3 - I grandi temi

Il Settecento – L'autore: Carlo Goldoni

3 I grandi temi

Mondo e Teatro: la riforma di Goldoni

Fin dagli anni della formazione, Goldoni si dimostra insofferente alle costrizioni e incline a seguire le proprie passioni. Il precoce interesse per il teatro lo porta a leggere i commediografi antichi (Aristofane, Plauto, Terenzio), gli autori italiani (il Machiavelli della Mandragola) e stranieri, ma, accanto alle letture e allo studio, assapora anche il gusto della trasgressione e del divertimento libertino.
Il suo è insomma un apprendistato "irregolare", in cui si combinano impegno e libertà, crescita culturale ed esperienze di vita. Nello sviluppo della sua personalità, inoltre, hanno un ruolo importante i frequenti viaggi, che lo mettono in contatto con i più vari fermenti culturali. Durante i soggiorni a Milano ha modo di conoscere il pensiero illuminista, che alimenta la propensione a cogliere con spirito critico le contraddizioni della società; in Toscana, la frequentazione dell'Arcadia lo educa invece a una concezione dell'arte fondata sulla sobrietà e avversa a ogni sterile formalismo.

È però l'ambiente veneziano che suggerisce allo scrittore le idee e i valori che ispireranno il suo impegno teatrale. Qui Goldoni assorbe la mentalità della borghesia mercantile e professionale, cui egli stesso appartiene per origini familiari, e forma la sua cultura concreta e razionale, che guarda soprattutto agli affari. Vivace centro editoriale, caratterizzato dalla circolazione di merci, di persone e quindi di idee, la città lagunare ospita inoltre molti teatri, nei quali si affolla un pubblico sempre più ampio e socialmente vario.

Nel Settecento, il teatro è diventato un'attività imprenditoriale redditizia, gestita da affaristi che investono denaro affittando gli stabili, assoldando le compagnie di attori e offrendo gli spettacoli a una platea pagante. Lo scopo principale degli impresari e delle compagnie è divertire il pubblico in modo leggero e disimpegnato, perché questo garantisce l'affluenza degli spettatori.
La qualità della messa in scena, di conseguenza, è spesso sacrificata: si propongono soprattutto generi popolari (melodrammi e commedie anziché tragedie, apprezzate di norma da spettatori culturalmente più avvertiti) e intrecci scontati e ripetitivi, mentre gli attori scadono spesso nella comicità triviale.

Quando Goldoni entra in contatto con il mondo delle scene, il genere più in voga è la commedia dell'arte, molto diffusa fin dal Seicento, in un'epoca in cui il teatro, uscendo dagli ambienti chiusi delle corti, aveva cominciato a richiamare anche un pubblico borghese e popolare. Come si è visto, la commedia dell'arte è caratterizzata dalla presenza di un canovaccio, cioè di una trama scritta nelle linee essenziali, mentre i dialoghi sono affidati all'improvvisazione degli attori, che impersonano caratteri stereotipati (il servo sciocco, il mercante avaro, il dottore presuntuoso), riconoscibili grazie alle maschere che indossano.

Goldoni si propone di superare questa consuetudine attraverso una riforma del teatro che operi su due piani strettamente connessi: quello tecnico-formale e quello contenutistico. In primo luogo abbandona lo strumento del canovaccio, scrivendo tutte le battute e attribuendo quindi un ruolo prioritario all'autore. Trasforma inoltre le maschere tradizionali in personaggi autentici, ispirati alla realtà quotidiana e dotati di una psicologia individuale. In questo modo, egli interviene anche sul piano dei contenuti, portando il teatro ad assumere un ruolo, oltre che di intrattenimento, di riflessione critica su temi morali e sociali.

 >> pag. 280 

Per spiegare la genesi della sua riforma, Goldoni ricorre a una metafora. Le sue più importanti fonti di ispirazione, afferma, sono state due: «i due libri su' quali ho più meditato, e di cui non mi pentirò mai d'essermi servito, furono il Mondo e 'l Teatro». Il libro del Mondo è costituito dalle esperienze di una vita ricca di avvenimenti, viaggi e incontri con abitudini e mentalità diverse, e dall'osservazione attenta della società e di tutti i suoi ambienti (botteghe, case, piazze, porti). Il libro del Teatro rappresenta invece la conoscenza degli artifici scenici utili a mostrare nel modo più efficace le passioni, i sentimenti, i vizi e le virtù degli esseri umani, oltre che l'insieme degli aspetti pratici della professione – le esigenze economiche degli impresari, il lavoro concreto degli attori, le attese del pubblico – appresi nella sua attività di uomo di teatro. Da queste due dimensioni deriva una riforma fondata, anziché su princìpi astratti, sull'autentica realtà del teatro, e capace quindi di abbinare tradizione e innovazione, gusto personale e richieste del mercato.

 T1 

«I due libri su’ quali ho più meditato»

Prefazione dell’autore alla prima raccolta delle commedie (1750)


Dopo aver rievocato la passione per il teatro coltivata fin dall’infanzia come inclinazione naturale e irrefrenabile, Goldoni ricorda le condizioni in cui versava a quel tempo la commedia: «Non correvano sulle pubbliche Scene se non sconce Arlecchinate, laidi e scandalosi amoreggiamene, e motteggi: favole mal inventate, e peggio condotte, senza costume, senza ordine, le quali, anziché correggere il vizio, come pur è primario, antico e più nobile oggetto della Commedia, lo fomentavano». Da tale constatazione nasce il desiderio di rinnovare radicalmente la commedia, sia nella forma sia nei contenuti.

Non mi vanterò io già d'essermi condotto a questo segno,1 qualunque ei si sia,2 di
miglior senso,3 col mezzo di un assiduo metodico studio sull'opere o precettive,4
o esemplari5 in questo genere de' migliori antichi e recenti scrittori e poeti o greci,
o latini, o francesi, o italiani, o d'altre egualmente colte nazioni; ma dirò con ingenuità,
5 che sebben non ho trascurata la lettura de' più venerabili, e celebri autori,
da' quali, come da ottimi maestri non ponno6 trarsi, che utilissimi documenti, ed
esempli, contuttociò i due libri su' quali ho più meditato, e di cui non mi pentirò
mai d'essermi servito, furono il Mondo,7 e 'l Teatro.8 Il primo mi mostra tanti, e
poi tanti vari caratteri di persone, me li dipinge così al naturale,9 che paion fatti
10 apposta per amministrarmi10 abbondantissimi argomenti di graziose, ed istruttive
commedie, mi rappresenta i segni,11 la forza, gli effetti di tutte le umane passioni;
mi provvede di avvenimenti curiosi; m'informa de' correnti costumi, m'istruisce e
de' vizi, e de' difetti, che son più comuni del nostro secolo, e della nostra nazione,12
i quali meritan o la disapprovazione, o la derisione de' saggi; e nel tempo
15 stesso mi addita in qualche virtuosa persona i mezzi coi quali la virtù a codeste

