un senso di rassegnazione o distacco. Il poeta sembra muoversi ora verso una più profonda contemplazione dei sentimenti, al punto da apparire desideroso di smorzare la satira, ormai lontano dalle idee radicali che lo avevano affascinato senza mai conquistarlo del tutto.

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I due personaggi principali 

Dalla lettura complessiva dell’opera, emerge un’immagine del giovin signore indefinita e sfocata, perché più che «una creatura viva» egli appare come «un’ipotesi polemica» (Bonora), vale a dire una figura astratta, che serve all’autore per sviluppare la propria critica sociale e morale. Il protagonista non ha spessore psicologico ed è privo di una vita interiore: è una sorta di automa (un’invenzione settecentesca in voga nei ceti benestanti), una creatura artificiale e meccanica, una marionetta senz’anima, sentimenti ed emozioni, dedito a un’esistenza puramente materiale ed esteriore.

Rivolgendosi al protagonista, il poeta indossa i panni del precettore, fingendo di assumere il punto di vista aristocratico e di svolgere con serietà il proprio impegno didascalico, ma svelando in realtà, grazie al carattere ironico del travestimento, la natura frivola e vacua del giovin signore e del suo ambiente sociale. Mentre i nobili di un tempo (gli «inclit’avi ») erano operosi e magnanimi, quelli contemporanei (gli «Augusti del suo secolo») risultano inutili nella loro oziosa inoperosità e nelle loro superficiali occupazioni. Così, adattando il proprio compito pedagogico alla realtà di un universo ridotto a etichetta e a involontaria caricatura di sé stesso, il falso precettore si tramuta da “maestro di vita” in “maestro di cerimonie” che illustra al giovane nobile le incombenze della vita mondana e le regole di comportamento adeguate al suo rango.

2 I temi

Il Giorno era stato concepito in origine come un’epopea in chiave ironica, in cui la celebrazione dell’eroe doveva giungere fino alla narrazione della sua morte, dei suoi funerali e addirittura della sua discesa agli inferi. Parini si rende però presto conto che quella in cui vive non è più un’epoca da epopee, sia pure satiriche: la nobiltà di sangue, che era stata per secoli il soggetto del genere epico, appare irrimediabilmente decaduta. Nella concreta situazione storica della seconda metà del Settecento, il poeta – che per Parini deve sempre porsi come obiettivo etico la ricerca della verità – non può che constatarne il declino e la lampante mediocrità.

Le futili occupazioni dei nobili moderni vengono dunque presentate ironicamente. Sotto la finzione pedagogica, emerge la totale e insulsa insignificanza dell’aristocratico, che vive la sua giornata identica a tutte le altre, inutili e oziose.

La noia è il tema che percorre l’intero poema, fino a diventare il centro della sezione conclusiva, La Notte. Invano i protagonisti cercano di riempire le loro giornate dedicandosi a frivoli passatempi o alle ritualità della vita mondana, che il poeta chiama, sarcasticamente, «fatiche illustri» e «gloriosi affanni»; immersi in una società afflitta da «noiosa ipocondria», il giovin signore e la sua dama si sono scelti reciprocamente proprio per tentare di scacciare la monotonia della loro esistenza. Tuttavia, abbandonata a sé stessa, la «coppia beata» scopre di non avere idee da scambiare o sentimenti da condividere.

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A riempire questo mondo vuoto c’è un accumulo di oggetti lussuosi ma superflui, descritti da Parini con un’ironia che rivela la condanna di tutto ciò che risulta inutile per vivere (e che è negato ai più): i nobili hanno troppo, il popolo poco o niente. Sui «leggiadri arnesi» che rendono comoda e confortevole l’esistenza dell’aristocrazia, il poeta versa dosi di veleno satirico, descrivendoli con perifrasi ricercate (per cui, per esempio, la brocca dell’acqua diventa il «cristallino rostro»).

