Un incontro con d’Annunzio
La soggezione del giovane poeta di fronte alla cortese accoglienza del “vate”
Non si può immaginare poeta più diverso da Saba di Gabriele d’Annunzio. Eppure – come tutti i poeti italiani di inizio Novecento – anche il giovane Umberto non si sottrae al fascino incantatore del “vate”.
Una visita in Versilia
A distanza di anni, egli ricorda così una visita resa a d’Annunzio in Versilia, nel 1905, grazie all’amicizia con uno dei suoi figli, Gabriellino: «Mi accolse un bianco immacolato signore (voglio dire un signore vestito inappuntabilmente di bianco), ancora giovane, che aveva, e sapeva di avere, un sorriso affascinante. Egli fu con me, dal primo istante, squisito. E quanto sia stato squisito appena oggi posso capirlo, perché appena oggi riesco ad immaginare la noia che deve avergli recata la presenza di quel “giovane poeta”, che aveva alcune “umane stranezze”, e vestiva (anche questo però allora usava) un palamidone [un soprabito molto ampio e lungo] grigio azzurro, coi risvolti di seta.
Si liberò da suo figlio, e da altre persone che gli stavano attorno, e mi condusse nel giardino della villa, dove mi fece sedere accanto a sé su una panca».
L’«aquila» e il «pulcino»
Al suo cospetto Saba è in soggezione, si sente «come un pulcino tra gli artigli di un’aquila». D’Annunzio promette al giovane triestino di segnalare i suoi versi al proprio editore, promessa che però non manterrà. A proposito di questo episodio Saba scrive, in un sonetto dell’Autobiografia (1924): «Gabriele d’Annunzio alla Versiglia / vidi e conobbi; all’ospite fu assai / egli cortese, altro per me non fece». Di buono, di quell’incontro, gli rimarrà se non altro il ricordo di aver gustato, alla tavola di casa d’Annunzio, un’ottima pastasciutta al sugo di pomodoro.