1 - La vita

Il Settecento – L'autore: Giuseppe Parini

1 La vita

La formazione e i primi successi 

Giuseppe Parini nasce a Bosisio, in Brianza, presso il lago di Pusiano, nel 1729. I genitori sono di modeste condizioni (il padre è agricoltore e negoziante di seterie). Antonio Maria Giuseppe Gaetano Parino – che poi modificherà il suo cognome in Parini – è uno dei pochi, tra i numerosi fratelli (alcuni dei quali nati da un precedente matrimonio del padre), a sopravvivere all'infanzia.

All'età di dieci anni, Parini è mandato a Milano, in casa della vecchia prozia Anna Maria Lattuada. Quando la donna muore, nel 1741, lascia al nipote una piccola rendita, a condizione che si faccia prete. Il ragazzo accetta: non per vocazione, ma perché quella ecclesiastica è pressoché l'unica possibilità di carriera per i giovani di talento ma di condizioni modeste. Iscritto alle scuole dei padri barnabiti di Sant'Alessandro, diventerà sacerdote nel 1754. Intanto, anche il resto della famiglia si trasferisce a Milano.
A causa della salute malferma – colpito alle gambe da una grave forma di artrite, resterà claudicante per il resto della vita – Parini frequenta la scuola in modo saltuario. Deve inoltre svolgere piccoli lavori (fa il copista, dà lezioni private ad allievi benestanti) per assicurare il sostentamento della famiglia; nonostante ciò, trova il tempo di dedicarsi alla letteratura classica e alla poesia.

Nel 1752, conclusi gli studi, Parini rivela la propria vocazione letteraria pubblicando una raccolta di versi dal titolo Alcune poesie di Ripano Eupilino (pseudonimo composto, secondo il gusto allora in voga, dall'anagramma del suo cognome originario, Parino, e dal nome latino del lago di Pusiano, Eupili). Il successo dell'opera gli apre le porte delle accademie: quella bolognese degli Ipocondriaci e quella milanese dei Trasformati, alle quali viene ammesso, contemporaneamente, nel 1753. L'istituzione milanese, in particolare, procura al giovane poeta un pubblico, degli amici e qualche protettore illustre, di cui fino a quel momento è stato privo.

il carattere

Un uomo schivo e appartato

Riservatezza e semplicità 
Di modeste origini e vissuto per molti anni in dignitosa povertà, già ai suoi tempi Parini è noto per lo stile di vita semplice: i biografi raccontano dei suoi pasti modesti e della sua unica passione, collezionare orologi. 
Alle occupazioni mondane preferisce, secondo l'esempio dell'amato poeta latino Orazio, le serate in casa, davanti al camino, o le partite a carte con i pochi amici. Una connaturata pigrizia, le difficoltà nel movimento e i frequenti dolori al capo (conseguenza di un'acuta nevrastenia che da giovane aveva fatto temere per la sua salute mentale) gli rendono sgradito uscire di casa; solo l'insistenza di qualche giovane amico o di una delle dame che è solito corteggiare con elegante riserbo lo inducono ad abbandonare il proprio rifugio domestico. 

La curiosità per il mondo
Come ha scritto il critico Pietro Citati, i suoi «occhi acuti», l'«udito delicatissimo» e «l'immaginazione agile e rapida», abilmente nascosta dietro una mite riservatezza, si esercitano negli appuntamenti mondani, come le serate a teatro, quando frequenta l'artificioso mondo aristocratico milanese per osservarne «tutti i microscopici movimenti e le minime vibrazioni». È anche da questo studio attento e curioso che nasce l'ispirazione per i personaggi e gli ambienti che popoleranno il suo lavoro.

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PER APPROFONDIRE

L’Accademia dei Trasformati 

Un sodalizio fra intellettuali
L’Accademia dei Trasformati, la cui fondazione risale al 1546, risorge a Milano nel 1743, dopo quasi due secoli di interruzione dell’attività, per iniziativa di un gruppo di nobili ed ecclesiastici lombardi e rimarrà in vita fino al 1768. Promotore della sua rifondazione è il conte Giuseppe Maria Imbonati, che offre il suo palazzo per ospitarne le riunioni e la cui autorità viene riconosciuta con l’attribuzione della carica di conservatore perpetuo. L’istituzione mantiene in vita l’antico emblema cinquecentesco: un platano carico di frutti. 
L’Accademia è principalmente un luogo d’incontro per gli intellettuali che ne fanno parte: oltre a nobili ed ecclesiastici, in nome dell’ideale "Repubblica delle Lettere" essa accoglie anche letterati appartenenti alla classe media, o addirittura poveri. 
Due volte al mese i suoi membri si riuniscono per parlare «dei libri recentemente venuti alla luce e del le condizioni delle lettere», come ricorda Giuseppe Baretti, che ne fece parte insieme a Pietro Verri (futuro fondatore del periodico "Il Caffè" e dell’Accademia dei Pugni). 