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corruttele13 resiste, ond'io da questo libro raccolgo, rivolgendolo14 sempre, e meditandovi,
in qualunque circostanza, od azione della vita mi trovi, quanto è assolutamente
necessario che si sappia da chi vuole con qualche lode esercitare questa mia
professione. Il secondo poi, il libro cioè del Teatro, mentre io lo vo maneggiando,
20 mi fa conoscere con quali colori si debban rappresentare sulle scene i caratteri, le
passioni, gli avvenimenti, che nel libro del Mondo si leggono; come si debba ombreggiarli
per dar loro un maggiore rilievo, e quali sien quelle tinte, che più li rendon
grati agli occhi dilicati de' spettatori. Imparo insomma dal Teatro a distinguere
ciò, ch'è più atto a far impressione sugli animi, a destar la maraviglia, od il riso, o
25 quel tal dilettevol solletico15 nell'uman cuore, che nasce principalmente dal trovar
nella commedia che ascoltasi effigiati al naturale,16 e posti con buon garbo nel loro
punto di vista i difetti,17 e 'l ridicolo che trovasi in chi tuttogiorno si pratica,18 in
modo però, che non urti troppo offendendo.
Ho appreso pur19 dal Teatro, e lo apprendo tuttavia all'occasione20 delle mie
30 stesse commedie il gusto particolare della nostra nazione, per cui precisamente io
debbo scrivere, diverso in ben molte cose da quello dell'altre. Ho osservato alle volte
riscuoter grandissimi encomi alcune cosarelle da me prima avute in niun conto,
altre riportarne pochissima lode, e talvolta eziandio21 qualche critica, dalle quali
non ordinario applauso io mi era sperato; dacché22 ho imparato, volendo render
35 utili le mie commedie, a regolar talvolta il mio gusto su quello dell'universale,23 a
cui deggio24 principalmente servire, senza mettermi in pena delle dicerie di alcuni
o ignoranti o indiscreti, e difficili, i quali pretendono di dar la legge al gusto25 di
tutto un popolo, di tutta una nazione, e fors'anche di tutto il mondo, e di tutti i
secoli colla lor sola testa, non riflettendo, che in certe particolarità non integranti26
40 i gusti possono impunemente cambiarsi, e convien lasciarne padrone il popolo
egualmente che delle mode del vestire, e de' linguaggi.
[...]
Ecco quanto ho io appreso da' miei due gran libri, Mondo e Teatro. Le mie
commedie sono principalmente regolate, o almeno ho creduto di regolarle, coi
precetti che in essi due libri ho trovati scritti: libri per altro, che soli certamente
45 furono studiati dagli stessi primi autori27 di tal genere di poesia, e che daran sempre
a chiunque le vere lezioni di quest'arte. La natura è una universale e sicura
maestra a chi la osserva. «Quanto si rappresenta sul teatro (scrive un illustre autore)28
non deve essere se non la copia di quanto accade nel mondo. La commedia,
soggiunge, allora è quale esser deve quando ci pare di essere in una compagnia del
50 vicinato, o in una familiar conversazione, allorché siamo realmente al teatro,29 e
quando non vi si vede se non ciò che si vede tuttogiorno nel mondo. Menandro,30

 >> pag. 282 

segue a dire, non è riuscito31 se non per questo tra i greci, ed i romani credevano di
trovarsi in conversazione quando ascoltavano le commedie di Terenzio,32 perché
non vi trovavano se non quel ch'eran soliti di trovare nelle ordinarie lor compagnie».
55 Anche il gran Lope de Vega,33 per testimonianza del medesimo scrittore,
non si consigliava, componendo le sue commedie con altri maestri, che col gusto
de' suoi uditori.

      Dentro il testo

I contenuti tematici

Pur affermando di aver studiato i più grandi autori della letteratura (moderna e antica, italiana e straniera), Goldoni dichiara di aver tratto materia e procedimenti per l'esercizio della propria arte soprattutto dall'osservazione della realtà e dall'esperienza concreta dell'attività teatrale. Il Mondo è la realtà in cui vive, che gli fornisce personaggi e situazioni e lo informa sulle abitudini, sui vizi e sulle virtù degli esseri umani. Il Teatro – cioè la concreta esperienza teatrale – gli ha insegnato invece come rappresentare questo patrimonio di contenuti, fornendogli i mezzi più efficaci per catturare l'attenzione del pubblico e divertirlo, mostrandogli i suoi difetti senza urtarne la suscettibilità (posti con buon garbo nel loro punto di vista i difetti [...] in modo però, che non urti troppo offendendo, rr. 26-28).

II miglior modello per un commediografo è la natura (La natura è una universale e sicura maestra a chi la osserva, rr. 46-47). Le regole astratte sono inutili: se lo scopo è divertire e, allo stesso tempo, rendere utile la rappresentazione, è più opportuno capire i gusti e la mentalità del pubblico, che si evolvono nel tempo. D'altra parte, gli stessi scrittori antichi ritenevano che la commedia dovesse ritrarre la realtà, in modo che gli spettatori riconoscessero sulla scena ciò che vedevano nella vita di ogni giorno.

Le scelte stilistiche

Per esprimere l'esperienza diretta della realtà, dalla quale attinge la materia delle sue commedie, Goldoni usa la metafora* dei due libri (il Mondo e il Teatro). Il richiamo alla natura, inoltre, echeggia un'altra analoga metafora utilizzata da Galileo, il quale proponeva di leggere il «libro della natura» – anziché i filosofi e la Bibbia – per raggiungere la conoscenza del mondo e delle leggi che lo regolano.
La metafora attraversa il testo grazie all'uso di diversi termini che evocano l'uso del libro e l'azione dello studio: l'autore parla di volumi su cui ha meditato (r. 7) e di cui si è servito (r. 8); egli sfoglia (rivolgendolo, r. 16) il libro del Mondo e va maneggiando (r. 19) quello del Teatro per mettere in scena le cose che vi si leggono (r. 21). Inoltre, per sottolineare che la propria arte si fonda sull'esperienza, Goldoni impiega numerosi termini tratti dall'ambito dell'insegnamento (mi mostra, r. 8; mi rappresenta, r. 11; mi fa conoscere, r. 20; Imparo, r. 23; Ho appreso, r. 29).

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      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Riassumi ciò che l’autore afferma di avere imparato dall’esperienza del Mondo e del Teatro. Che relazione c’è tra questi due strumenti di conoscenza e quelli costituiti dai libri a stampa?

ANALIZZARE

2 A quale figura retorica ricorre l’autore alla r. 38: popolo [...], nazione [...], mondo [...]?

  •     Anafora. 
  •     Climax
  •     Chiasmo.
  •     Anastrofe.

INTERPRETARE

3 Se dovessi scegliere una metafora alternativa a quella del libro, quale adotteresti? Perché?

PRODURRE

La tua esperienza 

4 Goldoni afferma che i gusti del popolo cambiano come le mode del vestire, e de’ linguaggi (r. 41). Dopo aver esaminato qualche foto dei tuoi genitori o di altri parenti o conoscenti della generazione che ti ha preceduto, scattata quando avevano la tua età, osserva il loro modo di vestire e le acconciature; prova inoltre a documentarti sulle letture, i generi musicali, i passatempi, le espressioni gergali più diffuse tra i giovani a quel tempo. Scrivi poi un testo espositivo di circa 30 righe su ciò che ti pare essere rimasto costante e ciò che invece ritieni cambiato, provando a individuare le cause (economiche, sociali, culturali) di tali differenze.


Aristocrazia, borghesia, popolo: lo sguardo sulla società

L'atteggiamento di Goldoni in relazione al mondo che osserva e rappresenta non è mai dogmatico, e le sue commedie non propongono verità assolute o valori astratti. Sebbene egli non si collochi all'interno di un preciso movimento di idee, la sua visione del mondo è influenzata dalle idee illuministiche e, pur senza porre in discussione il tradizionale assetto sociale, egli non rinuncerà mai alle posizioni di un cauto riformismo.
In un primo tempo Goldoni si propone soprattutto l'obiettivo di mettere in ridicolo una nobiltà retriva e parassitaria, guardando con simpatia alle figure del mercante e del borghese laborioso. Nella seconda fase della sua esperienza di riforma della commedia (quella che coincide con il lavoro presso il teatro San Luca, dal 1753 al 1754), invece, la sua opera si fa sempre più spesso denuncia dei difetti e dei vizi della borghesia, che egli vede radicarsi e dilagare. Cresce, di conseguenza, la simpatia e l'ammirazione
nei confronti dei ceti popolari, senza peraltro che ciò induca Goldoni ad auspicare un sovvertimento dell'ordine sociale. In realtà, egli intende soprattutto mostrare al pubblico i comportamenti che scaturiscono dalla grettezza e dall'egoismo, promuovendo, attraverso l'ironia e il riso, una nuova moralità fondata sulla dignità, sulla giustizia e sulla ricerca del benessere individuale. Mancano invece analisi e teorizzazioni di natura psicologica o filosofica, così come è assente, nella rappresentazione del popolo, una denuncia delle difficili condizioni materiali che caratterizzano la vita dei ceti più umili.

