Pier Paolo Pasolini – L'opera

Scritti corsari

Con la raccolta di saggi Scritti corsari – contenente diversi testi destinati con il trascorrere degli anni a rivelarsi profetici – Pasolini, come un «corsaro», solitario e controcorrente, critica la vita e la cultura italiana del suo tempo, scagliandosi contro ciò che sente inautentico. Lo fa con toni accesi e vibranti, ergendosi in tutta la sua statura di intellettuale militante che non teme di sporcarsi le mani con gli aspetti che interessano più da vicino la vita civile e, prima ancora, morale degli italiani. Si possono condividere oppure no le sue analisi, le sue idee e i suoi punti di vista, ma non si può non riconoscere la capacità di Pasolini di inquadrare sempre con intelligenza le questioni e di suscitare pensiero e dibattito: che è il compito, appunto, degli intellettuali.

1 Il significato della militanza giornalistica

Gli Scritti corsari, usciti l’anno stesso della morte dell’autore (1975), sono una sorta di compendio del pensiero dell’ultimo Pasolini: un pensiero amaro e negativo, a partire dal quale, tuttavia, lo scrittore cerca ancora una via di comunicazione con il pubblico. Si tratta di un libro che raccoglie interventi giornalistici usciti, per lo più sul “Corriere della Sera”, tra il 1973 e il 1975.
Pasolini non era nuovo alla militanza giornalistica: sono centinaia i suoi articoli e le sue recensioni apparsi in diverse testate, senza contare i saggi di più ampio respiro. Oltre che negli Scritti corsari, gli ultimi pezzi, scritti nel 1975, verranno editi nel volume postumo Lettere luterane (1976).

Il fatto che Pasolini scriva sul “Corriere della Sera” non è privo di significato. Il quotidiano milanese è infatti, per eccellenza, il giornale della borghesia italiana. Come abbiamo visto, Pasolini detesta profondamente questa classe sociale. Se egli decide di scrivere non sull’“Unità”, giornale letto da studenti, operai, militanti del Pci, ma proprio sul “Corriere”, significa che intende parlare alla borghesia, magari con toni polemici e aggressivi, ma in ogni caso confrontarsi con essa, per esprimere fino in fondo il proprio dissenso e la propria distanza dalla mentalità della classe borghese.

 >> pag. 993 

Il fatto che Pasolini scriva per i lettori borghesi significa forse che in cuor suo egli nutre qualche barlume di speranza sulla possibilità di farsi ascoltare e di modificare la realtà del paese. Se facciamo un passo indietro nella sua biografia, ripercorrendola a partire dal periodo giovanile, possiamo notare come egli abbia sempre avuto una forte vocazione pedagogica, sin dagli anni di Casarsa, dove durante i mesi della Resistenza aveva attivato, insieme alla madre, una scuola popolare per i figli dei contadini che non potevano seguire studi regolari a causa della guerra; poi negli anni tra il 1947 e il 1949 insegna alla scuola media di Valvasone, vicino a Pordenone; e, una volta giunto a Roma nel 1950, trova lavoro presso un istituto privato di Ciampino.
Anche quando cessa di lavorare come insegnante, non viene meno nella sua attività intellettuale una paideia (vale a dire una vocazione alla formazione) rivolta a due interlocutori principali: il popolo, oggetto d’amore ma sempre a rischio di perdere la propria identità, e, appunto, la borghesia, oggetto di odio, ma forse, almeno in parte, in grado di “rieducarsi”. Ciò è vero anche nella sua ultima produzione, quella degli Scritti corsari, quando Pasolini si propone quasi come un “pedagogo di massa”. Ora la sua cattedra è il giornale: egli interviene sulle questioni più scottanti dichiarando il proprio personale punto di vista ed esponendosi sempre in prima persona.

2 Uno sguardo critico sulla società contemporanea

Negli Scritti corsari Pasolini affronta vari argomenti: la società dei consumi, il potere coercitivo da essa esercitato sulle coscienze dei singoli, il cambiamento «antropologico» degli italiani, la rivoluzione sessuale, il ruolo della religione cattolica nell’Italia contemporanea, la contestazione giovanile, insomma i temi più rilevanti dell’epoca.