Un classicismo democratico
L’orientamento estetico dell’Accademia è legato ai modelli classici e rinascimentali: gli autori antichi sono però liberati dall’ormai stanca interpretazione idealizzante proposta dall’Arcadia, e vengono finalmente studiati per comprendere la realtà loro contemporanea. 
Non estranei all’Illuminismo, i Trasformati cercano di conciliare la tradizione classica con le nuove idee che stanno maturando in Europa. In virtù di uno spirito di apertura democratica nei confronti della società, inoltre, tre volte l’anno le porte dell’Accademia sono aperte al pubblico, che vi si reca ad ascoltare la trattazione degli argomenti più disparati. 

Nel 1754 Parini entra nella casa del duca milanese Gabrio Serbelloni in qualità di precettore dei suoi figli. L'esperienza, che durerà fino al 1762, è molto importante per il poeta, che ha modo di conoscere da vicino il mondo dell'aristocrazia, dal quale si sente attratto. Il rapporto si conclude però bruscamente: in seguito a un acceso diverbio con la moglie del duca, Parini viene licenziato.
Nel 1763 trova un nuovo impiego presso la famiglia di Giuseppe Maria Imbonati, come precettore del figlio Carlo: è per lui che, nel 1764, scrive l'ode L'educazione. Negli stessi anni pubblica le prime due parti di un poema che progetta di intitolare II Giorno: Il Mattino (1763) e Il Mezzogiorno (1765); nonostante le edizioni siano anonime, molti riconoscono il loro autore, che si guadagna sempre più largo consenso di pubblico e viene identificato come uno degli intellettuali "riformatori", di cui il governo austriaco ricercava allora la collaborazione. Così, nel 1768, anno in cui termina il suo lavoro presso i conti Imbonati, Parini ottiene la nomina di "poeta del Regio Teatro Ducale".

Gli incarichi pubblici

Il 1769 è un anno fondamentale per Parini, che riceve l'incarico di dirigere il settimanale "La Gazzetta di Milano"; il governo austriaco – su impulso dell'imperatrice Maria Teresa, la cui azione politica si ispira ai princìpi dell'assolutismo illuminato – intende infatti modernizzare il periodico, conferendogli un'impronta di tipo riformista.
Alla fine dell'anno si guadagna inoltre la nomina a docente di Belle Lettere presso le Scuole Palatine, che nel 1773 si trasferiscono nel palazzo di Brera, già sede dell'Università dei Gesuiti. Le Scuole diventano poi Regio Ginnasio e, nel 1776, sono affiancate dall'Accademia di Belle Arti (tuttora esistente a Brera). Parini insegna presso entrambi gli istituti, entrando in contatto con vari artisti neoclassici, ai quali suggerisce i soggetti per cicli pittorici dipinti a Palazzo Belgioioso, Palazzo Ducale e al Teatro alla Scala. I suoi impegni istituzionali, in questo periodo, sono molteplici: dalle commissioni di concorso alle consulenze per le riforme scolastiche.

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Con la morte di Maria Teresa d'Austria, nel 1780, si apre un periodo difficile per la cultura milanese: i rapporti fra il governo austriaco e gli intellettuali lombardi si raffreddano; alcuni collaboratori sono licenziati (fra gli altri, Pietro Verri), e sono in molti a ritenere che l'utopia riformista a lungo vagheggiata sia giunta al tramonto.

cronache dal passato

L’abate e la duchessa 

«Ho dovuto disfarmi dell’abate Parini, a cagione d’una scenata che mi fece...»


