analisi del testo
Perché?
Il porto sepolto
Giuseppe Ungaretti descrive la disperazione e il senso di sgomento provati durante la logorante e interminabile guerra in trincea.
Il porto sepolto
Giuseppe Ungaretti descrive la disperazione e il senso di sgomento provati durante la logorante e interminabile guerra in trincea.
Carsia Giulia* 1916
Ha bisogno di qualche ristoro
il mio buio cuore disperso
Negli incastri fangosi dei sassi
come un’erba di questa contrada
5 vuole tremare piano alla luce
Ma io non sono
nella fionda del tempo
che la scaglia dei sassi tarlati
dell’improvvisa strada
10 di guerra
Da quando
ha guardato nel viso
immortale del mondo
questo pazzo ha voluto sapere
15 cadendo nel labirinto
del suo cuore crucciato
Si è appiattito
come una rotaia
il mio cuore in ascoltazione
20 ma si scopriva a seguire
come una scia
una scomparsa navigazione
Guardo l’orizzonte
che si vaiola di crateri
25 Il mio cuore vuole illuminarsi
come questa notte
almeno di zampilli di razzi
Reggo il mio cuore
che s’incaverna
30 e schianta e rintrona
come un proiettile
nella pianura
ma non mi lascia
neanche un segno di volo
35 Il mio povero cuore
sbigottito
di non sapere
1 Fai la parafrasi della poesia.
2 Spiega il significato del titolo.
3 Che cosa significa l’espressione nella fionda del tempo (v. 7)?
4 Descrivi la struttura metrica e rimica della lirica.
5 La punteggiatura è assente: per quale motivo?
6 Si possono individuare enjambement? Se sì, dove? Perché Ungaretti vi ricorre?
7 Rintraccia le principali figure retoriche presenti nel testo, spiegandone la funzione espressiva.
8 Quali registri linguistici utilizza Ungaretti? Individua i termini più rappresentativi di tali registri.
9 Soffermati sui verbi si vaiola (v. 24) e s’incaverna (v. 29): qual è il loro tratto distintivo?
10 Confronta questa poesia con altre dell’Allegria che conosci. Evidenzia gli elementi in comune e le differenze sul piano contenutistico e stilistico.
Sviluppa l’argomento in forma di saggio breve utilizzando i documenti forniti. Nella tua argomentazione fai riferimento a ciò che hai studiato e alle tue conoscenze.
Giuseppe Ungaretti paragona il crepitare dei fucili nelle trincee al rumore prodotto dagli scalpelli sulla pietra delle strade del suo paese.
In dormiveglia
Valloncello di Cima Quattro il 6 agosto 1916
Assisto la notte violentata
L’aria è crivellata
come una trina
dalle schioppettate
5 degli uomini
ritratti
nelle trincee
come le lumache nel loro guscio
Mi pare
10 che un affannato
nugolo di scalpellini
batta il lastricato
di pietra di lava
delle mie strade
15 ed io l’ascolti
non vedendo
in dormiveglia
Giuseppe Ungaretti, L’allegria, 1931
La bomba atomica è il simbolo drammatico della Seconda guerra mondiale. Nel 1958 il poeta
statunitense Gregory Corso (1930–2001) le ha dedicato un lungo poema, Bomba (Bomb).
Questa è la parte iniziale.
Bomba sei crudele come l’uomo ti fa e non sei più crudele del cancro
Ogni uomo ti odia preferirebbe morire in un incidente d’auto per un fulmine annegato
Cadendo dal tetto sulla sedia elettrica di infarto di vecchiaia di vecchiaia O Bomba
Preferirebbe morire di qualsiasi cosa piuttosto che per te Il dito della morte è indipendente
5 Non sta all’uomo che tu bum o no La Morte ha distrutto da un pezzo
il suo azzurro inflessibile Io ti canto Bomba Prodigalità della Morte Giubileo della Morte
Gemma dell’azzurro supremo della Morte Chi vola si schianterà al suolo la sua morte sarà diversa
da quella dello scalatore che cadrà Morire per un cobra non è morire per del maiale guasto
Si può morire in una palude in mare e nella notte per l’uomo nero
10 Oh ci sono morti come le streghe d’Arco Agghiaccianti morti alla Boris Karloff
Morti insensibili come un aborto morti senza tristezza come vecchio dolore Bowery
Morti nell’abbandono come la Pena Capitale morti solenni come i senatori
E morti impensabili come Harpo Marx le ragazze sulla copertina di Vogue la mia
Proprio non so quanto sia terribile la MortePerBomba Posso solo immaginarlo
Gregory Corso, Bomba, in Poesia degli ultimi americani, a cura di F. Pivano, Feltrinelli, Milano 1958
La guerra del Vietnam (1960–1975) è stata una delle guerre più sanguinose della seconda metà del XX secolo. Gli Stati Uniti vi parteciparono dal 1965, causando e subendo migliaia di vittime. Il giornalista statunitense Michael Herr (n. 1940) è stato inviato di guerra in quel conflitto.
