La concezione della poesia
Non è facile mettere a fuoco la poetica di Montale: in primo luogo perché conosce nel tempo una significativa evoluzione, e in secondo luogo per la riluttanza del poeta a lasciarsi imbrigliare in definizioni, scuole, correnti. Siamo dinanzi a un autore lucidissimo e ironico, che tende a depistare i critici e a dissimulare i riferimenti teorici del suo lavoro, riscontrati già in età giovanile sulle pagine di filosofi come Schopenhauer, Bergson, Boutroux. È dunque opportuno procedere per via di negazione e rimarcare innanzitutto la
distanza dalle esperienze liriche coeve, tenendo presente un suo celebre distico: «Codesto solo oggi possiamo dirti, / ciò che non siamo, ciò che non vogliamo».
Montale infatti non attribuisce al poeta un ruolo di vate o di profeta. Come si vedrà nella seconda parte dell’Unità, gli Ossi di seppia perseguono un evidente abbassamento di tono rispetto ai roboanti proclami futuristi o alla voce impostata dei «poeti laureati », in un’ottica di sostanziale equidistanza dalle avventure avanguardistiche e dalla vuota ripetizione di moduli ottocenteschi. In questo senso Gabriele d’Annunzio non rappresenta un idolo da abbattere, ma un modello da «attraversare», filtrandone i risultati stilistici più alti al setaccio di una sensibilità radicalmente diversa.