È uno dei Trasformati, l'abate Soresi, a far sì che Parini entri nel 1754 come precettore nella casa del duca Gabrio Serbelloni. In realtà, però, a scegliere il giovane abate (come nel Settecento si chiamavano i sacerdoti-intellettuali) è la moglie del nobile, la duchessa Maria Vittoria Ottoboni Boncompagni, di cui Parini è un devoto ammiratore. 

Una nobildonna colta e raffinata 
Esponente dell'aristocrazia romana e nipote di papa Benedetto XIV, Maria Vittoria aveva sposato il duca nel 1741. Mentre lei è una donna socievole e aperta, lui è un individuo burbero e chiuso, tanto che il suo motto pare fosse "Esigere tutto dagli altri e non fare nulla per loro". Diversamente dal marito, inoltre, Maria Vittoria è una donna colta e raffinata, amante del teatro e della letteratura (in particolare di quella francese) e animatrice dei salotti culturali più vivaci dell'epoca. 

La gelosia di Verri 
Lo stesso anno in cui Parini viene assunto per fare da precettore ai quattro figli maschi dei Serbelloni, la duchessa Maria Vittoria si lega sentimentalmente al venticinquenne Pietro Verri (la donna aveva all'epoca trentadue anni). Nonostante Verri condivida le critiche di Parini al lusso sfrenato dell'aristocrazia milanese, è geloso del tempo e della stima che la duchessa riserva al giovane abate. 

L’episodio del licenziamento 
La nobildonna si separerà dal marito nel 1756, per vivere apertamente la relazione con Verri. In occasione della morte di Maria Vittoria, avvenuta nel 1790, l'intellettuale illuminista scriverà: «Fu donna di animo fermo e buono e aveva lo spirito corredato da una assai vasta lettura». Un giudizio che un episodio riguardante Parini sembra a un tempo confermare (per quanto riguarda la fermezza) e smentire (per quanto attiene alla bontà d'animo). Un giorno dell'autunno del 1762, nella villa di Gorgonzola, Maria Vittoria perde la pazienza con la figlia del maestro di musica Sammartini, che era sua ospite: alla ragazza, che voleva tornare a tutti i costi in città, la duchessa dà due schiaffi. Parini non tollera il gesto, protesta vibratamente, pianta in asso la nobildonna e i suoi figli, offrendosi di riaccompagnare la figlia di Sammartini a Milano. Verrà licenziato in tronco. «Ho dovuto disfarmi dell'abate Parini, a cagione d'una scenata che mi fece a Gorgonzola», scriverà lei. Lui si rifà pubblicando, l'anno dopo, Il Mattino, in cui mette alla berlina i comportamenti dell'aristocrazia milanese che aveva conosciuto bene proprio in casa Serbelloni. 

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Di lì a poco, inoltre, la situazione politica europea precipita: mentre si consuma la stagione del dispotismo illuminato, da Oltralpe arrivano le notizie della Rivoluzione francese (1789). Dapprima favorevole agli eventi rivoluzionari, interpretati come la realizzazione delle idee di libertà e di uguaglianza, Parini manifesterà in seguito la propria disapprovazione per gli eccessi del Terrore giacobino.

Nel 1791, intanto, è nominato sovrintendente delle Scuole di Brera; pubblica in quell'anno la raccolta delle Odi, mentre il poema II Giorno resta incompiuto.
All'arrivo dei francesi a Milano, nel 1796, viene chiamato a collaborare con la nuova Municipalità, insieme a Pietro Verri. Tuttavia, stanco, malato e quasi cieco, il poeta abbandona l'incarico poco dopo, e così, al ritorno degli austriaci (1799), si ritrova al riparo dalle persecuzioni che colpiscono i collaboratori del precedente governo. Nel 1799, su richiesta degli austriaci, scrive un sonetto che celebra la restaurazione del loro dominio su Milano: Predâro i Filistei l'arca di Dio. L'episodio biblico è utilizzato per parlare della più stretta contemporaneità: la vittoria di re Davide sui Filistei è lo specchio della vittoria austriaca sui francesi, e i nuovi dominatori sono esortati dal vecchio poeta a perseguire «la giustizia e il retto esempio».
Nello stesso 1799, il 15 agosto, Parini muore a Milano. Come da sua volontà, viene sepolto senza le esequie solenni riservate ai personaggi della sua fama.