In occasione del referendum del 12 maggio 1974 voluto da Dc e Msi per abrogare la legge istitutiva del divorzio (approvata dal parlamento italiano nel 1971), Pasolini prevede la vittoria dei “no”, cioè di coloro che avrebbero votato per mantenere, nella nostra legislazione, la possibilità di divorziare. Ma questo – a suo modo di vedere – non sarebbe stato l’esito di una nuova mentalità laica e al passo coi tempi, bensì il risultato di una dominante mentalità individualistica ed edonistica, diffusasi con il consumismo.
Lo scrittore ama andare controcorrente, all’interno dello schieramento comunista e progressista, come appare chiaro anche nel caso della battaglia volta a legalizzare l’aborto. È questa un’ipotesi su cui la sua coscienza lo spinge a esprimere alcune riserve.
Scrive in un capitolo dal titolo significativo, 19 gennaio 1975. Il coito, l’aborto, la falsa tolleranza del potere, il conformismo dei progressisti: «Sono […] traumatizzato dalla legalizzazione dell’aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio». Egli intravede nella richiesta generalizzata dell’aborto un’ulteriore conferma di quella «rivoluzione antropologica» operata nel popolo italiano dalla società dei consumi: «L’aborto legalizzato è […] una enorme comodità per la maggioranza. […] Ma questa libertà […] da chi è stata tacitamente voluta, tacitamente promulgata e tacitamente fatta entrare, in modo ormai irreversibile, nelle abitudini? Dal potere dei consumi, dal nuovo fascismo».

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E spiega: «Oggi la libertà sessuale della maggioranza è in realtà una convenzione, un obbligo, un dovere sociale, un’ansia sociale, una caratteristica irrinunciabile della qualità di vita del consumatore». In altre parole, la legalizzazione dell’aborto è per Pasolini conseguenza diretta di una libertà sessuale vissuta in chiave consumistica.

Per questa sua critica al presente Pasolini è tacciato di passatismo, cioè di idealizzare in modo nostalgico un’età premoderna. Su questo punto, nel capitolo 8 luglio 1974. Limitatezza della storia e immensità del mondo contadino, risponde piccato a Italo Calvino, che lo aveva accusato di «rimpiangere l’Italietta» del ventennio fascista, un’Italia quanto mai piccolo–borghese, provinciale e repressiva, soprattutto nei confronti di chi era diverso, non conformista: «L’“Italietta” è piccolo-borghese, fascista, democristiana; è provinciale e ai margini della storia; la sua cultura è un umanesimo scolastico formale e volgare. Vuoi che rimpianga tutto questo? Per quel che mi riguarda personalmente, questa Italietta è stata un paese di gendarmi che mi ha arrestato, processato, perseguitato, tormentato, linciato per quasi due decenni».
Pasolini ammette invece di dolersi del tramonto definitivo del mondo contadino, spiegando che le generazioni precedenti non vivevano un’«età dell’oro», bensì l’«età del pane». E spiega: «Erano cioè consumatori di beni estremamente necessari. Ed era questo, forse, che rendeva estremamente necessaria la loro povera e precaria vita. Mentre è chiaro che i beni superflui rendono superflua la vita».

Un altro tema sviluppato negli Scritti corsari è quello della contestazione giovanile e studentesca, particolarmente accesa nella società italiana tra il 1968 e la prima metà degli anni Settanta. Pasolini accusa i giovani contestatori di conformismo. In un celebre capitolo (il primo del volume) sulla moda dei capelli lunghi, 7 gennaio 1973. Il «Discorso» dei capelli, l’autore racconta di aver visto per la prima volta alcuni «capelloni» (come venivano chiamati all’epoca i ragazzi con i capelli lunghi, allora segno di originalità e trasgressione) a Praga, nella hall di un albergo, alcuni anni prima che questa moda giungesse in Italia. Egli aveva provato istintivamente antipatia nei confronti di quei ragazzi, perché, nel notare come il tradizionale linguaggio verbale fosse stato sostituito da un segno esteriore (come, appunto, quello dei capelli lunghi), aveva pensato che «il loro “sistema di segni” fosse prodotto di una sottocultura di protesta che si opponeva a una sottocultura di potere ». Nonostante questo, Pasolini aveva difeso i giovani contestatori e le loro ragioni ideali.
Nel frattempo, però, il portare i capelli lunghi da parte dei giovani è diventato quasi un obbligo sociale, sintomo di omologazione: i giovani sono tutti uguali, devono essere tutti uguali, indipendentemente dai princìpi in cui credono, tanto che alla tv e nella pubblicità «è ormai assolutamente inconcepibile prevedere un giovane che non abbia i capelli lunghi: fatto che, oggi, sarebbe scandaloso per il potere».