 >> pag. 284 

L'esigenza di riformare la commedia dell'arte nasce anche da questo intento pedagogico. La scelta di Goldoni di scrivere le battute dei personaggi è dettata non soltanto dal desiderio di pulire il linguaggio dalle volgarità, né solo dalla volontà di rendere più realistiche le situazioni, ma anche dall'intenzione di attribuire alle commedie un ruolo formativo ed educativo. Il teatro, secondo Goldoni, deve sì offrire un'occasione di divertimento, ma anche costituire un'esperienza di maturazione, un veicolo di trasmissione di valori che l'autore deve rendere credibili e condivisibili, calandoli in una realtà quotidiana in cui il pubblico possa rispecchiarsi.
In che cosa consistono tali valori? Si tratta di princìpi ispirati alla moderazione e al rispetto delle regole della convivenza civile, auspicati mediante un atteggiamento edificante che addita la via della virtù e condanna il vizio con fermezza ma senza acrimonia: il teatro di Goldoni celebra così il lavoro, la famiglia, la lealtà, la solidarietà, la parsimonia, l'apertura al dialogo, la ricerca del progresso, la libertà dell'individuo all'interno di una comunità, mostrando quali storture siano provocate dalla mancanza di questi princìpi.

 T2 

La sfida di Mirandolina

La locandiera, atto I, scene IV-VI, IX; atto II, scene XVI-XIX


Nell’ambiente della locanda, circoscritto ma aperto all’andirivieni dei clienti, entrano in relazione fra loro tutte le classi sociali, rappresentate dai singoli personaggi. La commedia si apre con un’esilarante schermaglia, costituita da frecciate e provocazioni, tra il Conte di Albafiorita e il Marchese di Forlipopoli, che vogliono guadagnarsi, ognuno con le proprie risorse, l’amore di Mirandolina. Un terzo cliente, il Cavaliere di Ripafratta (una località nei pressi di Pisa), manifesta invece la sua condanna per il comportamento dei due nobili, sostenendo un proprio, originale punto di vista.

ATTO I
SCENA IV
II Cavaliere di Ripafratta dalla sua camera, e detti.

CAVALIERE Amici, che cos'è questo romore? Vi è qualche dissensione1 fra di voi altri?
CONTE Si disputava sopra un bellissimo punto.2 
MARCHESE II Conte disputa meco sul merito della nobiltà. (ironico)
5 CONTE Io non levo il merito alla nobiltà: ma sostengo, che per cavarsi dei capricci,
vogliono esser denari.3

 >> pag. 285 

CAVALIERE Veramente, Marchese mio...
MARCHESE Orsù, parliamo d'altro.
CAVALIERE Perché siete venuti a simil contesa?
10 CONTE Per un motivo il più ridicolo della terra.
MARCHESE Sì, bravo! il Conte mette tutto in ridicolo.
CONTE Il signor Marchese ama la nostra locandiera. Io l'amo ancor più di lui.
Egli pretende corrispondenza,4 come un tributo alla sua nobiltà. Io la spero,
come una ricompensa alle mie attenzioni.5 Pare a voi che la questione non
15 sia ridicola?
MARCHESE Bisogna sapere con quanto impegno io la proteggo.
CONTE Egli la protegge, ed io spendo. (al Cavaliere)
CAVALIERE In verità non si può contendere per ragione alcuna che lo meriti meno.6
Una donna vi altera? vi scompone?7 Una donna? che cosa mai mi convien sentire?
20 Una donna? Io certamente non vi è pericolo che per le donne abbia che
dir8 con nessuno. Non le ho mai amate, non le ho mai stimate, e ho sempre
creduto che sia la donna per l'uomo una infermità9 insopportabile.
MARCHESE In quanto a questo poi, Mirandolina ha un merito estraordinario.
CONTE Sin qua il signor Marchese ha ragione. La nostra padroncina della locanda è
25 veramente amabile.
MARCHESE Quando10 l'amo io, potete credere che in lei vi sia qualche cosa di grande.
CAVALIERE In verità mi fate ridere. Che mai può avere di stravagante11 costei, che non
sia comune all'altre donne?
MARCHESE Ha un tratto12 nobile, che incatena.
30 CONTE È bella, parla bene, veste con pulizia, è di un ottimo gusto.
CAVALIERE Tutte cose che non vagliono un fico.13 Sono tre giorni ch'io sono in questa
locanda, e non mi ha fatto specie veruna.14
CONTE Guardatela, e forse ci troverete del buono.
CAVALIERE Eh, pazzia! L'ho veduta benissimo. È una donna come l'altre.
35 MARCHESE Non è come l'altre, ha qualche cosa di più. Io che ho praticate le prime
dame,15 non ho trovato una donna che sappia unire, come questa, la gentilezza
e il decoro.
CONTE Cospetto di bacco!16 Io son sempre stato solito trattar donne: ne conosco li
difetti ed il loro debole. Pure con costei, non ostante il mio lungo corteggio17 e
40 le tante spese per essa fatte, non ho potuto toccarle un dito.
CAVALIERE Arte, arte sopraffina. Poveri gonzi!18 Le credete, eh? A me non la farebbe.
Donne? Alla larga tutte quante elle sono.
CONTE Non siete mai stato innamorato?
CAVALIERE Mai, né mai lo sarò. Hanno fatto il diavolo19 per darmi moglie, né mai
45 l'ho voluta.
MARCHESE Ma siete unico della vostra casa: non volete pensare alla successione?

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CAVALIERE Ci ho pensato più volte, ma quando considero che per aver figliuoli mi
converrebbe soffrire20 una donna, mi passa subito la volontà.21
CONTE Che volete voi fare delle vostre ricchezze?
50 CAVALIERE Godermi quel poco che ho con i miei amici.
MARCHESE Bravo, Cavaliere, bravo; ci goderemo.
CONTE E alle donne non volete dar nulla?
CAVALIERE Niente affatto. A me non ne mangiano22 sicuramente.
CONTE Ecco la nostra padrona. Guardatela, se non è adorabile.
55 CAVALIERE Oh la bella cosa! Per me stimo più di lei quattro volte un bravo cane da
caccia.
MARCHESE Se non la stimate voi, la stimo io.
CAVALIERE Ve la lascio, se23 fosse più bella di Venere.


SCENA V
Mirandolina e detti.