2 Le opere

La produzione in versi

Le poesie giovanili e i componimenti d’occasione

I primi versi di Parini, come si è visto, sono riuniti nel 1752 nel volume intitolato Alcune poesie di Ripano Eupilino. L'eterogenea raccolta comprende 94 componimenti di diverso genere e di varia ispirazione: dall'imitazione degli autori latini e del poeta satirico cinquecentesco Francesco Berni, all'adozione di modelli rinascimentali e arcadici, che tendono a tradursi in un classicismo di maniera. Si tratta in sostanza di esercitazioni però queste prove dimostrano una compiuta assimilazione della letteratura classica da parte dell'autore.

Oltre alle opere maggiori (Il Giorno e le Odi), negli anni successivi Parini scrive testi d'occasione e componimenti celebrativi, per lo più per l'Accademia dei Trasformati. Alcuni di questi lavori testimoniano il suo impegno morale e civile, coerente con l'ispirazione delle opere più importanti e con le istanze culturali dell'Illuminismo. Alla proposta accademica del tema bellico, per esempio, Parini risponde con la composizione Sopra la guerra (1758), in cui dichiara le proprie idee pacifiste e mira a smascherare le vere ragioni delle guerre, che, combattute in nome della ragion di Stato, della religione o dell'onore, sono in realtà motivate dall'ambizione, dall'aggressività e dal desiderio di sopraffazione.
Sul tema del fuoco, proposto anch'esso dai Trasformati, Parini scrive invece L'auto da fé (con riferimento all'"atto di fede" spagnolo, ossia la proclamazione della condanna degli eretici), in cui prende posizione contro i roghi dell'Inquisizione. L'Illuminismo pariniano è dunque una denuncia delle superstizioni, della violenza perpetrata sulla base della fede, delle diseguaglianze e dei pregiudizi.

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Le Odi

Fra le opere maggiori di Parini – che hanno influito profondamente su autori successivi come Foscolo, Manzoni e Leopardi – ci sono le Odi, scritte e pubblicate dapprima (a partire dagli anni Cinquanta del Settecento) singolarmente, di solito in opuscoletti a stampa o in forma manoscritta, e poi raccolte in due edizioni, nel 1791 e nel 1795 ; la seconda, la più completa, comprende 25 odi composte fra il 1758 e il 1795.
I componimenti possono essere suddivisi in tre gruppi principali. Il primo è quello delle cosiddette "odi illuministiche", scritte in un periodo che copre i decenni Cinquanta e Sessanta: La vita rustica, La salubrità dell'aria, La musica, L'educazione, L'innesto del vaiuolo, Il bisogno e altre, come L'impostura e La primavera, che risultano però piuttosto manierate. Il secondo gruppo comprende i testi encomiastici e d'occasione degli anni Settanta, spesso incentrati su questioni etiche: Il piacere e la virtù, Il brindisi, Le nozze, La laurea. Il terzo, infine, include le maggiori "odi neoclassiche", come Il pericolo, Il dono, Il messaggio, A Silvia (da non confondersi con l'omonima poesia leopardiana), Alla Musa e il trittico costituito da La caduta, La recita dei versi, La tempesta.

Nella prima fase l'attenzione del poeta è rivolta principalmente ai problemi sociali, secondo un'ispirazione illuministica. Nell'ode La vita rustica (1758), per esempio, Parini illustra l'opposizione città/campagna ed esprime una condanna della vita urbana moderna, fondata sulla prepotenza e lo sfruttamento. Tuttavia, anche se la sua speranza dichiarata è di vivere e morire presso il lago di Pusiano, in un'atmosfera bucolica e virgiliana, egli non guarda alla campagna con lo sguardo convenzionale del poeta arcadico: al contrario, con spirito illuministico, accenna al progresso che deve rendere il lavoro dei campi più moderno e meno faticoso. Egli intende contribuire a migliorare le condizioni del lavoratore, visto non come un pittoresco e astratto pastorello, effigiato in un ambiente stereotipato e immobile nel tempo, ma come un bracciante reale, coadiuvato nel suo lavoro dai nuovi strumenti offerti dallo sviluppo tecnologico.
Nell'ode La salubrità dell'aria (1759, ► T2, p. 345) Parini descrive invece gli effetti dell'aria viziata e malsana della città e, mostrando una coscienza che oggi definiremmo ecologista, auspica l'attuazione di interventi risanatori.
Ispirati ai progressi della scienza sono poi alcuni componimenti che mirano a contrastare l'imperante cultura conservatrice. È il caso dell'ode L'innesto del vaiuolo (1765), che, dedicata al medico Giammaria Bicetti, difende la sperimentazione di nuove tecniche immunitarie contro questa malattia.
Nel dibattito fra tradizione e innovazione, allora molto acceso, Parini si schiera decisamente per quest'ultima. Nell'ode La musica (1769-1770), il poeta condanna la disumana usanza di evirare i bambini (per mantenere acuta la loro voce e avviarli alla carriera teatrale come cantanti castrati); nell'ode Il bisogno (1766) esprime le proprie opinioni giuridiche, vicine a quelle di Cesare Beccaria (►  p. 244), facendo del giudice svizzero Pier Antonio Wirtz un esempio luminoso di difesa della legge e dell'eguaglianza: solo eliminando la miseria («il bisogno») e ottenendo la felicità per tutti, secondo Parini, si può sconfiggere il delitto.
A questo gruppo di odi appartiene infine L'educazione (1764), dedicata al giovane allievo Carlo Imbonati. Nell'opera, il centauro Chirone, mitico maestro di Achille, pronuncia un discorso che illustra il valore pedagogico dei princìpi illuministici.

