Il secondo Novecento e gli anni Duemila – L'autore: Cesare Pavese

la sintesi

LA VITA

Nato nel 1908 a Santo Stefano Belbo (Cuneo), Pavese perde il padre a sei anni. Nel 1923, a Torino, frequenta il liceo D’Azeglio; dopo la maturità si iscrive alla facoltà di Lettere, laureandosi nel 1930 con una tesi sul poeta americano Walt Whitman. Nello stesso anno muore la madre. Il giovane Pavese è tormentato dall’angoscia e lo sfiorano propositi di suicidio ogniqualvolta si invaghisce di giovani attrici di varietà e ballerine che non lo ricambiano. Evitato il servizio militare, nel 1932 inizia a insegnare in scuole private e serali; a ciò si accompagna un’intensa attività di traduzione di autori inglesi e americani. Nello stesso periodo inizia una feconda produzione poetica e narrativa.
Nel 1935, in seguito a una delazione, viene arrestato per antifascismo e inviato al confino a Brancaleone Calabro, dove resta fino al marzo 1936, anno in cui pubblica il suo primo libro di poesie, Lavorare stanca (l’edizione definitiva della raccolta uscirà nel 1943).
Nel 1941 debutta nella narrativa con Paesi tuoi, e l’anno seguente pubblica il romanzo La spiaggia. Dal 1942 lavora presso la casa editrice Einaudi. Dopo l’8 settembre 1943, mentre tanti suoi amici si uniscono alla Resistenza, Pavese si rifugia nel Monferrato, prima presso la sorella e poi in un collegio religioso, dove dà lezioni private agli studenti. Terminata la guerra torna all’Einaudi come direttore editoriale e, iscrittosi al Pci, avvia una collaborazione con “l’Unità”. Nel 1947 pubblica Il compagno, la sua opera più vicina al Neorealismo. Nel 1949 esce Prima che il gallo canti, costituito da due romanzi brevi: Il carcere (che trae spunto dall’esperienza del confino) e La casa in collina. Nel 1949 Pavese pubblica La bella estate, raccolta di tre romanzi brevi in cui si rappresenta la crisi morale ed esistenziale della borghesia; dello stesso anno sono i Dialoghi con Leucò, in cui l’autore intende aggiornare il modello leopardiano delle Operette morali. Nel 1950 esce il romanzo La luna e i falò, sorta di testamento spirituale dello scrittore. Il lavoro intensissimo incide sul sistema nervoso di Pavese, che inizia a soffrire di numerosi problemi di salute. Nel 1950 incontra l’attrice statunitense Constance Dowling, innamorandosene perdutamente, ma la donna riparte per New York. Pochi mesi dopo, il 26 agosto 1950, Pavese muore suicida a Torino. Tra le opere edite postume, si ricordano la raccolta poetica Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (1951) e il diario Il mestiere di vivere (1952).

I TEMI: LA POESIA COME RACCONTO DI SÉ

In Lavorare stanca (1936) Pavese compone un ritratto di sé e delinea temi e figure che poi svilupperà nella produzione narrativa: il personaggio del reduce dall’America, l’infanzia come stagione della solitudine, la campagna e la collina. Il ritorno dell’espatriato è la condizione biografica di Pavese stesso, sradicato dalle Langhe e incapace di integrarsi sul piano privato nella dimensione della città. Recuperare il passato, l’infanzia, la propria terra può per Pavese mitigare il senso di solitudine e di estraneità percepito nella vita cittadina. Ma il tentativo di tornare ai luoghi mitici della propria infanzia si rivela fallimentare; e quando crolla anche l’ultima illusione, quella sentimentale, resta solo la disperazione, come accade in molte liriche delle ultime raccolte poetiche.

I TEMI: LA RESISTENZA IMPOSSIBILE

Nel 1947 Pavese pubblica Il compagno, romanzo incentrato su un eroe positivo che acquisisce una precisa coscienza di classe; il tema dell’impegno politico suona però programmatico, quasi l’autore sentisse il bisogno di giustificare le proprie scelte ideologiche. L’impegno politico diretto è in realtà intimamente estraneo a Pavese. La casa in collina narra la storia di un intellettuale incapace di partecipare agli eventi della guerra e della Resistenza: il protagonista (alter ego dell’autore) non è in grado di aderire alle motivazioni che spingono gli altri alla lotta, perché nessuna ideologia può giustificare la violenza sull’uomo.

I TEMI: LA TERRA, IL MITO, IL SIMBOLO

Già nelle poesie di Lavorare stanca è presente il contrasto tra città e campagna: la prima è il luogo della maturità, della razionalità, della modernità; la seconda è il luogo dell’infanzia, dell’irrazionalità, delle pulsioni inconsce, di una natura non arginata dalla civiltà. Intorno al 1942 Pavese attua la svolta decisiva verso il mito della terra: la campagna diviene il simbolo della vita in sé, di un’esistenza originaria e primordiale, della spontaneità e dell’autenticità. A tale mitologia privata del ricordo Pavese affianca l’interesse per i miti collettivi dei vari popoli e delle diverse epoche storiche. In La luna e i falò, sintesi dell’intera vicenda umana e letteraria dell’autore, il rientro del protagonista al paese si configura come un tentativo di ritrovare le proprie radici; ma il ritorno al passato è impossibile, perché la realtà non corrisponde all’immagine che il personaggio si è portato per tanti anni nella memoria.

Al cuore della letteratura - volume 6
Al cuore della letteratura - volume 6
Dal Novecento a oggi