Umberto Saba – L'opera

Il canzoniere

Per la profonda umanità dei contenuti e per la schiettezza della vena lirica Il canzoniere di Saba si colloca tra le maggiori creazioni della poesia italiana contemporanea. In esso, una visione della realtà dominata dal pessimismo e dal senso quasi fatalistico del dolore convive con l’amore per le persone care, con l’interesse per le creature più umili e con un’acuta attenzione per gli aspetti più minuti della vita.
Si tratta di un’opera autobiografica, che si risolve in un diario intimo, in una confessione dai toni medi, fra il cantato e il parlato, fra l’aulico e il popolaresco, fra echi leopardiani e ritmi facili e cantabili tipici del melodramma: un esperimento, anche sul piano stilistico e formale, del tutto originale.
Sotto l’apparente semplicità del dettato si celano comunque contenuti complessi. Strumento essenziale per la comprensione della poesia di Saba è la psicanalisi, cui fa riferimento l’autore stesso nella sua Storia e cronistoria del Canzoniere, l’opera in cui analizza e commenta i propri versi. Proprio come avviene nell’interpretazione psicanalitica delle dinamiche psicologiche, infatti, anche nelle liriche di Saba sono i dettagli che, emergendo dai quadretti idillici o addirittura dimessi in esse tratteggiati, diventano rivelatori delle pulsioni talvolta anche violente presenti nell’inconscio.

1 Il libro di una vita

Fin dagli anni successivi alle prime pubblicazioni, Saba comincia a pensare a una raccolta organica dei suoi componimenti, in cui far confluire la sua intera opera poetica e che «da un certo momento in poi ha condizionato e orientato le singole raccolte parziali man mano ideate e pubblicate» (Brugnolo).
La intitola, a partire dalla prima edizione del 1921, Il canzoniere, in omaggio certamente a Petrarca, ma anche al poeta romantico tedesco Heinrich Heine (1797–1856), delle cui liriche era uscita nel 1866 un’edizione italiana intitolata appunto Canzoniere, che Saba aveva letto e amato.

 >> pag. 522 

Il riferimento a Petrarca, in realtà, è allo stesso tempo un avvicinamento e una presa di distanza dal modello. Entrambi i Canzonieri costituiscono infatti un’attenta disamina del mondo interiore dell’autore, ma se il poeta trecentesco aveva offerto con i suoi versi un’immagine stilizzata e rarefatta della realtà, della vita e dei sentimenti, Saba, al contrario, canta l’esistenza nella sua dimensione concreta e quotidiana, con tutte le imperfezioni e le contraddizioni che la caratterizzano.
Una seconda edizione del Canzoniere, dopo quella del 1921, esce nel 1945, mentre nel 1961, dopo alcune altre, viene pubblicata postuma l’edizione definitiva (cui faremo riferimento in questa unità): ciò testimonia come Saba abbia lavorato al suo capolavoro, rivedendolo e correggendolo, per tutta la vita.

La struttura dell’opera ricalca la cronologia della composizione dei testi. La raccolta è divisa in 3 volumi (ossia 3 partizioni) che comprendono rispettivamente le liriche degli anni 1900–1920, 1921–1932 e 1933–1954. Ogni volume è a sua volta suddiviso in sezioni, ciascuna delle quali ha un titolo e rimanda a un lasso di tempo più ristretto.