L'attenzione per i processi pedagogici è al centro della seconda fase delle Odi, aperta dal componimento La laurea (1777), in cui si celebra la figura di Maria Pellegrina Amoretti, brillante e precoce intellettuale che – caso rarissimo, all'epoca, per una donna – aveva ottenuto la laurea in "ragion civile" (cioè in Legge) nel 1777.

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Un'altra donna, la marchesa Paola Castiglioni, è la protagonista dell'ode La recita de' versi (1783), che sostiene la qualità e la dignità della poesia contro l'abitudine delle recitazioni conviviali, di solito frivole e superficiali, quando non apertamente volgari. Del 1785 è invece La caduta (► T3, p. 351), una delle odi pariniane più celebri: il poeta, zoppicante e povero, cade per strada e, soccorso da un passante, reagisce indignato all'esortazione, rivoltagli da costui, a ottenere vantaggi e ricchezze dalla sua arte.

Nella terza fase di composizione delle Odi prevale l'adesione ai canoni della poetica neoclassica. I toni diventano più controllati e distaccati, i temi più personali; nel nome di un'armonia estetica lontana da ogni polemica, la funzione del poeta appare più nobile, anche se le idee illuministiche di impegno civile non vengono ripudiate.
Nostalgie giovanili e sentimenti senili si intrecciano e danno luogo all'evocazione di un mondo di fuggevole bellezza, in cui, per esempio, il fascino femminile rappresenta un'insidia per l'uomo anziano (Il pericolo, 1787), o emerge la consapevolezza che l'amore è ormai impossibile a causa della vecchiaia.
Le figure femminili sono celebrate in odi dedicate a nobildonne come la già citata Paola Castiglioni (Il dono, 1790) o la contessa Maria di Castelbarco (Per l'inclita Nice o Il messaggio, 1793). A salvare dal manierismo questi testi interviene una sottile malinconia, velata da un tono autoironico, nonché la consapevolezza, da parte del poeta, di essere ormai escluso dal gioco dell'amore e della seduzione. L'antica attrazione verso l'aristocrazia si risolve qui in dramma umano: a distinguerlo dal mondo dei nobili, di cui egli coglieva tutta la superficialità, era un tempo la modestia della sua condizione; ora, invece, ad allontanarlo dalle belle dame che non può più corteggiare è la vecchiaia, che lo conduce mestamente verso la morte.
A Silvia e Alla Musa, le ultime due odi della raccolta, hanno per tema rispettivamente la moda femminile di vestire "alla ghigliottina" (cioè con abiti dalle ampie scollature, un nastrino rosso intorno al collo e i capelli raccolti in modo disordinato con delle forcine: vezzi ispirati all'imitazione dell'abbigliamento dei condannati alle esecuzioni capitali durante la Rivoluzione francese) e una celebrazione della poesia come espressione di temi morali elevati: il culto della verità, la ricerca dell'armonia, la semplicità e il candore degli affetti, il valore di una coscienza serena e limpida, non sfiorata dalla corruzione.