Una notte, poco dopo l’attacco di Langvei,1 un intero plotone dell’1/9 cadde in
un’imboscata nel corso di un pattugliamento e fu sterminato. La collina 861 fu
colpita ripetutamente, una volta per tre giorni di seguito durante un’esplorazione
del perimetro trasformatasi in un assedio che fu davvero un assedio. Per motivi che
5 nessuno conosce con certezza, gli elicotteri dei marine si rifiutarono di andare in
missione lassù e così l’1/9 restò isolato e privo di supporto, rifornimenti e possibilità
di evacuare morti e feriti. Era tremendo, e dovevano arrivare in fondo in
qualunque modo, da soli. (Le storie di quei giorni vennero a far parte delle più fosche
leggende dei marine: l’episodio del marine che finisce con un colpo di pistola
10 il compagno ferito perché ogni soccorso medico era impossibile, o l’episodio di
quello che fecero al prigioniero nordvietnamita catturato al di là del filo spinato –
storie di questo genere. Può darsi persino che qualcuna fosse vera.)
Michael Herr, Dispacci (1977), Rizzoli, Milano 2008
Lo scrittore italiano Goffredo Parise (1929–1986) racconta la follia di una guerra d’Africa: la guerra del Biafra, che coinvolse la Nigeria dal 1967 al 1970.
L’aria ferma e calda di un mezzogiorno di sole cala sui morti e i feriti che arrivano
con i camion. L’attacco è finito ora, ultimi spari vagano tra mosche e insetti ronzanti.
I due morti vengono trasportati all’ombra, già rigidi, sotto una tettoia dove
donne e bambini terrorizzati si stringono gli uni agli altri. I feriti sono sedici, si siedono
5 o si sdraiano per terra, i più gravi distesi su barelle zuppe di sangue aspettano
il loro turno per entrare nella baracca del chirurgo. Il sangue gocciola dai camion,
dalle barelle, dagli arti, dalle schiene e dai volti dei feriti che lo tamponano con le
mani. Il caldo e gli insetti crescono di minuto in minuto, i feriti si coprono il capo
con stracci e fogli di carta. I più gravi parlano, cercando l’aria che non c’è. Sono
10 giovanissimi, sulle maniche delle divisa hanno una benda nera con teschio e tibie
bianche. Il loro sguardo non esprime dolore e paura ma si concentra e per così
dire si coagula in un solo sentimento fisso e collettivo che è lo stupore. È la prima
guerra che vedono e fanno, loro e i loro avi.
Goffredo Parise, Guerre politiche, Adelphi, Milano 1976
Tra il 1991 e il 1995 la Iugoslavia fu dilaniata da una terribile guerra civile. In questo componimento il poeta bosniaco Izet Sarajlic’ (1930–2002) fa riferimento al pericolo di venire uccisi dai cecchini serbi appostati sui grattacieli di Sarajevo.
La fortuna alla maniera di Sarajevo
A Sarajevo
in questa primavera 1992,
tutto è possibile;
fai la coda per comprare il pane
5 e ti ritrovi al Servizio di traumatologia
con una gamba amputata.
E dopo asserisci
d’aver avuto anche fortuna.
Izet Sarajlic, Qualcuno ha suonato, Multimedia Edizioni, Salerno 2009
Il giornalista Mario Sechi (n. 1968) riflette sull’uso sempre più diffuso dei droni da combattimento, velivoli privi di pilota comandati a distanza.
Dacci oggi il nostro drone quotidiano. L’immaginario senza pilota corrode ogni
limite e ogni confine, lo proietta sullo schermo e rende del tutto compatibile la
propaganda politica con l’illusione del drone che sa, mira, spara e elimina il nemico,
solo il nemico, nient’altro che il nemico. Il recente dibattito italiano sul
5 “bombardamento dei barconi” per risolvere il drammatico problema degli sbarchi
di immigrati ne è un esempio. Ministri che si avventurano a parlare di missioni
militari come se si trattasse di un videogame dove uno vince, tutti gli altri perdono
e scattano applausi automatizzati nella sala giochi. Control and command. È il
segno che la dronizzazione ha perforato il cervello dell’uomo politico e offerto la
10 soluzione al dilemma della guerra e dell’uso della violenza: zero perdite, elimino il
cattivo, l’opinione pubblica approva. Go to kill! Purtroppo la realtà è tutta un’altra
storia. Ma che questo sia il pensiero dominante è chiaro: l’occhio alato e armato
che scende dal cielo con il suo carico di esplosivo e ci salva dalla sofferenza, dai
drammi nostri e degli altri, dalla responsabilità delle scelte politiche e dall’orrore
15 della guerra come elemento persistente della storia. È l’immaginario distorto.
www.mariosechi.it/blog/2015/04/26/game-of-drones/
Al cuore della letteratura - volume 6
Dal Novecento a oggi