Circondato dallo splendore sfarzoso degli abiti e degli arredi, il nobile, «che da tutti servito a nullo serve», vegeta in un mondo a parte, opposto ai ritmi della natura, ai cicli delle stagioni e all’alternanza del giorno e della notte: dorme quando l’umanità laboriosa è in attività e veglia durante la notte, che concede il riposo ai contadini e ai lavoratori stanchi.
A questo proposito si è notato come nel Giorno vi siano molte descrizioni del lavoro dei campi, mentre gli altri mestieri hanno molto meno spazio, a eccezione di quelli appartenenti alla sfera della servitù. La celebrazione dell’agricoltura equivale per Parini all’elogio di una vita regolata dai ritmi naturali, coerentemente con la visione dei filosofi fisiocratici, alle cui idee, come abbiamo visto, egli era vicino. Si trova così, nel Giorno, una vera e propria poesia della natura, che si manifesta non soltanto nelle descrizioni del mattino, del tramonto, del crepuscolo e della notte, ma in tanti altri passi in cui al chiuso stagnante dei palazzi patrizi l’autore contrappone – come già nell’ode La salubrità dell’aria (► T2, p. 345) – la freschezza salutare, in senso fisico e morale, della campagna.

3 Le forme

Le fonti 

Già prima di Parini, la futile esistenza dei giovani nobili era stata oggetto di pungenti satire, in Italia e all’estero. La coltissima scrittura pariniana ha in effetti molti precedenti, alcuni ancor oggi celebri, altri dimenticati. Per esempio, il poeta impara a comporre i suoi tipi umani dalla grande satira sociale dei Caratteri (1688), del moralista francese Jean de La Bruyère (1645-1696). In questo senso, era mal fondato il risentimento del principe Alberico di Belgioioso, che si riconobbe nel bellimbusto pariniano, e minacciò il poeta di spiacevoli conseguenze nel caso avesse osato pubblicare il poemetto.

Sul piano tematico, un antecedente diretto del Mattino è il poema latino Contro le occupazioni mattutine di un giovane scellerato (1672) del gesuita e professore di retorica Giovanni Lorenzo Lucchesini (1638-1716), che inizia proprio con la descrizione di un giovane signore infastidito dal servitore che vorrebbe svegliarlo.
Altre fonti possono essere individuate nella produzione letteraria settecentesca, ricca di descrizioni, in stile rococò, del mondo galante, e nelle caricature del «damerino affettato » composte dallo scrittore veneziano Carlo Gozzi (1720-1806).
Sul piano stilistico, un vago influsso virgiliano è riscontrabile nel modello del poema didascalico (quali erano le Georgiche). Parimenti nota a Parini è però anche la tradizione del poema eroicomico: egli amava particolarmente il capolavoro del genere, La secchia rapita (1622) di Alessandro Tassoni (1565-1635).

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Lo stile 

Per conseguire il suo intento satirico, Parini ricorre a una pluralità di toni, da cui deriva la ricchezza espressiva dell’opera. Si trovano in primo luogo l’antifrasi e l’ironia, che, permettendo di affermare il contrario di quanto in realtà si intende esprimere, consentono al poeta di esaltare la vita onesta e i valori semplici attraverso la lente deformata della mentalità nobiliare. Ma nel testo compare anche una forma di ironia più aspra, pungente ed esasperata: è il sarcasmo, che lascia intravedere più chiaramente il pensiero dell’autore, sopraffatto dall’amarezza e dall’indignazione di fronte a costumi sociali che disapprova.
Più rara, ma comunque presente, è la deprecazione, vale a dire l’espressione diretta di aperta critica nei confronti dei personaggi e dei loro comportamenti: in questo caso il giudizio di condanna morale è esplicito e non mediato da particolari filtri retorici.
In certi casi, infine, l’ironia e la satira lasciano il posto a un’intima ispirazione lirica. In questi passi, in cui la sua natura di poeta idealmente legato al popolo ha il sopravvento, Parini, deponendo la maschera del pedagogo, afferma il suo vero pensiero.

