L’impegno politico diretto è infatti intimamente estraneo a Pavese. In tal senso appare assai più sincera e credibile l’ispirazione del romanzo La casa in collina (scritto tra il settembre del 1947 e il febbraio del 1948 e pubblicato nel 1949), in cui il protagonista Corrado (questa volta un vero alter ego dello scrittore) sceglie, per così dire, di non scegliere: di fronte al coinvolgimento diretto, anche a rischio della vita, di molti suoi amici, egli decide di mettersi al riparo dai pericoli, rifugiandosi in un luogo appartato e sicuro. Non si tratta soltanto di mancanza di coraggio o di pusillanimità, quanto di un’intima incapacità di aderire idealmente alle motivazioni politiche che spingono gli altri alla lotta. Ai suoi occhi la tragicità del conflitto riguarda tutte le diverse fazioni in campo: per lui non esistono motivi sufficienti a giustificare la violenza sull’uomo. Scrive infatti in una delle pagine più significative del romanzo: «Ogni guerra è una guerra civile».
Tuttavia, alla fine del libro, quando è rimasto ormai l’unico fra i compagni a non avere preso parte al conflitto, il protagonista giunge a comprendere che nella vita non ci si può isolare e che ciascuno deve assumersi la propria parte di responsabilità nelle vicende collettive. Ha scritto la narratrice piemontese Gina Lagorio: «Nel modo in cui Corrado giudica la guerra, da spettatore e non da protagonista, coinvolto in essa quasi suo malgrado, è forse riflesso il rimpianto di Pavese di non aver potuto schierarsi al momento giusto accanto agli amici. E la confessione per questo ci tocca: che la mia storia, che è la storia di tanti, insegni agli uomini qualcosa, sembra suggerirci Pavese». L’ultima pagina del romanzo, però, è anche una riflessione pacifista di ripulsa nei confronti della violenza e della guerra.