Al cuore della letteratura - volume 6

Il secondo Novecento e gli anni Duemila – L'autore: Italo Calvino

      Dentro il testo

I contenuti tematici

L’episodio qui proposto e le altre diciannove storie che hanno per protagonista il contadino inurbato Marcovaldo presentano una struttura narrativa tipica del comico, che ripete in modo quasi identico un medesimo modello: quello proprio delle comiche cinematografiche o delle narrazioni a vignette dei giornalini per l’infanzia (non a caso la prima edizione del libro era corredata dalle illustrazioni di Sergio Tofano, il creatore del Signor Bonaventura, celeberrimo eroe del “Corriere dei Piccoli”).
Come spesso accade nel libro, anche qui lo schema della storia segue una struttura bipartita: in un primo momento viene descritto ciò che Marcovaldo fa abitualmente e che costituisce la norma delle sue giornate di alienato uomo di fatica (viene cioè raccontato come egli sia solito consumare il pranzo contenuto nella pietanziera); su questa base di azioni consuetudinarie si innesta poi l’“avventura” vera e propria (lo scambio di pietanze tra Marcovaldo e il bambino).

Lo sguardo di Marcovaldo ignora i segni distintivi della città, preferendo soffermarsi sugli indizi che mostrano una residua presenza della natura, come il ciclico mutare delle stagioni (Se è d’autunno e c’è sole, sceglie i posti dove arriva qualche raggio, rr. 25–26). Se la sua attenzione si sofferma su oggetti che non appartengono al mondo della natura, è per estrapolarli dal contesto in cui si trovano e riconnetterli a una dimensione più umana. È quanto avviene con la pietanziera: da oggetto-simbolo dell’operaio di fabbrica che non può permettersi un pasto servito caldo o il ritorno a casa durante la pausa pranzo (siccome casa sua è lontana e ad andarci a mezzogiorno perde tempo, rr. 22–23), essa si muta, agli occhi di Marcovaldo, in una scatola magica, in un ghiotto portagioie (Già il movimento di svitare il coperchio richiama l’acquolina in bocca, rr. 2–3) che cela e conserva i sapori del desco familiare (r. 20). Infine, la pietanziera risulta il tramite grazie al quale dare e ricevere un’imprevista felicità, derivante dal piacevole scambio culinario tra Marcovaldo (che finalmente si porta alla bocca un’anelata frittura di cervella morbida e riccioluta come un cumulo di nuvole, rr. 70–71) e il bambino (che gusta il cibo proibito, quella salsiccia che sembra una biscia, r. 76, e che a casa sua non si mangia mai).

Tuttavia, le speranze del manovale si infrangono continuamente contro una realtà ben più amara. Nonostante l’entusiasmo suscitato dalla pietanziera, questo oggetto umile e anonimo non può che confermare la propria inadeguatezza rispetto ai sogni di un uomo ingenuo, ingannato e deluso dal suo stesso sguardo. Così, se nella prima parte del racconto l’umore di Marcovaldo oscilla più volte tra l’euforia per le gioie celate dal recipiente e la delusione di trovarvi delle vivande intorpidite (r. 14), la tristezza del mangiare freddo (r. 19) e il disappunto per il sapore metallico comunicato ai cibi dall’alluminio (r. 35), nella seconda parte la felicità per l’inattesa svolta dovuta all’incontro con il bambino viene bruscamente interrotta dall’arrivo della governante, che riporta i due personaggi al posto che spetta loro.

Le scelte stilistiche

Nel brano predomina un tono colloquiale e ricco di venature ironiche, cui fanno da contrappunto brevi slanci lirici subito raffreddati dall’inserzione di particolari prosaici, che svelano le miserie della vita. Ciò accade, per esempio, quando il narratore descrive il tentativo messo in atto da Marcovaldo di operare una comunione tra uomo e natura: le foglie rosse e lucide che cadono dagli alberi gli fanno da salvietta; le bucce di salame vanno a cani randagi che non tardano a divenirgli amici; e le briciole di pane le raccoglieranno i passeri, un momento che nel viale non passi nessuno (rr. 26–29).

 >> pag. 923 

L’incipit apparentemente banale (Le gioie di quel recipiente tondo e piatto chiamato «pietanziera » consistono innanzitutto nell’essere svitabile, rr. 1–2) dà luogo, in realtà, a un geniale accostamento di immagini tra l’atto di svitare il coperchio della pietanziera e l’acquolina in bocca di chi, per una sorta di riflesso istintivo, preavverte le gioie del palato. Questo avvio permette al narratore di caricare il lettore (oltre che Marcovaldo) di aspettative che, dopo un gioco di alternanze fra sogni e disillusioni, precipiteranno definitivamente (non solo in senso metaforico, dato che la pietanziera finirà con il rotolare sul marciapiede).

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Qual è la prima gioia procurata dalla pietanziera?


2 A che cosa servono i primi colpi di forchetta dati da Marcovaldo al cibo?


ANALIZZARE

3 In che cosa differiscono le posate del bambino da quelle di Marcovaldo?


4 Inserisci nella tabella le espressioni che rimandano ai moti di gioia e di allegria di Marcovaldo e quelle che, invece, indicano la sua delusione.


Espressioni di gioia
Espressioni di delusione


 
 
 


 
 
 


 
 
 


 
 
 


 
 
 


INTERPRETARE

5 Sia Marcovaldo sia il bambino vedono nel cibo il riflesso dei loro desideri e della loro immaginazione (per il primo la frittura di cervella è come un cumulo di nuvole, per il secondo la salsiccia sembra una biscia). Si può dire che le pietanze diventino una metafora dell’essere altrove, del desiderare una vita diversa? Perché?


6 Il piacere che Marcovaldo pensa di ricavare dalla pietanziera è unicamente culinario o riguarda anche altro? A quali pensieri lo conduce il sapore del cibo?


PRODURRE

7 Calvino ha definito le storie di Marcovaldo come una «divagazione comico–melanconica in margine al “neorealismo” ». È possibile affermare che il passaggio dalle atmosfere belliche (e postbelliche) delle prime opere alla squallida quotidianità di Marcovaldo segni in negativo la percezione che l’autore ha della vita? Argomenta la tua risposta in un testo di circa 30 righe.


Al cuore della letteratura - volume 6
Al cuore della letteratura - volume 6
Dal Novecento a oggi