La tessitura formale dell’opera è estremamente raffinata: l’eccellenza dello stile pariniano è stata paragonata a quella di Virgilio, tanto che Leopardi definirà Parini «Virgilio della moderna Italia». Il tono aulico, che all’interno di un periodare ampio e latineggiante appare a prima vista uniforme, è però ravvivato dal contrasto con i termini concreti della vita quotidiana.
Componenti alte e basse si alternano unendo echi classici e riferimenti al mondo moderno (con i neologismi propri della scienza e della tecnica del tempo), in un continuo alternarsi di scelte espressive che rendono il dettato particolarmente dinamico, tanto da fare di Parini un profondo innovatore della lingua poetica italiana.

La libertà espressiva del poeta si esprime anche, a livello metrico, nella scelta dell’endecasillabo sciolto, che gli offre la possibilità di disporre senza vincoli la ricca materia narrativa. Quello di Parini è infatti un endecasillabo sciolto estremamente vario, tanto che Giosuè Carducci dirà che il poeta lombardo «seppe fargli prendere tutte quasi le pose dell’esametro, seppe farlo nella tenuità sua limitata allungare, allargare, snodare, fargli simulare il passo del gran verso antico».

Al Giorno sono state mosse anche alcune critiche. La minuziosità delle descrizioni, per esempio, genera secondo alcuni una monotonia di fondo. In effetti Il Mattino, con il protratto esame delle minute occupazioni del giovin signore, può riuscire a tratti monocorde; Parini stesso mostra di esserne cosciente, come testimoniano le parti successive, in cui l’impianto del poemetto didascalico evolve verso la forma del poemetto satirico ed eroicomico, in una specie di commedia la cui scena si allarga sempre più. Nel Mezzogiorno, alla figura del giovin signore si aggiungono quelle della dama, del «dabben marito», dei parassiti; nel Vespro il marito scompare, e il cavaliere e la sua dama assumono quasi un ruolo di guida del poeta fra altre figure e scene del bel mondo; nella Notte, infine, il giovin signore si confonde nella conversazione generale: qui, presentandoci un’inquietante schiera di individui squallidi e mediocri, l’arte di Parini raggiunge senza dubbio le sue vette espressive.

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L’altra critica mossa al poema riguarda una sostanziale mancanza di unità dei tanti motivi presenti nell’opera. In realtà, la pluralità delle situazioni è unificata dall’austera e insieme amabile personalità del poeta, sempre vigile e presente. Attraverso l’ironia, egli ci rivela i suoi ideali – l’uguaglianza, la famiglia, la religione, l’amore per l’arte classica – che costituiscono il quadro unificante della sua scrittura.

4 I testi

Temi e motivi dei brani antologizzati
T4
Il proemio
Il Mattino, vv. 1-32
• introduzione dell’argomento e del protagonista
• il ruolo del precettore
• l’enfasi ironica dello stile
T5
La vergine cuccia
Il Mezzogiorno, vv. 503-556
• la falsa sensibilità del vegetariano e della dama
• il tenore tragicomico della vicenda
• l’ironia e il sarcasmo come armi di denuncia contro la crudeltà dell’aristocrazia
Analisi del testo
Tipologia A
La favola del Piacere
Il Mezzogiorno, vv. 250-284
• l'origine delle diseguaglianze sociali

Un’aristocratica colazione 

Il veneziano Pietro Longhi (1701-1785) è il massimo cronista della vita privata dell’alta società del tempo. Nelle sue tele, solitamente di piccole dimensioni, egli raffigura, senza alcun intento politico o celebrativo, aristocratici che si muovono nelle loro ricche dimore, intenti alle occupazioni e agli svaghi più vari: lezioni di danza, concerti, o, come in questo caso, eleganti colazioni. I dipinti di Longhi ebbero un notevole successo tra l’aristocrazia veneziana, e il pittore continuò a lungo a replicare le stesse formule compositive e le medesime scelte stilistiche. Nella Cioccolata del mattino, una dama, ancora a letto, riceve la colazione, una cioccolata in tazza, bevanda molto apprezzata nelle corti italiane sia per i banchetti, sia per il risveglio di nobili e dame.

I colori della letteratura - volume 2
I colori della letteratura - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento