1 - La vita

Il secondo Novecento e gli anni Duemila – L'autore: Carlo Emilio Gadda

1 La vita

Carlo Emilio Gadda è il figlio primogenito di Francesco Ippolito, un industriale tessile attento al buon nome della casa (il fratello era stato ministro dei Lavori pubblici) ma poco capace negli affari, e Adele Lehr, insegnante di origini ungheresi. Nato a Milano nel 1893, trascorre nella città lombarda «un’infanzia tormentata e un’adolescenza anche più dolorosa», a causa delle condizioni economiche della famiglia, rese precarie dai pessimi investimenti del padre, rovinatosi con la coltivazione del baco da seta in un momento di crisi della sericoltura italiana dovuto alla concorrenza giapponese.
Ad aggravare la situazione concorre inoltre la costruzione di una casa di campagna in Brianza, presso Longone al Segrino, che la madre non vorrà mai vendere nonostante le difficoltà, accresciutesi in seguito alla morte del marito avvenuta nel 1909. Carlo Emilio sconta le conseguenze di queste ristrettezze, poiché vorrebbe approfondire gli studi letterari, ma la madre glielo impedisce, imponendogli di iscriversi alla facoltà di Ingegneria del Politecnico di Milano, che a suo giudizio offre maggiori opportunità di lavoro.

Allo scoppio della Prima guerra mondiale, Gadda si arruola volontario negli alpini, con l’intento dichiarato di dare un senso alla sua vita. Tuttavia l’esperienza della guerra si rivela subito durissima: «vita fangosa», «squallore spirituale», «paralisi della volontà e del desiderio», una realtà insomma molto lontana dalla visione idealizzata con cui era partito per il fronte. Partecipa in prima linea alla disastrosa battaglia di Caporetto e nell’ottobre del 1917 viene fatto prigioniero e trasferito in Germania.
Rientrato a casa nel 1919, apprende della morte dell’amato fratello Enrico, precipitato con il suo velivolo durante uno scontro aereo. È un altro trauma, che si aggiunge ai sacrifici patiti fino ad allora e che lo getta in uno stato di depressione profonda, da cui non si riprenderà mai del tutto: «Orrore nelle ore di sera e di notte, nel sole, e sempre. Nessuna sosta al dolore. Nessuna emozione per l’Italia e le cose. Nessun sogno per il futuro».

il carattere

Un signore educato ma umorale

Riservato fino alla misantropia, ma al tempo stesso ricco di humour e sarcastica giovialità, Gadda è noto in tutte le sue eccentriche stravaganze grazie agli aneddoti e ai ricordi lasciati dai suoi amici.

Umorale e nevrotico
La qualità del suo carattere che più risalta è l’umoralità che lo faceva repentinamente passare da violentissimi attacchi d’ira a stati di depressione e infelicità profonda. A questi stati d’animo alternava però momenti di ilarità altrettanto intensi, che lo rendevano una compagnia ricercata e apprezzata dalle persone che ebbero modo di frequentarlo.

Un curioso e “antico” signore
Altri aspetti del suo carattere che contrastavano con quelli più cupi e sofferti erano da un lato la sua irrefrenabile curiosità, essendo egli interessato ai fatti altrui (era un lettore quasi morboso di cronaca); dall’altro un comportamento sociale basato su una leggendaria «oltranza di buoneducazione» (termine usato dai suoi amici fiorentini), un esempio di «urbanità» d’altri tempi, come scrisse il suo amico e critico Gianfranco Contini. Si comportava, quasi, da signore borghese dell’Ottocento, vestito in modo impeccabile e «poco meno che austero », rispettoso della conversazione altrui, prodigo di complimenti e di «saluti ai cari» o di «ossequi alla Signora», come immancabilmente chiudeva le sue lettere ad amici e conoscenti.

 >> pag. 846 

Il ritorno alla vita normale non si rivela dunque semplice; ciononostante, Gadda riesce a riprendere gli studi interrotti e a laurearsi in Ingegneria elettrotecnica nel 1920, oltre a intraprendere studi filosofici. Per gli impegni legati alla sua professione, viaggia molto, sia in Italia sia all’estero. L’esperienza più lunga e significativa è rappresentata dal periodo vissuto in Argentina, dal 1922 al 1924, nel corso della quale Gadda matura il convincimento che la carriera da ingegnere non faccia per lui, e cerca in tutti i modi di liberarsi dalla «schiavitù» di un lavoro che considera arido e impersonale.
sia in Italia sia all’estero. L’esperienza più lunga e significativa è rappresentata dal periodo vissuto in Argentina, dal 1922 al 1924, nel corso della quale Gadda matura il convincimento che la carriera da ingegnere non faccia per lui, e cerca in tutti i modi di liberarsi dalla «schiavitù» di un lavoro che considera arido e impersonale.
Al rientro in Italia si dedica perciò agli studi di filosofia e decide di tentare l’avventura letteraria, impiegandosi contemporaneamente come docente di matematica e fisica al liceo classico Parini di Milano, dove lui stesso aveva studiato. Le necessità economiche lo costringono però a proseguire la professione di ingegnere, che svolgerà fino al 1931.
Trasferitosi nel 1925 a Roma, dove lavora anche per conto del Vaticano, Gadda assiste con crescente disgusto alle cerimonie e ai riti del fascismo trionfante, a cui pure aveva inizialmente aderito. Sono anni fondamentali per l’ispirazione dello scrittore: a questo periodo risalgono infatti la stesura della Meditazione milanese e della Meccanica e la pubblicazione delle prime raccolte di racconti.

Nell’aprile del 1936 muore la madre Adele, un evento traumatico che lo lascia «in un grande dolore e in una disperata solitudine». Nel 1937 Gadda vende la villa in Brianza ma, nonostante la volontà di liberarsi del passato, non riesce ad affrancarsi dalla disperazione. Si alimenta anzi in lui il senso di colpa verso la madre: «La nevrosi che ho dominato (come ho potuto) per anni e anni è nuovamente esplosa: il ricordo di mia madre è diventato una ossessione. Tutti i nodi vengono al pettine, e, orribile fra tutti, il rimorso».
Queste sensazioni saranno il tema portante del romanzo La cognizione del dolore, pubblicato a puntate sulla rivista “Letteratura” fra il 1938 e il 1941.
Abbandonata la professione di ingegnere per dedicarsi totalmente alla letteratura, Gadda si trasferisce nel 1940 a Firenze, dove infittisce la sua attività editoriale, pubblicando la prima versione del romanzo Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, uscito in cinque puntate sulla rivista “Letteratura” (1946).

cronache dal passato

L’ingegnere e lo scrittore

Una professione ideale… per la madre

Lo scrittore Goffredo Parise (1929– 1986) definì Gadda «l’ingegnere aneddotico». La vita timida, riservata e molto privata dell’autore dispensa, infatti, quasi paradossalmente, una serie infinita di situazioni, episodi, nomi, tipi e personaggi. Disinteressato – almeno a parole – alla politica, alla sociologia, alla religione, egli riversava nella battuta pungente il proprio temperamento da «inchiostratore maligno e pettegolo » (come si autodefiniva), finendo poi, per vendetta o per divertimento, al centro di storie, dicerie e narrazioni vere o false.

«Ingegnere, non scrittore!»
L’aneddoto più noto ed emblematico che riguarda la vita di Gadda è senza dubbio quello raccontato dal giornalista e critico Giancarlo Vigorelli che, recatosi un giorno a casa sua per un’intervista e avendone incontrato la madre, le chiese se fosse in casa lo scrittore Gadda. La madre rispose che forse stava cercando l’ingegnere Gadda e, all’insistenza del visitatore, che ne ribadì la qualifica di scrittore, gli si avventò contro prendendolo per la cravatta e gridando: «Ah, lei è uno di quelli che montano la testa a mio figlio…».

L’invadenza della figura materna
In questo episodio emerge, in maniera tragicomica, un tratto che contraddistingue la biografia e alcune tematiche narrative dello scrittore lombardo: la carenza affettiva e la durezza della madre, che pretende dal figlio una carriera e una vita diverse da quelle a cui lui aspira.
Come lo stesso Gadda rivelò in un’intervista, uno dei peggiori momenti della sua vita era stato provocato dalla madre: era colpa sua se al liceo aveva studiato la matematica e non il greco; egli voleva diventare filosofo, mica ingegnere!

 >> pag. 847 

Nel 1950 Gadda torna a Roma, assunto alla Rai: qui lavora come giornalista fino al 1955, quando si licenzia per potersi dedicare interamente alla stesura definitiva del Pasticciaccio, che esce in volume nel 1957 riscuotendo un grande successo di critica e di pubblico.
Ormai famoso, ma stanco e infastidito dalla notorietà, lo scrittore si chiude in uno scontroso e angosciato isolamento, occupandosi della riedizione di romanzi e scritti pubblicati in precedenza. Muore a Roma nel 1973, a ottant’anni.

2 Le opere

I romanzi

La suddivisione e la catalogazione dell’opera gaddiana risultano per molti versi convenzioni editoriali e critiche, in quanto il continuo riutilizzo fatto dall’autore di interi brani o capitoli fa sì che le stesse pagine compaiano sia in romanzi sia in raccolte di racconti o all’interno di scritti di altro genere. Sebbene si tratti di opere mai pienamente compiute, è comunque tra i romanzi che si trovano le creazioni più originali di Gadda.

La meccanica

La stesura dell’opera risale agli anni compresi tra il 1924 e il 1929. Alcuni brani escono prima sulla rivista “Solaria”, quindi vengono inseriti nella raccolta di racconti Novelle dal Ducato in Fiamme, ma il romanzo esce in volume solo nel 1970, con l’aggiunta di tre capitoli, solo abbozzati.

La trama si incentra sul triangolo amoroso tra la popolana Zoraide, suo marito Luigi e l’amante Franco. Le vite dei due uomini si incrociano al fronte, durante la Grande guerra, quando Franco salva Luigi, malato di tisi, dal fuoco dell’artiglieria nemica. Questi, durante una licenza per far visita alla moglie, la scopre in compagnia dell’amante. Sconvolto, l’uomo muore, e poco dopo il suo funerale Franco viene insignito della medaglia d’argento al valor militare.
Il pretesto narrativo dell’adulterio, tipico di molti romanzi e drammi borghesi, serve a Gadda per descrivere la società milanese di quel tempo, concentrandosi sul contrasto tra due classi sociali: il proletariato, rappresentato dal falegname socialista Luigi, e l’alta borghesia, rappresentata da Franco e della quale l’autore denuncia l’ipocrisia e l’angusta mentalità. Pur con una lingua semplice, non ancora “espressionista”, Gadda impiega qui una molteplicità di registri stilistici, tra inserti dialettali e squarci lirici.

La cognizione del dolore

Il romanzo, la cui prima composizione risale alla fine degli anni Trenta (subito dopo la morte della madre), esce in prima edizione sulla rivista “Letteratura” tra il 1938 e il 1941. È però solo dopo una vera e propria avventura editoriale, durata più di trent’anni, che esso trova la forma che conosciamo e leggiamo oggi: il 1963 è infatti la data dell’uscita in volume, ma solo nel 1970 Gadda aggiunge gli ultimi due capitoli, che tuttavia non presentano un finale compiuto.
Il titolo già dichiara il senso e la sostanza del romanzo. Il termine «cognizione», infatti, non indica un dato acquisito per via teorica o una conoscenza appresa una volta per tutte, ma piuttosto un processo, un percorso conoscitivo interiore doloroso e amaro, che può avvenire anche attraverso le esperienze di vita più strazianti.

 >> pag. 848 

Il testo è diviso in due parti. La prima, a sua volta ripartita in quattro capitoli o «tratti», si concentra su una sorta di introduzione sociale, geografica e antropologica del contesto in cui si dipana la linea narrativa, un contesto rappresentato da un immaginario stato latinoamericano, il Maradagàl, che richiama la Lombardia e, ancor di più, la Brianza degli anni Trenta. La seconda parte, suddivisa in cinque «tratti», è incentrata sulla figura della mamma (dietro la quale non è difficile scorgere la figura reale della madre dell’autore) che vive, insieme al figlio, l’ingegnere quarantenne Don Gonzalo Pirobutirro d’Eltino (alter ego di Gadda, con le sue stesse manie e fobie), nella villa di Lukones, il luogo irreale che corrisponde però alla località di Longone, dove la famiglia Gadda trascorreva le vacanze.

Profondamente autobiografico, la Cognizione rappresenta un angoscioso ritratto familiare, drammaticamente travolto da un vortice di ire e di nevrosi, di depressioni e di inquietudini incomunicabili. Il romanzo racconta infatti lo scontro quotidiano tra l’anziana donna, insensatamente prodiga di aiuti ed elemosine per la folla di questuanti che ogni giorno l’assedia, e il figlio, insofferente di questa generosità esagerata, del degrado, non solo economico, della vita familiare, dell’opportunismo di quanti frequentano una casa sempre più povera, spacciandosi per servitori fedeli.
L’azione inizia con la descrizione del Maradagàl e della villa di Lukones, proseguendo con la rassegna delle guardie del «Nistitúo provincial de vigilancia para la noche» (“Istituto provinciale di vigilanza notturna”, in spagnolo), che allude neanche troppo velatamente all’autoritarismo oppressivo del regime fascista: a questa fosca organizzazione è affidato il compito di garantire protezione armata agli abitanti. Unico a non volersi servire della sorveglianza di questi vigilantes, Don Gonzalo è guardato con sospetto dall’umanità che lo circonda, una volgare accozzaglia di arricchiti, arrampicatori sociali e sciocchi contadini, che lo fa oggetto di chiacchiere e insinuazioni a causa del suo carattere delirante e misantropo, facile agli attacchi d’ira e a sfoghi violentissimi. Proprio intorno alla villa si susseguono da tempo furti notturni: una notte, mentre Gonzalo è fuori per lavoro, vengono avvertiti rumori inquietanti provenire dalla sua proprietà. Quando i vicini entrano in casa, trovano sul letto il corpo della madre, moribonda in seguito dell’aggressione da parte di uno sconosciuto.

Chi ha colpito a morte la donna? Una guardia del Nistitúo? Uno dei falsi collaboratori di cui essa si circondava, oppure lo stesso Gonzalo? Il romanzo si interrompe qui, chiudendosi senza risposta: una qualunque soluzione non spiegherebbe la natura più profonda dei fatti, che prescinde da singole responsabilità e dipende invece, secondo Gadda, dalla complessità dei rapporti umani. L’unica certezza sono il rimorso e il senso di colpa che attanagliano il protagonista e lo obbligano ad analizzare i più inconfessabili desideri e stati d’animo che dominano la sua esistenza, ma anche quella del prossimo. La conoscenza di sé lo porta a cercare le radici delle proprie nevrosi e dell’odio per una società ottusa e crudele, senza tuttavia riuscire a comprendere i propri rancori (soprattutto quelli riversati sulla madre), a sintonizzarsi con il mondo che lo circonda e a dare una spiegazione razionale al «male oscuro», a quel misterioso disagio interiore, cioè, che si traduce per lui in un’insopprimibile angoscia esistenziale.

 >> pag. 849 

L’abilità stilistica di Gadda trova nella Cognizione una delle sue vette più elevate: pur nella sostanza drammatica del romanzo, l’autore non rinuncia a un registro comico, deformante e parodico, con punte ferocemente grottesche (come quando descrive la dilagante stupidità della classe borghese o allude alla violenza del potere fascista), bilanciata sapientemente da squarci di altissimo e tragico lirismo, soprattutto nelle parti dedicate alla figura materna e al ricordo del fratello del protagonista, caduto in guerra.

Quer pasticciaccio brutto de via Merulana

Al capolavoro di Gadda, pubblicato in rivista nel 1946 e in volume nel 1957, è dedicata la seconda parte dell’Unità (► p. 867).

Racconto italiano di ignoto del Novecento

Scritto tra il 1924 e il 1925 e pubblicato postumo nel 1983, è un romanzo incompiuto: delle tre «sinfonie», ovvero parti, previste dallo scrittore, solo la prima assume un aspetto definito. Il racconto degli intrecci amorosi tra alcune coppie di giovani serve all’autore per descrivere l’Italia che sta per scivolare nella dittatura: un paese in crisi, lacerato dagli scontri tra socialisti e fascisti.

I racconti e gli scritti vari

La tormentosa incapacità di portare a compimento opere di ampio respiro ha fatto sì che la gran parte degli scritti di Gadda sia costituita da brevi prose e racconti, a cui si aggiungono diari, saggi e altri scritti, difficilmente classificabili. Presentiamo le prove più significative, in ordine di pubblicazione.

La Madonna dei filosofi

Il volume, pubblicato nel 1931, comprende 4 racconti veri e propri e 8 frammenti descrittivi (chiamati dall’autore «studi imperfetti»). Già in quest’opera, che segna l’esordio letterario ufficiale di Gadda, si riconosce la sua tendenza a soffermarsi sui particolari della realtà più che a costruire intrecci narrativi coerenti e organici.

Il castello di Udine

Edita nel 1934, questa seconda raccolta presenta 16 prose, tra racconti e frammenti autobiografici, divise in tre parti. Gadda rievoca i giorni di guerra e i viaggi in qualità di ingegnere, concentrando l’attenzione su vicende ambientate a Roma.

 >> pag. 850 
L’Adalgisa

Si tratta di 10 racconti usciti in rivista tra il 1938 e il 1943, poi raccolti nel 1944. Il sottotitolo «Disegni milanesi» già introduce il contenuto: con l’eccezione di due prose che confluiranno nella Cognizione del dolore, sono affreschi sulla città natale dell’autore, soprattutto ritratti spietatamente satirici di personaggi della media e alta borghesia. Con ogni probabilità i racconti dovevano comporre un romanzo, in quanto ben sei di essi presentano tratti omogenei e, in alcuni casi, gli stessi personaggi, a partire da Adalgisa, popolana che ha coronato il sogno di diventare una “signora” sposando un ricco ragioniere.

Giornale di guerra e di prigionia

Pubblicato prima nel 1955 e poi nel 1965, è un diario scritto da Gadda con costanza durante la Prima guerra mondiale, nel tentativo di ricomporre la razionalità e l’ordine in un mondo interiore sconvolto dal caos e dalla distruzione. È una testimonianza di grande importanza sia sul piano letterario sia su quello storico, che descrive l’incapacità, l’irresponsabilità e il cinismo dei comandi militari italiani durante il conflitto.

Accoppiamenti giudiziosi

Questa raccolta, edita nel 1963, comprende 19 racconti, di cui 14 già pubblicati nel 1953 sotto il titolo Novelle dal Ducato in Fiamme (riferimento all’Italia negli anni della Seconda guerra mondiale).

Tra questi ne segnaliamo in particolare due. Nel primo, intitolato San Giorgio in casa Brocchi, Gadda descrive le attenzioni “pedagogiche” che una famiglia conservatrice della Milano degli anni Venti rivolge al giovane rampollo, il quale però è più interessato a una bella cameriera che non alle dissertazioni di etica e filosofia. L’insofferenza dell’autore verso il perbenismo borghese trova qui una forma di grande efficacia.
Un’altra prosa, scritta nei primi anni Trenta, è L’incendio di via Keplero (► T1, p. 852), racconto significativo soprattutto per l’aspetto stilistico: Gadda introduce qui per la prima volta in modo sistematico il suo tipico stile espressionistico, ricco di dialetti, di voci, di neologismi onomatopeici, allestendo una struttura accumulatoria dal notevole effetto comico.

Eros e Priapo (Da furore a cenere)

Scritto tra il 1944 e il 1945 e pubblicato nel 1967, dopo una lunga opera di revisione, è un testo difficile da classificare: libello? satira? saggio psicanalitico? Sicuramente è l’ultima opera di rilievo a cui Gadda rimette mano. Con questo scritto egli fa i conti – dal punto di vista storico e personale – con Mussolini e con il fascismo, un’ideologia alla quale inizialmente aveva aderito e che verso la fine degli anni Trenta era stata da lui avversata in modo rabbioso e iconoclasta.

Il libro offre un’analisi del rapporto squallidamente «erotico» (l’aggettivo è dell’autore) che si instaura tra la figura del duce e il popolo italiano, cioè tra la maschera vitalistica di un potere spietato e al tempo stesso da operetta e una società appiattita e resa passiva dalla propaganda martellante e dall’indottrinamento culturale.
L’invettiva costituisce una prova magistrale di invenzione linguistica, assemblando un lessico insieme classicheggiante e scurrile, ricco di giochi verbali, inserti dialettali dal romanesco al lombardo, neologismi e tecnicismi.

Al cuore della letteratura - volume 6
Al cuore della letteratura - volume 6
Dal Novecento a oggi