La vita Le opere
Volume primo 1900–1920
Poesie dell’adolescenza e giovanili 1900–1907
Versi militari 1908
Casa e campagna 1909–1910
Trieste e una donna 1910–1912
La serena disperazione 1913–1915
Poesie scritte durante la guerra senza data
Tre poesie fuori luogo senza data
Cose leggere e vaganti 1920
L’amorosa spina 1920
Volume secondo 1921–1932
Preludio e canzonette 1922–1923
Autobiografia 1924
I prigioni 1924
Fanciulle 1925
Cuor morituro 1925–1930
L’uomo 1928
Preludio e fughe 1928–1929
Il piccolo Berto 1929–1931
Volume terzo 1933–1954
Parole 1933–1934
Ultime cose 1935–1943
1944 senza data (ma 1944)
Varie senza data
Mediterranee 1945–1946
Epigrafe 1947–1948
Uccelli 1948
Quasi un racconto 1951
Sei poesie della vecchiaia 1953–1954
 >> pag. 523 

Il canzoniere si presenta come un diario i cui tre volumi corrispondono grosso modo alle tre età della vita dell’autore: la giovinezza, la maturità e la vecchiaia. Ciascun volume è un piccolo canzoniere a sé, ma, allo stesso tempo, le numerose simmetrie tematiche e strutturali che accomunano le tre parti rendono la raccolta nel suo complesso un’opera profondamente unitaria. Come ha scritto il critico Mario Lavagetto, Il canzoniere di Saba non è una semplice «somma di poesie», ma una «forma temporale» in cui «ogni singolo componimento ci appare come una parola inserita in una frase: può essere letto in sé, ma rimanda a un significato latente che attraversa tutta l’opera e la organizza».

2 I temi

La struttura diaristica del Canzoniere è coerente con la natura autobiografica dei testi che lo compongono. Si può dire che Saba non parli che di sé stesso, anche quando racconta degli altri, delle cose, del mondo che lo circonda, guardato sempre a partire da un forte punto di vista personale e, soprattutto, sempre in relazione al proprio io.
L’autore racconta la propria vita come in una sorta di romanzo, che ha i suoi personaggi: la nutrice, la madre, la zia, i compagni di scuola, il padre, le fanciulle e i giovani uomini, la moglie, gli “altri”; e i suoi nuclei narrativi essenziali: la ricostruzione dell’infanzia, il conflitto padre–madre, l’amore per la moglie Lina, la contemplazione della natura e degli animali, il rapporto con i luoghi e in particolare con Trieste.

Trieste è infatti per Saba un punto di riferimento essenziale. I legami che lo avvincono a questa città sono talmente forti che essa può essere definita la “culla” della sua poesia: i posti (il porto, il molo, le viuzze della città vecchia, la zona collinare) ma anche l’umanità (gli uomini, le ragazze, i ragazzi, la vita urbana con la sua animazione) sono presenze fondamentali nei suoi versi. Una simbiosi così stretta tra autore e città appare un caso unico nella letteratura italiana del Novecento, e si può semmai paragonare alle identificazioni ottocentesche di Porta con Milano o di Belli con Roma.
L’attaccamento a Trieste è motivato dalla vicenda biografica dell’autore, che vede la propria città natale come una sorta di “origine prima”, di mondo delle sicurezze, e quasi come una personificazione della madre.

Nelle liriche del Canzoniere troviamo la celebrazione dell’esistenza nella sua totalità, e specialmente nei suoi aspetti fisici e minuti: la quotidianità è abbracciata come in un atto istintivo, non mediato dalle sovrastrutture della morale o dell’ideologia. Influisce, su questo atteggiamento, la lettura di Nietzsche, che si affianca all’altro autore di riferimento di Saba, Freud; non il Nietzsche superomistico caro a d’Annunzio, ma il grande “demistificatore” che scava in profondità nella psicologia dell’essere umano, il filosofo che smaschera le ipocrisie e le autocensure dell’individuo e riconosce gli impulsi egoistici alla base delle idee e dei valori più alti (proprio come avrebbe poi fatto Freud, tanto che di Nietzsche Saba scrive: «era uno psicologo prima dell’analisi»).

Allo stesso tempo, e quasi come rovescio di questa convinta adesione alla vita, il poeta vive un’acuta sensazione di estraneità e di esclusione dal mondo e dagli altri: «Dell’umana natura essere al fondo / pensavi, e invece ne sei quasi fuore» (Autobiografia, 7). Egli aspira alla gioia e alla pienezza, ma finisce per essere vittima dell’angoscia. A questo sentimento corrisponde un senso di dolorosa scissione dell’io, «lacerato da conflitti che rinviano […] a traumi personali, freudianamente ricondotti all’infanzia» (Brugnolo). È – quello di Saba – un intreccio psicologico-esistenziale amaro e tormentato.

 >> pag. 524 

La consapevolezza della propria specificità, l’«onta […] d’essere solo e diverso» (Appunti), rimanda al motivo tradizionale della separazione dell’intellettuale-poeta dalle persone comuni (espresso magistralmente dall’Albatro di Baudelaire), ma sembra anche legato, a tratti, a una diversità di tipo sessuale, che si esprime in una tensione omosessuale mai dichiarata apertamente ma presente sotto traccia (come scrive Lavagetto, tale segreta pulsione è «qualcosa che deve essere indovinato, riconosciuto, avvertito sotto le superfici »). Nelle liriche di Saba compaiono molti giovani uomini, a partire da Glauco, «un fanciullo dalla chioma bionda, / dal bel vestito di marinaretto», che chiede al poeta: «Qual è il pensiero che non dici, ascoso [nascosto], / e che da noi, così a un tratto, t’invola [ti allontana]?» ( Glauco). Il «pensiero ascoso» del poeta «rimanda con molta evidenza al desiderio omoerotico, disseminato in molti modi in tutto il Canzoniere, anche quando non è rappresentato esplicitamente» (Gnerre).

Al di là del vissuto personale e dell’oscuro groviglio che caratterizza il suo mondo interiore, Saba manifesta nel corso degli anni una crescente apertura alle ragioni della sofferenza altrui e alle vicende della Storia collettiva, sempre mantenendo la semplicità e l’assenza di retorica che contraddistinguono tutta la sua produzione: «È bella / la nostra solitudine. Ma pure / sento in essa echeggiar le altrui sventure / più grandi» (Undicesima fuga). È un altro aspetto della sua adesione alla vita, da cui derivano per esempio la solidarietà e la vicinanza nei confronti del popolo ebraico (al quale Saba appartiene in virtù delle origini materne), colpito dalla tragedia immane della Shoah, e più in generale verso tutti coloro che hanno sofferto a causa delle drammatiche vicende del Novecento e che si sono opposti alla barbarie dei regimi totalitari: «Amo sol chi in ceppi avvinto [incatenato], / nell’orror d’una segreta [prigione], / può aver l’anima più lieta / di chi a sangue lo percuote» (Sesta fuga).

Nel 1948, giudicando insufficiente l’attenzione della critica nei suoi confronti, Saba pubblica un testo in prosa dal titolo Storia e cronistoria del Canzoniere, un singolare autocommento alla propria opera, in cui rivela le occasioni compositive, chiarisce i riferimenti a episodi e stati d’animo che altrimenti non potrebbero per altra via essere noti al lettore, illustra il significato di alcune espressioni.
Un’analisi sistematica e così approfondita del proprio lavoro creativo da parte di un autore è un esempio unico nella letteratura italiana del Novecento (e che fa piuttosto pensare al Dante della Vita nuova e del Convivio, in cui egli spiegava, attraverso i brani in prosa, il senso delle proprie liriche). Non sempre, tuttavia, l’autoesegesi del poeta è la più corretta: non solo perché al lettore, che pure non può prescindere dall’aderenza ai dati testuali, va garantita una certa libertà ermeneutica, ma anche perché Saba, di proposito o meno, dissemina la sua Storia e cronistoria di informazioni talora errate o comunque inaffidabili. Si tratta dunque di un documento prezioso ma non sufficiente per l’interpretazione della sua opera poetica.

Al cuore della letteratura - volume 6
Al cuore della letteratura - volume 6
Dal Novecento a oggi