A un tratto il Riccetto si voltò su un gomito, per osservare meglio qualcosa che
aveva attratto la sua attenzione, sul pelo dell’acqua, presso la riva, quasi sotto le
arcate di Ponte Sisto. Non riusciva a capir bene cosa fosse. L’acqua tremolava, in
quel punto, facendo tanti piccoli cerchi come se fosse sciacquata da una mano: e
10 difatti nel centro vi si scorgeva come un piccolo straccio nero.
«Ched’è»,
4 disse allora rizzandosi in piedi il Riccetto. Tutti guardarono da quella
parte, nello specchio d’acqua quasi ferma, sotto l’ultima arcata. «È na rondine,
vaffan…», disse Marcello.5 Ce n’erano tante di rondinelle, che volavano rasente
i muraglioni, sotto gli archi del ponte, sul fiume aperto, sfiorando l’acqua con il
15 petto. La corrente aveva ritrascinato un poco la barca indietro, e si vide infatti c’era
proprio una rondinella che stava affogando. Sbatteva le ali, zompava.6 Il Riccetto
era in ginocchioni sull’orlo della barca, tutto proteso in avanti. «A stronzo, nun
vedi che ce fai rovescià?», gli disse Agnolo. «An vedi», gridava il Riccetto, «affoga!».
Quello dei trasteverini che remava restò coi remi alzati sull’acqua e la corrente spingeva
20 piano la barca indietro verso il punto dove la rondine si stava sbattendo. Però
dopo un po’ perdette la pazienza e ricominciò a remare. «Aòh, a moro», gli gridò il
Riccetto puntandogli contro la mano, «chi t’ha detto de remà?» L’altro fece schioccare
la lingua con disprezzo e il più grosso disse: «E che te frega». Il Riccetto guardò
verso la rondine, che si agitava ancora, a scatti, facendo frullare di botto7 le ali.
25 Poi senza dir niente si buttò in acqua e cominciò a nuotare verso di lei. Gli altri si
misero a gridargli dietro e a ridere: ma quello dei remi continuava a remare contro
corrente, dalla parte opposta. Il Riccetto s’allontanava, trascinato forte dall’acqua:
lo videro che rimpiccioliva, che arrivava a bracciate fin vicino alla rondine, sullo
specchio d’acqua stagnante, e che tentava d’acchiapparla. «A Riccettooo», gridava
30 Marcello con quanto fiato aveva in gola, «perché nun la piji?». Il Riccetto dovette
sentirlo, perché si udì appena la sua voce che gridava: «Me pùncica!».8 «Li mortacci
tua»,
9 gridò ridendo Marcello. Il Riccetto cercava di acchiappare la rondine, che gli
scappava sbattendo le ali e tutti e due ormai erano trascinati verso il pilone dalla
corrente che lì sotto si faceva forte e piena di mulinelli. «A Riccetto», gridarono
35 i compagni dalla barca, «e lassala perde!». Ma in quel momento il Riccetto s’era
deciso ad acchiapparla e nuotava con una mano verso la riva. «Torniamo indietro,
daje», disse Marcello a quello che remava. Girarono. Il Riccetto li aspettava seduto
sull’erba sporca della riva, con la rondine tra le mani. «E che l’hai sarvata a ffà», gli
disse Marcello, «era così bello vedella che se moriva!». Il Riccetto non gli rispose
40 subito. «È tutta fracica»,10 disse dopo un po’, «aspettamo che s’asciughi!». Ci volle
poco perché s’asciugasse: dopo cinque minuti era là che rivolava tra le compagne,
sopra il Tevere, e il Riccetto ormai non la distingueva più dalle altre.
***
Genesio allora s’alzò all’impiedi, si stirò un pochetto, come non usava fare mai, e
poi gridò: «Conto fino a tre e me butto». Stette fermo, in silenzio, a contare, poi
45 guardò fisso l’acqua con gli occhi che gli ardevano sotto l’onda nera11 ancora tutta
ben pettinata; infine si buttò dentro con una panciata. Arrivò nuotando alla svelta
fin quasi al centro, proprio nel punto sotto la fabbrica, dove il fiume faceva la curva