Al cuore della letteratura - volume 6

Il primo Novecento – L'autore: Eugenio Montale

 T3 

A mia madre

La bufera e altro


La poesia è scritta poco dopo la morte della madre, nell’autunno del 1942: per il poeta, essa resterà viva innanzitutto nella memoria di chi l’ha amata, al di là di ogni ipotesi di salvezza religiosa, nella quale comunque la madre credeva fermamente.


METRO Endecasillabi con rime e assonanze, disposti in 2 strofe rispettivamente di 7 e 6 versi (il v. 6 è “a gradino”), seguite da un distico.

        Ora che il coro delle coturnici
        ti blandisce nel sonno eterno, rotta
        felice schiera in fuga verso i clivi
        vendemmiati del Mesco, or che la lotta
5     dei viventi più infuria, se tu cedi
        come un’ombra la spoglia
        (e non è un’ombra,
        o gentile, non è ciò che tu credi)

        chi ti proteggerà? La strada sgombra
        non è una via, solo due mani, un volto,
10   quelle mani, quel volto, il gesto d’una
        vita che non è un’altra ma se stessa,
        solo questo ti pone nell’eliso
        folto d’anime e voci in cui tu vivi;

        e la domanda che tu lasci è anch’essa
15   un gesto tuo, all’ombra delle croci.

      Dentro il testo

I contenuti tematici

A mia madre viene pubblicata nel 1943 in coda a Finisterre, a significare la conclusione di una stagione della vita. Nella Bufera e altro, dove infatti la sezione successiva alla prima si intitola Dopo, essa invece funge da snodo fra il tema della guerra e la riflessione sugli affetti perduti, che occupa la seconda parte della raccolta. Non si tratta di ripiegarsi in consolanti ricordi familiari, ma di cercare nel privato valori in grado di sopravvivere alla tempesta bellica, come dimostrano anche i versi dedicati al padre in Voce giunta con le folaghe (uccelli acquatici che fanno pendant con le coturnici della madre): «Memoria / non è peccato fin che giova. Dopo / è letargo di talpe, abiezione / che funghisce [ammuffisce] su sé…».

 >> pag. 570 

Montale affronta il lutto senza nulla concedere al patetico. In questo si distingue dai tanti poeti del Novecento che hanno ricordato la madre con accenti devoti e commossi. Giuseppe Ungaretti, per esempio, nella Madre (1930, ► T1, p. 437) immagina di essere da lei condotto per mano dinanzi a Dio: «E solo quando m’avrà perdonato, / ti verrà desiderio di guardarmi». Umberto Saba nella Preghiera alla madre scioglie una vibrante invocazione, in cui sogna di raggiungerla e riprendere il colloquio interrotto – prima che dalla morte di lei – dal sopravvenire dell’età adulta. A sé sta infine il caso di Giorgio Caproni, che nel Seme del piangere (1958) dedica un intero ciclo poetico, colmo di affetto e rimpianti, alla figura della madre Annina, rievocata nei suoi anni giovanili.

Il poeta guarda con rispetto alle convinzioni cattoliche della madre, ma non le condivide. Per lui il corpo non è un’ombra (v. 6), ma tutto ciò che abbiamo, il fragile scrigno della nostra individualità. L’unica forma di sopravvivenza ultraterrena è quella garantita dal ricordo. È il labile, e perciò tanto più prezioso filo della memoria a unire i vivi e i morti: non stupisce allora, nel distico finale, il richiamo a Foscolo, l’autore che più aveva insistito, in prospettiva laica, sull’inestimabile valore del ricordo di coloro che non sono più. La domanda si fa gesto infatti all’ombra delle croci (vv. 14-15), riecheggiando la famosa interrogativa retorica che apre i Sepolcri: «All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne / confortate di pianto è forse il sonno / della morte men duro?».

Le scelte stilistiche

Montale evita il rischio dell’enfasi, insito nel genere della poesia “in morte” di una persona cara, adottando un lessico piano e colloquiale (fatto salvo qualche termine aulico come clivi, v. 3, o eliso, v. 12), al quale corrisponde però una sintassi particolarmente studiata.
Tipico della sua maniera è il ritardo della principale, che nel primo periodo compare soltanto in forma di apodosi* interrogativa al v. 8, dopo due temporali, la protasi*, un inciso fra parentesi e uno stacco di strofa che tuttavia non interrompe la frase. Il lettore è così costretto, per decodificare correttamente, a ricominciare dall’inizio, comprendendo quanto strettamente i due Ora che e or che (vv. 1 e 4) leghino dolore privato e tragedia storica.
Nel secondo periodo prevale invece la paratassi*, che connota la decisa opzione del poeta in favore dell’unicità irripetibile dell’esperienza terrena, espressa tramite un’anafora* rinforzata dal fatto che nel testo gli aggettivi dimostrativi sono evidenziati con un diverso carattere tipografico: solo due mani, un volto, / quelle mani, quel volto (vv. 9–10).

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Fai la parafrasi del testo, riordinando la sintassi.


2 Quali paesaggi fanno da sfondo alla poesia?


ANALIZZARE

3 Individua gli enjambement presenti nel componimento e spiegane la funzione espressiva.


INTERPRETARE

4 In che senso A mia madre può dirsi una poesia “foscoliana”?


5 In che cosa consiste la domanda (v. 14) lasciata dalla madre e in che senso essa si fa gesto (v. 15) nella memoria del poeta?


PRODURRE

6 Tratta il tema della presenza dei defunti e della loro memoria nella poesia italiana dell’Ottocento e del Novecento (da Foscolo a Pascoli, da Ungaretti a Montale) in un testo espositivo di circa 40 righe.


Al cuore della letteratura - volume 6
Al cuore della letteratura - volume 6
Dal Novecento a oggi