60 MIRANDOLINA M'inchino a questi cavalieri. Chi mi domanda24 di lor signori?
MARCHESE Io vi domando, ma non qui.
MIRANDOLINA Dove mi vuole, Eccellenza?
MARCHESE Nella mia camera.
MIRANDOLINA Nella sua camera? Se ha bisogno di qualche cosa verrà il cameriere a
65 servirla.
MARCHESE (Che dite di quel contegno?). (al Cavaliere)
CAVALIERE (Quello che voi chiamate contegno, io lo chiamerei temerità,25
impertinenza). (al Marchese)
CONTE Cara Mirandolina, io vi parlerò in pubblico, non vi darò l'incomodo di venire
70 nella mia camera. Osservate questi orecchini. Vi piacciono?
MIRANDOLINA Belli.
CONTE Sono diamanti, sapete?
MIRANDOLINA Oh, li conosco. Me ne intendo anch'io dei diamanti.
CONTE E sono al vostro comando.26
75 CAVALIERE (Caro amico, voi li buttate via). (piano al Conte)
MIRANDOLINA Perché mi vuol ella donare quegli orecchini?
MARCHESE Veramente sarebbe un gran regalo! Ella ne ha de' più belli al doppio.27
CONTE Questi sono legati alla moda.28 Vi prego riceverli per amor mio.
CAVALIERE (Oh che pazzo!). (da sé)
80 MIRANDOLINA No, davvero, signore...
CONTE Se non li prendete, mi disgustate.29
MIRANDOLINA Non so che dire... mi preme tenermi amici gli avventori della mia
locanda. Per non disgustare il signor Conte, li prenderò.
CAVALIERE (Oh che forca!).30 (da sé)

 >> pag. 287 

85 CONTE (Che dite di quella prontezza di spirito?). (al Cavaliere)
CAVALIERE (Bella prontezza! Ve li mangia,31 e non vi ringrazia nemmeno). (al Conte)
MARCHESE Veramente, signor Conte, vi siete acquistato gran merito. Regalare una
donna32 in pubblico, per vanità! Mirandolina, vi ho da parlare a quattr'occhi,
fra voi e me: son cavaliere.
90 MIRANDOLINA (Che arsura! Non gliene cascano).33 (da sé) Se altro non mi comandano,
io me n'anderò.
CAVALIERE Ehi! padrona. La biancheria che mi avete dato, non mi gusta.34 Se non ne
avete di meglio, mi provvederò.35 (con disprezzo)
MIRANDOLINA Signore, ve ne sarà di meglio. Sarà servita, ma mi pare che la potrebbe
95 chiedere con un poco di gentilezza.
CAVALIERE Dove spendo il mio denaro, non ho bisogno di far complimenti.
CONTE Compatitelo. Egli è nemico capitale36 delle donne. (a Mirandolina)
CAVALIERE Eh, che non ho bisogno d'essere da lei compatito.
MIRANDOLINA Povere donne! che cosa le hanno fatto? Perché così crudele con noi,
100 signor Cavaliere?
CAVALIERE Basta così. Con me non vi prendete maggior confidenza. Cambiatemi
la biancheria. La manderò a prender pel37 servitore. Amici, vi sono schiavo.38
(parte)


SCENA VI
Il Marchese, il Conte e Mirandolina.

105 MIRANDOLINA Che uomo salvatico!39 Non ho veduto il compagno.40
CONTE Cara Mirandolina, tutti non conoscono il vostro merito.
MIRANDOLINA In verità, son cosi stomacata del suo mal procedere, che or ora lo licenzio41
a dirittura.
MARCHESE Sì; e se non vuol andarsene, ditelo a me, che lo farò partire immediatamente.
110 Fate pur uso della mia protezione.
CONTE E per il denaro che aveste a perdere, io supplirò e pagherò tutto. (Sentite,
mandate via anche il Marchese, che pagherò io). (piano a Mirandolina)
MIRANDOLINA Grazie, signori miei, grazie. Ho tanto spirito42 che basta, per dire ad
un forestiere ch'io non lo voglio, e circa all'utile,43 la mia locanda non ha mai
115 camere in ozio.
[...]


SCENA IX
Mirandolina, sola.

MIRANDOLINA Uh, che mai ha detto! L'eccellentissimo signor Marchese Arsura mi
sposerebbe?44 Eppure, se mi volesse sposare, vi sarebbe una piccola difficoltà. Io

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non lo vorrei. Mi piace l'arrosto, e del fumo non so che farne. Se avessi sposati  
120 tutti quelli che hanno detto volermi, oh, avrei pure tanti mariti! Quanti arrivano
a questa locanda, tutti di me s'innamorano, tutti mi fanno i cascamorti; e
tanti e tanti mi esibiscono45 di sposarmi a dirittura. E questo signor Cavaliere,
rustico46 come un orso, mi tratta sì bruscamente? Questi è il primo forestiere
capitato alla mia locanda, il quale non abbia avuto piacere di trattare con me.
125 Non dico che tutti in un salto47 s'abbiano a innamorare: ma disprezzarmi così?
è una cosa che mi muove la bile48 terribilmente. È nemico delle donne? Non le
può vedere? Povero pazzo! Non avrà ancora trovato quella che sappia fare. Ma
la troverà. La troverà. E chi sa che non l'abbia trovata? Con questi per l'appunto
mi ci metto di picca.49 Quei che mi corrono dietro, presto presto mi annoiano.
130 La nobiltà non fa per me. La ricchezza la stimo e non la stimo. Tutto il mio
piacere consiste in vedermi servita,50 vagheggiata,51 adorata. Questa è la mia
debolezza, e questa è la debolezza di quasi tutte le donne. A maritarmi non ci
penso nemmeno; non ho bisogno di nessuno; vivo onestamente, e godo la mia
libertà. Tratto con tutti, ma non m'innamoro mai di nessuno. Voglio burlarmi
135 di tante caricature di amanti spasimati;52 e voglio usar tutta l'arte per vincere,
abbattere e conquassare53 quei cuori barbari54 e duri che son nemici di noi, che
siamo la miglior cosa che abbia prodotto al mondo la bella madre natura.

[La locandiera ha messo in atto il suo piano di seduzione per far innamorare il Cavaliere di Ripafratta, fingendo di approvare la sua avversione per le donne, dimostrando fastidio per le lusinghe del Conte e del Marchese e assumendo un atteggiamento di complicità con l'ospite, al quale dedica attenzioni particolari (come la biancheria preziosa o gli intingoli da lei stessa cucinati esclusivamente per lui). In seguito all'arrivo alla locanda di due attrici, Ortensia e Dejanira, che si fingono nobildonne ma vengono ben presto smascherate da Mirandolina, si innesca una sorta di giocosa competizione fra le tre donne per la conquista del Cavaliere misogino. Sarà la locandiera, però, a prevalere].


ATTO II
SCENA XVI
Il Cavaliere, solo.

CAVALIERE Tutti sono invaghiti di Mirandolina. Non è maraviglia, se ancor io principiava
140 a sentirmi accendere.55 Ma anderò via; supererò questa incognita56 forza...
Che vedo? Mirandolina? Che vuole da me? Ha un foglio in mano. Mi
porterà il conto. Che cosa ho da fare? Convien soffrire57 quest'ultimo assalto.
Già da qui a due ore io parto.

 >> pag. 289 

SCENA XVII
Mirandolina con un foglio in mano, e detto.

145 MIRANDOLINA Signore. (mestamente)
CAVALIERE Che c'è, Mirandolina?
MIRANDOLINA Perdoni. (stando indietro)
CAVALIERE Venite avanti.
MIRANDOLINA Ha domandato il suo conto; l'ho servita. (mestamente)
150 CAVALIERE Date qui.
MIRANDOLINA Eccolo. (si asciuga gli occhi col grembiale, nel dargli il conto)
CAVALIERE Che avete? Piangete?
MIRANDOLINA Niente, signore, mi è andato del fumo negli occhi.
CAVALIERE Del fumo negli occhi? Eh! basta... quanto importa il conto?58 (legge) Venti
155 paoli?59 In quattro giorni un trattamento sì generoso: venti paoli?
MIRANDOLINA Quello è il suo conto.
CAVALIERE E i due piatti particolari che mi avete dato questa mattina, non ci sono nel
conto?
MIRANDOLINA Perdoni. Quel ch'io dono, non lo metto in conto.
160 CAVALIERE Me li avete voi regalati?
MIRANDOLINA Perdoni la libertà. Gradisca per un atto di... (si copre, mostrando di 
piangere
)
CAVALIERE Ma che avete?
MIRANDOLINA Non so se sia il fumo, o qualche flussione60 di occhi.
165 CAVALIERE Non vorrei che aveste patito, cucinando per me quelle due preziose
vivande.
MIRANDOLINA Se fosse per questo, lo soffrirei... volentieri... (mostra trattenersi di
piangere
)
CAVALIERE (Eh, se non vado via!). (da sé) Orsù, tenete. Queste sono due doppie.61
170 Godetele per amor mio... e compatitemi...62 (s'imbroglia)63
MIRANDOLINA (senza parlare, cade come svenuta sopra una sedia)
CAVALIERE Mirandolina. Ahimè! Mirandolina. È svenuta. Che fosse innamorata di
me? Ma così presto? E perché no? Non sono io innamorato di lei? Cara Mirandolina...
Cara? Io cara ad una donna? Ma se è svenuta per me. Oh, come tu sei
175 bella! Avessi qualche cosa per farla rinvenire. Io che non pratico64 donne, non
ho spiriti,65 non ho ampolle.66 Chi è di là? Vi è nessuno? Presto?... Anderò io.
Poverina! Che tu sia benedetta! (parte, e poi ritorna)
MIRANDOLINA Ora poi è caduto affatto.67 Molte sono le nostre armi, colle quali si
vincono gli uomini. Ma quando sono ostinati, il colpo di riserva sicurissimo è
180 uno svenimento. Torna, torna. (si mette come sopra)
CAVALIERE (torna con un vaso d'acqua) Eccomi, eccomi. E non è ancor rinvenuta. Ah,
certamente costei mi ama. (la spruzza, ed ella si va movendo) Animo, animo. Son
qui cara. Non partirò più per ora.