Quello di Parini è un moralismo fermo, che delinea con nettezza valori positivi e negativi della società del suo tempo, senza lasciare spazio a dubbi. Con la propria austera autorevolezza, il poeta indica la strada al suo pubblico, segnalando ai lettori, in modo franco e diretto, l'importanza della coscienza civile e del bene comune (aspetti che gli uomini del Risorgimento apprezzeranno particolarmente). La missione educatrice del poeta risulta chiaramente definita e ispirata al coraggio del pedagogo coerente, sicuro delle proprie opinioni suggerite dal buonsenso della saggezza classica e che non teme le cadute nel didascalismo.

I modelli delle Odi pariniane sono l’ode pindarica e la canzonetta arcadica, delle quali però l’autore evita, rispettivamente, la tendenza all’enfasi e alla magniloquenza e la cantabilità troppo facile e prevedibile. Il ritmo è piano e classicheggiante, la struttura metrica funzionale allo svolgimento argomentativo, i versi brevi (abitualmente settenari). Tra le Odi si può distinguere, anche a livello stilistico, una prima fase caratterizzata da una certa veemenza concettuale e verbale: le idee sono espresse con forza, fino all’aggressività, il tono è pungente, il linguaggio è colorito; con il trascorrere degli anni, invece, in concomitanza con la delusione delle speranze di riforma sociale e politica, prevale un atteggiamento più composto e austero che, sul piano formale, si traduce in uno stile attenuato e sfumato, impostato sugli equilibri neoclassici.

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Il Giorno

Del poemetto satirico-didascalico II Giorno – diviso in quattro parti, delle quali solo le prime due compaiono mentre l'autore è in vita, tra il 1763 e il 1765 (le altre due, lasciate incompiute, saranno pubblicate postume nel 1801) – parleremo nella seconda parte dell'Unità (► p. 359).

Gli scritti in prosa

La produzione letteraria di Parini comprende anche diverse opere in prosa, che testimoniano gli orientamenti dello scrittore in merito ad alcuni grandi temi culturali.

Gli scritti linguistici, letterari e morali

Notevoli per la modernità di vedute circa la dignità dei dialetti e dei rapporti tra questi e la lingua italiana sono le due lettere polemiche (1760) contro il gesuita Onofrio Branda, denigratore dei milanesi e del loro dialetto. La tradizione letteraria e linguistica del Trecento, afferma Parini, è nobile e piena di valore, ma non per questo va imitata pedissequamente: uguale nobiltà e valore vanno attribuiti ad altre forme linguistiche e letterarie.
Il trattato De' principii fondamentali e generali delle belle lettere applicati alle belle arti (steso fra il 1773 e il 1775) raccoglie invece le lezioni tenute da Parini a Brera: nella prima parte l'autore espone le idee dei sensisti e dei razionalisti intorno alle arti, mentre nella seconda restringe il campo alla letteratura, con rapide osservazioni di carattere linguistico e stilistico sui principali scrittori italiani. Infine, le Lettere del Conte N.N. ad una falsa devota (posteriori al 1761) sono una satira della mentalità e degli atteggiamenti clericali (soprattutto quelli gesuitici), nascosta sotto il velo di un insegnamento ironico.

Il Dialogo sopra la nobiltà

Una trattazione a parte merita il Dialogo sopra la nobiltà, che, composto forse nel 1757, riflette le idee dei Trasformati. È qui espressa in modo netto, tra le altre cose, l'opposizione pariniana ai privilegi di casta e al concetto di nobiltà ereditaria.
L'opera si rifà all'antico genere letterario del dialogo, o meglio a un suo sottogenere, quello del dialogo tra morti, iniziato dallo scrittore greco Luciano di Samosata (II sec. d.C.) e ripreso da alcuni scrittori francesi del Seicento e Settecento come Bernard Le Bovier de Fontenelle (1657-1757) e François Fénelon (1651-1715). Parini immagina che due cadaveri si ritrovino a dividere una sola tomba: sono i corpi di un nobile e di un poeta plebeo. Anche dopo la morte, il nobile continua a vantare i propri privilegi e l'importanza della sua stirpe, che gli conferisce diritti e poteri impossibili da ottenere da parte di un plebeo. Il poeta, però, lo persuaderà dei suoi errori, e alla fine il nobile sarà costretto ad ammettere la propria presunzione.

I colori della letteratura - volume 2
I colori della letteratura - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento