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Nove parole – la lunghezza di un epigramma* – esprimono la fragilità dell’essere: un’icastica folgorazione fissa la condizione di desolazione dell’umanità, separata dalla morte da uno scarto minimo, che può essere annullato da un momento all’altro. Non si tratta di uno stato contingente né privato: il si impersonale e il verbo al presente (v. 1) ne accentuano il carattere atemporale e universale.