 >> pag. 290 

SCENA XVIII
Il Servitore colla spada e cappello, e detti.

185 SERVITORE Ecco la spada ed il cappello. (al Cavaliere)
CAVALIERE Va via. (al Servitore, con ira)
SERVITORE I bauli...
CAVALIERE Va via, che tu sia maledetto.
SERVITORE Mirandolina...
190 CAVALIERE Va, che ti spacco la testa. (lo minaccia col vaso; il Servitore parte) E non
rinviene ancora? La fronte le suda. Via, cara Mirandolina, fatevi coraggio, aprite gli
occhi. Parlatemi con libertà.


SCENA XIX
Il Marchese ed il Conte, e detti.

MARCHESE Cavaliere?
195 CONTE Amico?
CAVALIERE (Oh maledetti!). (va smaniando)
MARCHESE Mirandolina.
MIRANDOLINA Oimè! (s'alza)
MARCHESE Io l'ho fatta rinvenire.
200 CONTE Mi rallegro, signor Cavaliere.
MARCHESE Bravo quel signore, che non può vedere le donne.
CAVALIERE Che impertinenza?
CONTE Siete caduto?68
CAVALIERE Andate al diavolo quanti siete. (getta il vaso in terra, e lo rompe verso il Conte
205 ed il Marchese, e parte furiosamente)
CONTE Il Cavaliere è diventato pazzo. (parte)
MARCHESE Di questo affronto voglio soddisfazione.69 (parte)
MIRANDOLINA L'impresa è fatta. Il di lui cuore è in fuoco, in fiamme, in cenere.
Restami solo, per compiere la mia vittoria, che si renda pubblico il mio trionfo, a
210 scorno70 degli uomini presuntuosi, e ad onore del nostro sesso. (parte)

      Dentro il testo

I contenuti tematici

Nella locanda di Mirandolina sono ospitati tre nobili, ognuno dei quali esprime una diversa anima del ceto aristocratico messo in ridicolo da Goldoni. Il Marchese di Forlipopoli e il Conte d'Albafiorita rappresentano rispettivamente una nobiltà di sangue, irrimediabilmente decaduta per avere dilapidato le proprie risorse, e una nobiltà acquisita di recente, che fa sfoggio della ricchezza con l'esibizionismo tipico degli arricchiti; il Cavaliere di Ripafratta impersona invece un'aristocrazia ancora fiera e altera, che coltiva fino all'eccesso il proprio senso di superiorità, qui tradotto nel disprezzo per il sentimento amoroso e per l'universo femminile.

 >> pag. 291 

Ogni personaggio è caratterizzato da manie e debolezze: il Marchese dall'avarizia e dall'orgoglio per i propri privilegi (Fate pur uso della mia protezione, r. 110); il Conte dalla prodigalità e dalla volgarità, che lo porta a ostentare le proprie ricchezze (E per il denaro che aveste a perdere, io supplirò e pagherò tutto, r. 111); il Cavaliere dalla misoginia, esibita come il segno della sua posizione di forza e di dominio (Ehi! padrona. La biancheria che mi avete dato, non mi gusta, r. 92; Dove spendo il mio denaro, non ho bisogno di far complimenti, r. 96).

Tutt'altra condizione sociale contraddistingue il personaggio di Mirandolina. La locandiera eredita certi requisiti della servetta, vivace protagonista della commedia dell'arte, dove appariva con vari nomi (Colombina il più frequente); in particolare, Goldoni recupera dalla tradizione il piglio disinvolto e spregiudicato della maschera, ma approfondisce la sua personalità dotandola di una psicologia complessa che la rende autentica, secondo la concezione della commedia riformata.
Dopo essere stata evocata dagli altri personaggi, Mirandolina si presenta agli spettatori con un lungo monologo in cui liquida la proposta di matrimonio del Marchese, troppo a secco di denaro (da cui il soprannome di Arsura che gli affibbia la donna) per essere preso in considerazione, censura l'atteggiamento del Cavaliere, rustico come un orso (r. 123) e nemico delle donne (r. 126), e rivela la propria attitudine a dominare gli uomini (Tutto il mio piacere consiste in vedermi servita, vagheggiata, adorata, rr. 130-131).
Ma Mirandolina non è soltanto sfuggente e seduttiva. Da donna borghese, è anche concreta e calcolatrice (Oh, li conosco. Me ne intendo anch'io dei diamanti, r. 73), scaltra (mi preme tenermi amici gli avventori della mia locanda. Per non disgustare il signor Conte, li prenderò, rr. 82-83) e abile negli affari (e circa all'utile, la mia locanda non ha mai camere in ozio, rr. 114-115). Intascando i regali degli ospiti, godendo della loro devozione e facendo mostra di non volerli offendere (per curare in realtà i propri interessi), Mirandolina tiene legati a sé i suoi corteggiatori senza concedersi e senza danneggiare la propria reputazione.

Il Cavaliere, tuttavia, sembra sottrarsi al gioco della locandiera, con l'intenzione di non cadere nella sua rete. Sentendosi sfidata, Mirandolina ingaggia allora una battaglia per il riscatto del genere femminile: e voglio usar tutta l'arte per vincere, abbattere e conquassare quei cuori barbari e duri che son nemici di noi, che siamo la miglior cosa che abbia prodotto al mondo la bella madre natura (rr. 135-137).
Recependo gli ideali illuministi di emancipazione e uguaglianza, però, Goldoni non si limita a far raggiungere a Mirandolina lo scopo immediato, vincere la ritrosia e la misoginia del Cavaliere: dopo aver fatto capitolare l'uomo, infatti, la donna pretenderà una dichiarazione d'amore pubblica, perché la sua sfida non rappresenta più soltanto una questione privata, ma assume una valenza sociale e ideologica.

Le scelte stilistiche

I protagonisti dialogano tra loro con frasi brevi e vivaci, che coinvolgono direttamente
0 indirettamente tutti i personaggi. Alcune battute, rivolte a un unico personaggio, sono però pronunciate sottovoce, di nascosto, in modo che gli altri non sentano. Si crea così una complicità con gli spettatori, i quali sono più informati dei personaggi sulla scena. Ciò avviene in modo ancor più chiaro nelle battute che gli attori pronunciano tra sé e sé e nei monologhi: in quello di Mirandolina, la donna, sfogandosi, rivela al pubblico la sua indole e il piano che sta architettando.

