Al cuore della letteratura - volume 6

Il primo Novecento – L'opera: Ossi di seppia

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I contenuti tematici

L’annullarsi del tempo, al culmine di un assolato giorno estivo, è una situazione tipica di Alcyone, dove contribuisce a determinare la fusione tra l’uomo e il sensuale paesaggio tirrenico. Montale riprende questo motivo imprimendogli una forte torsione: al panismo subentra una sensazione di irrimediabile «disarmonia» trasposta in un luogo brullo e scosceso, teatro di un’amara meditazione sul significato della vita, paragonata a un insensato procedere lungo un invalicabile rovente muro d’orto (v. 2). La natura non si presta qui a un contatto sereno, ma rispecchia l’aridità dello spirito, quasi intorpidito nel suo monotono viaggio su terreni screpolati dal calore, coperti di pruni e sterpi (v. 3), circondati da calvi picchi (v. 12). La luminosità accecante si rifrange sulla superficie del mare, che scintilla in lontananza come un ristoro potenzialmente consolante, ma in realtà remoto e perciò intangibile.

Il frenetico movimento delle formiche, nella seconda strofa, allude alla condizione umana e ricorda una celebre pagina dello Zibaldone, dove Giacomo Leopardi si china a osservare «un giardino di piante, d’erbe, di fiori», scoprendovi una miniatura dell’universale sofferenza in cui si dibatte il creato. Anche Montale rovescia il topos* tradizionale classico del locus amoenus*, senza ricavarne però, come Leopardi, un moto di ribellione, ma soltanto un senso di avvilita impotenza. Lo sguardo del poeta progressivamente si alza, dalle crepe del suolo (v. 5) alle onde del mare, e di qui ai calvi picchi (v. 12) che si ergono nei paraggi. Infine l’osservazione attenta cede il campo a una riflessione, che ne è conseguenza: la progressione dei verbi percettivi (ascoltare, spiar, Osservare…) culmina nel sentire della quarta strofa, che indica al tempo stesso una sensazione fisica e un sentimento interiore. Il rovente muro d’orto (v. 2) diviene muraglia (v. 16) insuperabile: vivere equivale a costeggiarla, sapendo che ogni tentativo di scavalcarla è impedito dai cocci aguzzi di bottiglia (v. 17) che la sormontano, suggellando l’irrimediabile destino di solitudine dell’uomo.

Le scelte stilistiche

Inizialmente alla figura del poeta nella lirica fanno diretto riferimento soltanto due aggettivi, pallido e assorto (v. 1), che sottolineano il suo distacco emotivo da ciò che lo circonda. Nella quarta strofa il sentire con triste meraviglia del v. 14 indica però un mutato atteggiamento: all’inizio il poeta è in quella condizione di fiacca meditazione, un po’ sbalordita, tipica dei pomeriggi estivi; ma, dopo aver percorso con lo sguardo il paesaggio circostante, come riscuotendosi dal proprio torpore si accorge che quell’ambiente assomiglia al suo stato d’animo, e tira le fila del confronto attraverso l’immagine del cammino lungo la muraglia sormontata dai cocci di vetro (che vengono inquadrati per ultimi e si presume scintillino nella luce del sole).

Anche sul piano stilistico siamo agli antipodi della fusione con gli elementi della natura più volte messa in scena in Alcyone. L’enunciazione, interamente condotta tramite verbi all’infinito, realizza il secondo principio del Manifesto tecnico della letteratura futurista: « Si deve usare il verbo all’infinito, perché si adatti elasticamente al sostantivo e non lo sottoponga all’io dello scrittore che osserva o immagina». Gli atti percettivi (ascoltare, spiar, Osservare, sentire), sottratti all’emotività del soggetto e a uno sviluppo cronologico, acquistano portata universale e contribuiscono a creare l’idea di un ritmo ripetitivo, prestabilito e immodificabile. Anche il verbo seguitare (v. 16) contiene in sé l’idea di un moto obbligato e privo di senso. Il poeta è ridotto a semplice soggetto percipiente.

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In un passaggio dell’Intervista immaginaria (1946), Montale sostiene di aver tentato di comporre, negli Ossi di seppia, «un verso che aderisse a ogni fibra di quel suolo» in cui era cresciuto. Nessuna poesia meglio di Meriggiare pallido e assorto conferma questa intenzione: tutto il componimento è accordato sul tono stridulo delle cicale (v. 12), protagoniste del paesaggio sonoro insieme ai merli e alle serpi fruscianti (v. 4). In questa scelta si sente l’influenza del modello delle «rime aspre e chiocce» di Dante (cioè dei suoni più duri e “infernali” della Commedia), che governa la mescolanza plurilinguistica fra termini letterari (come pruni e frondi) e prosaici (come i cocci aguzzi di bottiglia). Non meno importante è la memoria del fonosimbolismo di Pascoli: la disarmonia esistenziale si traduce infatti nella prevalenza di suoni duri e dissonanti, in cui primeggiano la c velare e la r (schiocchi, scricchi, merli, frusci, tremuli, frondi ecc.). Numerose sono anche le rime difficili (sterpi : serpi, l’ipermetra veccia : intrecciano, formiche : biche). Va poi notata la virtuosistica sequenza dell’ultima strofa, tutta condotta sulla ricorrenza del gruppo gl: abbaglia : meraviglia : travaglio : muraglia : bottiglia. È un caso singolare: in seguito Montale cercherà combinazioni altrettanto raffinate, ma meno vistose.

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Che cosa fanno le formiche nella seconda strofa?


2 Elenca i verbi all’infinito presenti nel testo e indica quali esprimono un’azione e quali una percezione.


3 Il poeta compie particolari azioni? Se sì, quali? Se no, perché?


ANALIZZARE

4 Individua i riferimenti a suoni e rumori della natura presenti nel componimento.


5 Elenca nella tabella gli elementi visivi e quelli sonori.


Elementi visivi
Elementi sonori

 
 

 
 

 
 

 
 


INTERPRETARE

6 La lirica è costruita sulla successione di immagini concrete che acquistano, secondo la prospettiva del correlativo oggettivo, valenze simboliche. Precisa tali significati, riassumendoli nella tabella.


Immagini concrete
Valenze simboliche

 
 

 
 

 
 

 
 


PRODURRE

7 Immagina una continuazione del componimento.
Dove va il poeta? Qual è la sua meta? Scrivi un testo narrativo di circa 30 righe.

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