3 - Lo stile

Il primo Novecento – L'opera: Il canzoniere

3 Lo stile

Autodidatta e provinciale rispetto ai centri principali dell’innovazione letteraria, Saba si forma soprattutto sui classici. In una città come Trieste, che si trova all’incrocio di più culture e che non è ancora politicamente unita all’Italia, essi costituiscono un riferimento sicuro in fatto di lingua e contengono un forte richiamo all’identità nazionale italiana, ardente aspirazione del poeta.
I suoi autori prediletti sono Dante, Petrarca, Leopardi e i poeti dell’Ottocento fino a Carducci; minore influenza hanno Pascoli e d’Annunzio, di cui non ama i preziosismi lessicali. Il gusto di Saba si arricchisce inoltre con la lettura degli autori del Romanticismo tedesco e slavo, nonché della poesia dialettale veneta. La conciliazione di queste varie tendenze dà luogo – non senza dissonanze – a una sintesi molto originale.

Il canzoniere si presenta come un’opera omogenea anche dal punto di vista metrico, nonostante la varietà di forme strofiche e ritmiche. L’elemento unificante è la fedeltà dell’autore a una versificazione regolare, basata sui metri tradizionali, raccolti in forme strofiche canoniche (come il sonetto) o originali. Endecasillabi e settenari – le misure più ricorrenti nella tradizione italiana – sono i più usati da Saba; seguono gli imparisillabi minori (trisillabi e quinari), mentre fra i parisillabi troviamo con una certa assiduità soltanto l’ottonario. Saba non usa mai, invece, il verso libero, né metri che eccedano la misura dell’endecasillabo. L’impiego dei metri classici, comunque, non impedisce al poeta di manifestare una certa inquietudine sperimentale, tipica della poesia del Novecento, per esempio nell’uso ricorrente dell’enjambement, che spezza la corrispondenza armonica tra verso e sintassi.
Sistematico è il ricorso alla rima, per lo più rifiutata dai poeti coevi quale emblema della lirica del passato. Si tratta di una scelta consapevole e ricercata, che non impedisce però a Saba di inserire spesso, nei suoi componimenti, rime imperfette (soprattutto assonanze).
La propensione di Saba a tradurre la propria confessione lirica in racconto rende frequente la comparsa di cadenze prosastiche (temperate, nelle ultime poesie, da una certa concisione epigrammatica), che si coniugano però con una tendenza al canto dovuta alle scelte metriche di tipo tradizionale.

La singolare commistione di modernità e classicità è testimoniata anche dalla lingua: le forme auliche e ricercate convivono con un linguaggio quotidiano e colloquiale, talvolta volutamente dimesso («raso terra», come dice lo stesso Saba). Nel Canzoniere – ha notato Giacomo Debenedetti – la lingua è diretta conseguenza di uno stretto rapporto con la realtà. Esiste cioè un’univoca e inequivocabile corrispondenza tra parole e cose: «Le parole in Saba si presentano naturalmente, come i segni necessari delle cose che egli vuole dire. Sono, o appaiono, come imposte direttamente dalla cosa: una rosa non può che chiamarsi rosa, una lacrima non può che chiamarsi lacrima. Le cose di tutti i giorni non possono che presentarsi col loro nome di tutti i giorni».

Proprio per questa alternanza linguistica di alto e basso alcuni critici hanno avvicinato Saba al Crepuscolarismo. Gli intenti e gli esiti della poetica crepuscolare sono tuttavia molto diversi: i Crepuscolari abbassano, insieme al lessico, anche i contenuti e i temi della loro poesia, talora attraverso l’adozione di toni ironici (come nel caso di Gozzano), per cui i termini letterari o desueti rispondono a una funzione parodica e riduttiva; Saba, al contrario, tende a innalzare e a nobilitare la dimensione dell’umile e del familiare, motivo per cui si è parlato, in riferimento alla sua poesia, di “epica del quotidiano”.

Al cuore della letteratura - volume 6
Al cuore della letteratura - volume 6
Dal Novecento a oggi