I monologhi mostrano inoltre un aspetto importante del temperamento di Mirandolina. Quando si rivolge agli ospiti, la locandiera parla in modo raffinato, con uno stile formale ed elevato, adeguato agli interlocutori (M'inchino a questi cavalieri. Chi mi domanda di lor signori?, r. 60; Dove mi vuole, Eccellenza?, r. 62); nel monologo, invece, il suo linguaggio diventa spontaneo e colloquiale, con il ricorso a soprannomi di scherno (Marchese Arsura, r. 117), a modi di dire proverbiali (Mi piace l'arrosto, e del fumo non so che farne, r. 119), a similitudini* basse e colloquiali (rustico come un orso, r. 123) e a espressioni popolari (mi muove la bile, r. 126).

 >> pag. 292 

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 A quali mezzi si affidano il Conte e il Marchese, rispettivamente, per conquistare Mirandolina?

2 Descrivi l’atteggiamento del Cavaliere verso l’amore e il genere femminile.

ANALIZZARE

3 Individua i vocaboli che caratterizzano le personalità del Conte e del Marchese, sottolineando quelli riconducibili all’ambito semantico del denaro per il primo e del potere per il secondo.


4 Commenta le scelte sintattiche che contribuiscono a rendere l'agitazione del Cavaliere quando deve ammettere con sé stesso i propri sentimenti e quando deve soccorrere Mirandolina svenuta.

INTERPRETARE

5 Perché, alla fine della scena XIX dell’atto II, Mirandolina dice: Restami solo, per compiere la mia vittoria, che si renda pubblico il mio trionfo (rr. 208-209)?


Tra italiano e dialetto

Quando Goldoni inizia a scrivere per il teatro, si trova ad affrontare un nodo difficile quanto ineludibile: il problema della lingua. Egli mira a creare opere che raggiungano un pubblico socialmente e culturalmente vario, e siano comprensibili in buona parte d'Italia. Gli Stati italiani del tempo, tuttavia, non dispongono di una lingua davvero unitaria, se si esclude il toscano letterario, che ha però un carattere prevalentemente libresco, inadeguato a esprimere le mille sfaccettature della vita quotidiana. Le lingue utilizzate nella vita di tutti i giorni sono dunque i dialetti, che presentano una ricchezza e una duttilità straordinarie ma hanno potenzialità d'impiego limitate dal fattore geografico.
Per risolvere questo problema, Goldoni inventa un "italiano" che si serve di strumenti linguistici di diversa provenienza, approdando a un'originale miscela plurilinguistica costituita da un toscano "dialettizzato" da termini lombardi, venetismi, francesismi e forme colloquiali fiorentine.

Per Goldoni, la lingua è soprattutto un mezzo di comunicazione, efficace se raggiunge un pubblico ampio. Per questa ragione, al fine di rendere chiari i discorsi dei suoi personaggi, Goldoni li fa interloquire con un linguaggio non letterario, caratterizzato da una sintassi semplice (i periodi sono sempre brevi), che privilegia la paratassi alla subordinazione; il lessico quotidiano e familiare, inoltre, è sempre coerente con l'ambiente di provenienza dei protagonisti della scena.
Intendendo ritrarre con naturalezza e realismo il mondo in cui gli spettatori si devono riconoscere, Goldoni mira insomma all'«imitazione delle persone che parlano più di quelle che scrivono». Rivendicando di essere un «poeta comico» e non un «accademico della Crusca», egli attinge il linguaggio direttamente dalle conversazioni che ascolta tra le persone, dai dialoghi tra uomini e donne, che riflettono le mentalità e gli orizzonti culturali delle diverse classi sociali.

 >> pag. 293 

Il ricorso al dialetto veneziano si spiega proprio in relazione a questo principio di verosimiglianza, che in alcuni casi porta Goldoni a sacrificare la fruibilità delle sue commedie da parte di un pubblico non veneziano per esaltare l'effetto realistico della lingua. Il dialetto veneziano è utilizzato sia in concomitanza con l'italiano, per caratterizzare i personaggi del popolo o le maschere più tradizionali (come Arlecchino), sia come lingua esclusiva di alcune commedie (I rusteghi, Sior Todero brontolon, Le baruffe chiozzotte).
Si tratta di una scelta meditata e non caricaturale, compiuta per dare forza e credibilità all'intento mimetico che la riforma goldoniana si propone. Il dialetto, infatti, esprime perfettamente la concretezza delle esperienze quotidiane, rende con immediatezza sentimenti e riflessioni, fa scaturire la comicità dalla semplicità e dall'istintività delle reazioni. Non a caso Goldoni vi ricorre per rappresentare un'umanità popolare genuina e autentica, che egli descrive dall'interno, mettendone in luce vizi e virtù senza scadere in atteggiamenti parodistici o paternalistici.

 T3 

Todero: il vincitore sconfitto

Sior Todero brontolon, atto III, scene XlV-ultima


Benché ricco, Todero – un "rustego" (cioè uno zotico) brontolone e dispotico – priva il figlio, Pellegrino, e la nuora, Marcolina, di qualsiasi agio e libertà. Grazie all’iniziativa dell’amica Fortunata, Marcolina trova per la figlia Zanetta un buon partito, Meneghetto: ricco, rispettoso, di modi eleganti, parente della stessa Fortunata. I due giovani si piacciono, ma Todero ha già stabilito di far unire in matrimonio Zanetta con il modesto Nicoletto, figlio del suo fattore, Desiderio, così da tutelare i propri interessi e risparmiare sulla dote. Marcolina si oppone al progetto, ma non può contare sull’aiuto del marito, debole di carattere e succube del padre. Così, con la complicità di Zanetta combina il matrimonio tra la propria servetta e Nicoletto; poi, grazie all’onestà di Meneghetto, che si dichiara disposto a rinunciare alla dote (almeno finché vive Todero), riesce a far sposare i due giovani. Riportiamo le ultime tre scene della commedia, in cui compaiono tutti i personaggi per lo scioglimento finale, in un vivace e incalzante scambio di battute.

SCENA XIV
Todero, Marcolina, Fortunata, Meneghetto e Desiderio.

DESIDERIO E mi? Cossa ha da esser de mi?
TODERO E vu tornerè a Bergamo a arar i campi.
DESIDERIO Oh! sior patron, la sa con quanta attenzion, con quanta fedeltà l'ho servia.
5 La servirò ancora per gnente, senza salario, per gnente.
TODERO Me servirè per gnente? (con più dolcezza)
DESIDERIO Sior sì, ghe lo prometto.
FORTUNATA Sior sì, sior sì, el ve servirà per gnente. Ma de aria no se vive. El ve servirà
per gnente, e el se pagherà da so posta. (a Todero, forte)
10 DESIDERIO Cossa gh'ìntrela ela? Me vorla veder precipità?
TODERO Tasè là. (a Desiderio) Son poveromo; mi no posso pagar un fattor. (a
Fortunata
)
MARCOLINA Caro sior missier, no gh'avè vostro fio?
TODERO Nol xe bon da gnente. (a Marcolina)

 >> pag. 294 

15 FORTUNATA Sior Meneghetto lo assisterà. (a Todero)
TODERO Cossa gh'ìntrelo elo in ti fatti mii? (a Fortunata)
FORTUNATA El gh'intreria, sel volesse. (a Todero, dolcemente)
MARCOLINA Intèndelo, sior missier? (a Todero, dolcemente)
TODERO Coss'è, coss'è stà? Cossa voleu che intenda? Che zente seu? No savè gnanca
20 parlar.
FORTUNATA Parlè vu, sior zerman. (a Meneghetto)
MENEGHETTO Sior Todero, la vede che quella scrittura sì fatta xe revocada dal fatto.
TODERO Ben; e cussì?
MENEGHETTO Se la se degna de accordarme so siora nezza...
25 TODERO Via; gh'è altro?
MENEGHETTO Son pronto a darghe la man.
TODERO E no disè altro più de cussì?
MENEGHETTO La comandi.
TODERO No m'aveu ditto che la torrè senza dota?
30 MENEGHETTO Sior sì, senza dota.
TODERO Mo vedeu? No savè parlar. Sior sì, son galantomo: quel che ho promesso,
mantegno: ve la darò.
MARCOLINA Bravo, sior missier, son contenta anca mi.
TODERO No ghe xe bisogno che siè contenta, o che no siè contenta; co son contento
35 mi, basta.
MARCOLINA (Mo el xe ben un omazzo!).
TODERO E vu, sior, cossa feu qua? (a Desiderio)
DESIDERIO Stago a veder sta bella scena: vedo tutto, capisso tutto. Che i se comoda,
che i se sodisfa; ma mi non anderò via de qua. Ho servio, semo parenti. Faremo
40 lite.
MENEGHETTO Avanti de far lite, che sior Desiderio renda conto della so amministrazion.
DESIDERIO El diavolo che ve porta. Vago via per no precipitar. (parte)


SCENA XV
Todero, Marcolina, Fortunata, Meneghetto, poi Zanetta.