Infine va notato, sul piano stilistico, l’originale tecnica espressiva utilizzata da Pasolini nel “dare la parola” ai capelli, cioè nel partire dall’osservazione esteriore della realtà, per ricavarne un’interpretazione capace di andare oltre la pura e semplice materialità dei segni: un metodo di indagine che mette a frutto i princìpi della semiologia ► . Questa è una costante di molte pagine del libro.

 >> pag. 995 

Del resto è lo stesso Pasolini ad affermare, in un altro capitolo degli Scritti corsari (24 giugno 1974. Il vero fascismo e quindi il vero antifascismo), che «la cultura di una nazione (nella fattispecie l’Italia) è oggi espressa soprattutto attraverso il linguaggio del comportamento, o linguaggio fisico», perché «in un momento storico in cui il linguaggio verbale è tutto convenzionale e sterilizzato (tecnicizzato) il linguaggio del comportamento (fisico e mimico) assume una decisiva importanza».

PER APPROFONDIRE

Il Sessantotto di Pasolini

Nel 1966 Pasolini compie un viaggio negli Stati Uniti, dove si conferma nell’idea che i movimenti giovanili della contestazione (là già attivi, mentre in Europa sarebbero arrivati un paio d’anni più tardi) altro non fossero che una “guerra civile” interna alla borghesia, una sorta di “lotta edipica” dei figli contro i padri. Così, pur riconoscendo l’importanza e il ruolo positivo svolto dal movimento studentesco per quanto esso poteva produrre sul piano delle conquiste sociali e civili, egli vive il Sessantotto italiano all’insegna di sentimenti contrastanti.
Desta scalpore la sua poesia Il Pci ai giovani!!, scritta in occasione degli scontri fra gli attivisti che occupavano la facoltà di Architettura dell’Università di Roma e le forze dell’ordine. Lo scrittore prende posizione contro gli studenti e a favore dei poliziotti, poiché i primi erano figli di papà, mentre i secondi erano figli del popolo, costretti dalla loro povertà a indossare la divisa.

« Avete facce di figli di papà.
Buona razza non mente.
Avete lo stesso occhio cattivo.
Siete paurosi, incerti, disperati
(benissimo!) ma sapete anche come essere
prepotenti, ricattatori e sicuri:
prerogative piccolo-borghesi, amici.
Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte
coi poliziotti,
io simpatizzavo coi poliziotti!
Perché i poliziotti sono figli di poveri.
Vengono da periferie, contadine o urbane che siano.
[…]
Hanno vent’anni, la vostra età, cari e care.
[…]
I ragazzi poliziotti
che voi per sacro teppismo (di eletta tradizione
risorgimentale)
di figli di papà, avete bastonato,
appartengono all’altra classe sociale.
A Valle Giulia, ieri, si è così avuto un frammento
di lotta di classe: e voi, amici (benché dalla parte
della ragione) eravate i ricchi,
mentre i poliziotti (che erano dalla parte
del torto) erano i poveri. »

Sono concetti riecheggiati anche nel romanzo Teorema, dove i contestatori vengono definiti

« Pierini
universitari che vanno a occupare l’Aula Magna
chiedendo il Potere anziché rinunciarvi una volta per
[ sempre. »

La loro rivolta sarebbe una rivolta contro la propria classe di appartenenza, e quindi una «lotta intestina ». In alcuni versi di un testo intitolato La poesia della tradizione e compreso nella raccolta Trasumanar e organizzar (1971), Pasolini ribadisce come la protesta giovanile sia perfettamente funzionale alla conservazione, nelle mutate condizioni storiche, della società borghese:

« Oh generazione sfortunata,
[…] tu obbedisti disobbedendo!
Era quel mondo a chiedere ai suoi nuovi figli di aiutarlo
a contraddirsi, per continuare. »

Al cuore della letteratura - volume 6
Al cuore della letteratura - volume 6
Dal Novecento a oggi