TODERO Credeu che el m'abbia robà?
45 FORTUNATA Anemo, anemo: ve sè liberà, no ghe pensè più. La vegna, la vegna, siora
Zanetta. (alla porta)
ZANETTA Cossa comàndela?
FORTUNATA (Ala savesto?). (a Zanetta)
ZANETTA (Ho sentìo tutto). (a Fortunata, con allegria)
50 MENEGHETTO Finalmente, siora Zanetta, spero che el cielo seconderà le mie brame e
me concederà l'onor de conseguirla per mia consorte.
ZANETTA Sior sì... la fortuna... per consolarne... El compatissa, che no so cossa dir.
MARCOLINA Via, deve la man.
TODERO Tasè là, siora: tocca a mi a dirghelo. (a Marcolina)
55 ZANETTA (Oh poveretta mi!).
TODERO Sposeve. (a Zanetta e Meneghetto)
MENEGHETTO Questa xe mia muggier.
ZANETTA Questo xe mio mario. (forte con spirito, e presto)
FORTUNATA Brava, brava. La l'ha ditto pulito.

 >> pag. 295 
SCENA ULTIMA
60 Pellegrino e detti.

PELLEGRINO Coss'è? Cossa xe stà? Ghe xe strepiti, ghe xe sussuri? Me maraveggio; son
qua mi; son paron anca mi. (in aria di voler far il bravo)
TODERO Martuffo!
MARCOLINA Saveu che strepiti, saveu che sussuri che ghe xe? Che vostra fia xe novizza.
65 PELLEGRINO Con chi?
MARCOLINA Co sior Meneghetto.
PELLEGRINO No ve l'oggio ditto, che sarave andà tutto ben?
MARCOLINA Sior sì, xe andà tutto ben; ma no per vu, no per la vostra direzion. Muè
sistema, sior Pellegrin; za che sior missier ha mandà via de casa sior Desiderio,
70 preghelo che el ve fazza operar, che el ve prova, che el se prevala de vu. In quel
che no savè, sior Meneghetto ve assisterà. Mi pregherò sior missier de compatirne,
de averme un poco de carità, de non esser con mi cussì aspro, de non
esser in casa cussì suttilo. Ringraziemo el cielo de tutto, e ringraziemo de cuor
chi n'ha sofferto con tanta bontà; pregandoli, che avendo osserva che brutto
75 carattere che xe l'indiscreto, che xe el brontolon, no i voggia esser contra de mi
né indiscreti, né brontoloni.

TRADUZIONE 

ATTO III
SCENA XIV
Todero, Marcolina, Fortunata, Meneghetto e Desiderio.

DESIDERIO E di me? Che cosa ne sarà di me?
TODERO E voi tornerete a Bergamo ad arare i campi.
DESIDERIO Oh! signor padrone, sa con quanta cura, con quanta fedeltà l'ho servita.
La servirò ancora per niente, senza salario, per niente.
TODERO Mi servirete per niente? (con più dolcezza)
DESIDERIO Signor sì, glielo prometto.
FORTUNATA Signor sì, signor sì, vi servirà per niente. Ma di aria non si vive. Vi servirà
per niente, e si pagherà da solo.1 (a Todero, forte)
DESIDERIO Che cosa c'entra lei? Mi vuole vedere andare in rovina?
TODERO Taci. (a Desiderio) Sono un poveruomo; non posso pagare un fattore.2 (a
Fortunata
)
MARCOLINA Caro signor suocero, non avete vostro figlio?
TODERO È un buono a nulla. (a Marcolina)
FORTUNATA Il signor Meneghetto lo assisterà. (a Todero)
TODERO Che cosa c'entra lui nei fatti miei? (a Fortunata)
FORTUNATA C'entrerebbe se voi voleste. (a Todero, dolcemente)
MARCOLINA Capite, signor suocero? (a Todero, dolcemente)

 >> pag. 296 

TODERO Cos'è, cos'è questa cosa? Cosa volete che capisca? Che gente siete? Non
sapete neanche parlare.3
FORTUNATA Parlate voi, signor cugino. (a Meneghetto)
MENEGHETTO Signor Todero, vede che quel contratto4 è stato sciolto da ciò che è
successo.
TODERO Bene; e perciò?
MENEGHETTO Se si degna di concedermi la sua signora nipote...
TODERO Via; c'è altro?
MENEGHETTO Sono pronto a darle la mano.
TODERO E non dite altro più di così?
MENEGHETTO Comandi.
TODERO Non mi avevate detto che la prendete senza dote?
MENEGHETTO Signor sì, senza dote.
TODERO Dunque vedete? Non sapete parlare. Signor sì, son galantuomo: quello
che ho promesso, mantengo: ve la darò.5
MARCOLINA Bravo, signor suocero, sono contenta anch'io.
TODERO Non c'è bisogno che tu sia contenta, o che non sia contenta; quando
sono contento io, basta.
MARCOLINA (Ma costui è davvero un grand'uomo!).6
TODERO E voi, signore, che cosa fate qua? (a Desiderio)
DESIDERIO Sto a vedere questa bella scena: vedo tutto, capisco tutto. Che facciano
quel che vogliono, quel che a loro pare; ma io non andrò via di qua. Ho servito,
siamo parenti. Andremo in tribunale.
MENEGHETTO Prima di ricorrere al tribunale, che il signor Desiderio renda conto
della sua amministrazione.
DESIDERIO Che il diavolo vi porti. Vado via per non andare in rovina.7 (parte)


SCENA XV
Todero, Marcolina, Fortunata, Meneghetto, poi Zanetta.

TODERO Credete che mi abbia derubato?
FORTUNATA Andiamo, andiamo: vi siete liberato, non ci pensate più. Venga, venga,
signora Zanetta. (alla porta)
ZANETTA Che cosa comanda?
FORTUNATA (Lo ha saputo?). (a Zanetta)
ZANETTA (Ho sentito tutto). (a Fortunata, con allegria)
MENEGHETTO Finalmente, signora Zanetta, spero che il cielo asseconderà i miei
desideri e mi concederà l'onore di averla come mia consorte.
ZANETTA Signor sì... la fortuna... per consolarmi... Cerchi di capire, che non so
che cosa dire.
MARCOLINA Via, datevi la mano.

 >> pag. 297 

TODERO Tacete, signora: tocca a me a dirglielo. (a Marcolina)
ZANETTA (Oh poveretta me!).
TODERO Sposatevi. (a Zanetta e Meneghetto)
MENEGHETTO Questa è mia moglie.
ZANETTA Questo è mio marito. (forte con spirito, e presto)
FORTUNATA Brava, brava. L'ha detto ben chiaro.


SCENA ULTIMA
Pellegrino e detti.

PELLEGRINO Cosa c'è? Cos'è questa faccenda? Si fanno strepiti, si sussurra? Mi meraviglio;
sono qua io; sono padrone anch'io. (con l'aria di voler fare il bravaccio)
TODERO Sciocco!
MARCOLINA Volete sapere che strepiti, che sussurri, che cosa c'è? Che vostra figlia
è sposa.
PELLEGRINO Con chi?
MARCOLINA Con il signor Meneghetto.
PELLEGRINO Non ve l'avevo detto, che sarebbe andato tutto bene?
MARCOLINA Signor sì, è andato tutto bene; ma non per voi, non per la vostra iniziativa.
Cambiate sistema, signor Pellegrino; giacché il signor suocero ha mandato
via di casa il signor Desiderio, pregatelo che vi faccia agire, che vi metta
alla prova, che si avvalga di voi. In quel che non sapete, il signor Meneghetto
vi assisterà. Io pregherò il signor suocero di scusarmi, di concedermi un poco
di carità, di non esser con me così aspro, di non esser in casa così suscettibile.
Ringraziamo il cielo di tutto, e ringraziamo di cuore chi8 ci ha sopportato
con tanta bontà; pregandoli che, avendo osservato che brutto carattere è l'indiscreto,
è il brontolone, non voglia che ci siano contro di me né indiscreti,
né brontoloni.

      Dentro il testo

I contenuti tematici

«Non vi è niente di più fastidioso, di più molesto alla Società, di un uomo che brontola sempre; cioè che trova a dire su tutto, che non è mai contento di niente, che tratta con asprezza, che parla con arroganza e si fa odiare da tutti. Todero in questa commedia non è brontolon solamente, ma avaro e superbo [...]. Tutta la morale di questa Commedia consiste nell'esposizione di un carattere odioso, affinché se ne correggano quelli che si trovano, per loro disgrazia, da questa malattia attaccati»: così spiega Goldoni nell'introduzione (L'autore a chi legge) che, nell'edizione a stampa, precede la commedia.
Tutti i difetti di Todero contribuiscono in effetti a renderlo ridicolo e odioso agli occhi degli spettatori. In queste scene finali, pur dovendo accettare il fatto compiuto (l'impossibilità* di far sposare la nipote Zanetta con Nicoletto), egli cerca ancora di imporsi come vincitore (Tasè là, siora: tocca a mi a dirghelo, r. 54), mettendo così in evidenza il contrasto tra la sua meschinità (co son contento mi, basta, rr. 34-35), che fino all'ultimo non gli permette di avere altri interessi se non il proprio guadagno (No m'aveu ditto che la torrè senza dota?, r. 29), e la dignità e nobiltà d'animo del giovane Meneghetto, il quale dimostra disinteresse per il denaro (Sior sì, senza dota, r. 30).

 >> pag. 298 

Accanto alla satira dei comportamenti umani, l'opera contiene anche una dimensione di denuncia sociale. Todero è un vecchio e ricco mercante, dunque un rappresentante di quella borghesia veneziana cui Goldoni aveva attribuito, nelle commedie della prima fase, un ruolo preminente nella società, e che ora dipinge con i vizi e le ottusità tipiche della nobiltà. Egli non è soltanto burbero e scostante, ma anche incapace di condurre i propri affari in modo conveniente.
Alla fine della vicenda, è proprio Meneghetto a liberare il vecchio Todero dall'amministratore Desiderio, che si rivela profittatore e truffatore (Avanti de far lite, che sior Desiderio renda conto della so amministrazion, r. 41). Si viene così a scoprire come il vecchio despota, che allo scopo di rimanere l'unico padrone della sua attività non aveva mai concesso considerazione e stima al figlio, si sia in realtà lasciato truffare proprio da colui che aveva scelto come collaboratore. Il confronto tra i due personaggi, Todero e Meneghetto, fa emergere dunque, su un piano sociale, l'involuzione di una classe mercantile avida e cinica, che ha dimenticato i valori positivi della bontà, della lealtà e della sincerità.

Pellegrino, il figlio di Todero, conferma anche nell'ultima scena l'incapacità di opporsi al padre o di assumersi responsabilità; al contrario, Marcolina e Fortunata – grazie alle quali si è concluso il matrimonio – sono intraprendenti e determinate. La ribellione di Marcolina, però, è tutta privata: si è opposta al suocero e ha sottratto la figlia a un destino di tristezze e frustrazioni, ma sa di averlo fatto per conto del marito, di cui non contesta il ruolo. Alla fine della commedia, infatti, esorta Pellegrino a prendere parte attiva negli affari del padre e si propone di chiedere comprensione e benevolenza al suocero, dimostrando di adeguarsi alle gerarchie che governano la famiglia e la società borghese, dove il matrimonio è contrattato dai parenti affinché sia conveniente alle parti in gioco. Ancora una volta, quindi, Goldoni mostra di stimare l'intelligenza femminile alla pari di quella maschile – condividendo la posizione degli Illuministi –, ma senza mettere in discussione l'assetto sociale consolidato dalla tradizione.

Le scelte stilistiche

L'avidità e la mancanza di sensibilità di Todero sono messe alla berlina soprattutto attraverso i dialoghi. Rispondendo a Meneghetto con domande incalzanti, e solo apparentemente ingenue (Ben; e cussì?, r. 23; Via; gh'è altro?, r. 25; E no disè altro più de cussì?, r. 27), il vecchio brontolone spinge il giovane a confermare la propria rinuncia alla dote, prima di concedere la mano della nipote (Sior sì, son galantomo: quel che ho promesso, mantegno: ve la darò, rr. 31-32), presentandosi sfacciatamente come uomo leale, attraverso l'uso del termine galantomo (r. 31) e dei verbi promesso (r. 31) e mantegno (r. 32), quando il suo comportamento è ispirato soltanto alla difesa del proprio interesse.
Il dialetto è utilizzato nei registri più adatti alla caratterizzazione dei personaggi: più studiato e formale quello di Meneghetto (Sior Todero, la vede che quella scrittura sì fatta xe revocada dal fatto, r. 22), più colloquiale quello di Desiderio (El diavolo che ve porta. Vago via per no precipitar, r. 42).

 >> pag. 299 

La sua efficacia non è solo realistica, ma anche comica, costituendo una riserva di espressioni spontanee che danno colore e vivacità ai dialoghi con immagini iperboliche dal significato ironico (Mo el xe ben un omazzo!, r. 36), termini popolari (Martuffo!, r. 63) ed esortazioni che rendono bene la concretezza della quotidianità (Anemo, anemo: ve sè liberà, no ghe pensè più. La vegna, la vegna, siora Zanetta, rr. 45-46).

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Riassumi in circa 10 righe il contenuto del brano.


2 Come appare, nelle scene qui antologizzate, il rapporto fra Todero e il figlio Pellegrino?

ANALIZZARE

3 Spiega quali scelte stilistiche conferiscono un significato ironico alla seguente battuta di Fortunata: Sior sì, sior sì [...] el se pagherà da so posta (rr. 8-9).

INTERPRETARE

4 Cerca nel testo il passaggio in cui Meneghetto viene presentato a Todero e spiega in che cosa consista l’astuzia di Fortunata nel convincere il vecchio mercante a concedergli la mano di Zanetta.

PRODURRE

5 Il dialetto è oggi tornato a svolgere una funzione espressiva importante: esistono serie televisive recitate in dialetto (Gomorra, per esempio, in napoletano) e cantanti e gruppi musicali (Davide Van de Sfroos, 99 Posse e altri) che ne fanno un uso artistico. Svolgi una ricerca sull’argomento e illustrane i risultati in un testo espositivo di circa 40 righe.


La tua esperienza

6 Conosci un dialetto? Prova a tradurre una scena a tua scelta, fra quelle proposte, nel dialetto che conosci. Se non conosci nessun dialetto, puoi utilizzare un’altra lingua o un linguaggio gergale che ti è familiare.


I colori della letteratura - volume 2
I colori della letteratura - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento