Al cuore della letteratura - volume 6

Il primo Novecento – L'opera: L’allegria

 T9 

I fiumi

Il porto sepolto


Bagnandosi nell’Isonzo durante una pausa concessa dalla guerra, il poeta ritrova il ricordo degli altri fiumi legati alla sua vita. Abbandonandosi al fluire puro della natura, prima di avventurarsi nei meandri del passato, egli sembra dimenticare l’angoscia e il dolore, per recuperare la dimensione pacificata di una serena adesione alla vita.


METRO Versi liberi.

        Cotici* il 16 agosto 1916


        Mi tengo a quest’albero mutilato
        abbandonato in questa dolina
        che ha il languore
        di un circo
5     prima o dopo lo spettacolo
        e guardo
        il passaggio quieto
        delle nuvole sulla luna

        Stamani mi sono disteso
10   in un’urna d’acqua
        e come una reliquia
        ho riposato
        L’Isonzo scorrendo
        mi levigava
15   come un suo sasso
        Ho tirato su
        le mie quattr’ossa
        e me ne sono andato
        come un acrobata
20   sull’acqua
        Mi sono accoccolato
        vicino ai miei panni
        sudici di guerra

 >> pag. 463 

        e come un beduino
25   mi sono chinato a ricevere
        il sole

        Questo è l’Isonzo
        e qui meglio
        mi sono riconosciuto
30   una docile fibra
        dell’universo

        Il mio supplizio
        è quando
        non mi credo
35   in armonia

        Ma quelle occulte
        mani
        che m’intridono
        mi regalano
40   la rara
        felicità

        Ho ripassato
        le epoche
        della mia vita

45   Questi sono
        i miei fiumi

        Questo è il Serchio
        al quale hanno attinto
        duemil’anni forse
50   di gente mia campagnola
        e mio padre e mia madre

        Questo è il Nilo
        che mi ha visto
        nascere e crescere
55   e ardere d’inconsapevolezza
        nelle estese pianure

 >> pag. 464 

        Questa è la Senna
        e in quel suo torbido
        mi sono rimescolato
60   e mi sono conosciuto

        Questi sono i miei fiumi
        contati nell’Isonzo

        Questa è la mia nostalgia
        che in ognuno
65   mi traspare
        ora ch’è notte
        che la mia vita mi pare
        una corolla
        di tenebre

      Dentro il testo

I contenuti tematici

Posta quasi al centro della sezione Il porto sepolto, la lirica I fiumi rappresenta un prezioso compendio della poetica di Ungaretti. L’autore sembra concedersi una pausa dalla scrittura “in presa diretta” dei primi componimenti, annotati in trincea, quasi per far sedimentare il dolore incontrollabile che vi ha trovato espressione. Ora ricorda tutte le sue esperienze, ricompone le diverse fasi di una vita divisa tra differenti identità, abbozza un faticoso bilancio esistenziale a partire dalle proprie radici. Egli ha deciso dunque di esplorare come in un’immersione le profondità della propria psiche, fino a scovarne il fondo originario. La sua vita – ci dice – è l’incontro tra le acque dei fiumi che l’hanno accompagnata e che si mescolano infine in quelle dell’Isonzo, ossia nella guerra, dove il poeta acquista una sofferta coscienza del proprio destino.

Ma perché i fiumi? I fiumi non sono soltanto un’immagine che riassume i luoghi fisici in cui si è svolta l’esistenza di Ungaretti e che si congiungono (nella mente del poeta) nel luogo in cui la vita coincide con la morte. Essi sono in realtà una metafora* pregnante per indicare la corrente della vita.
L’acqua è vista come flusso vitale continuo e indistinto e il poeta, immergendovisi per un attimo, comprende di essere il frammento di un processo universale, acquietandosi in questo sentimento. Il testo appare così strutturato su due momenti distinti e temporalmente conseguenti: l’immersione panica del mattino e la riflessione notturna nel chiuso della dolina.

Possiamo dunque immaginare il poeta che, nelle pause fra gli strazi della guerra, svolge un dialogo con sé stesso. Nell’albero a cui “si tiene” egli scorge la sofferenza inferta dai colpi che hanno piegato l’umanità e pervaso tutta la natura, inerme e sbigottita: ecco perché l’albero è mutilato (v. 1). Tutto intorno regna un senso di squallore e di vaga irrealtà, come in un circo / prima o dopo lo spettacolo (vv. 4–5).

 >> pag. 465 

In questo intervallo di sospensione il poeta è disteso nell’acqua, si è arreso alla consolante sensazione di una pace e di una serenità improvvise e si concede una sorta di rito di purificazione: come una reliquia (v. 11), ha riposato in un’urna d’acqua (v. 10). In un momento di accettazione dell’ineluttabile destino che incombe, Ungaretti rinuncia alle sentenze e si racconta, quasi a conciliarsi con sé stesso e con il proprio vissuto. Ha camminato nell’acqua con il passo esitante e circospetto di un acrobata (v. 19) attento a non scivolare sui sassi melmosi, e ha attinto dal sole, inaugurando un processo di regressione, dalla civiltà alla natura, da un tempo storico a uno mitico.

Abbandonando i panni umani (la divisa militare, simbolo delle costrizioni imposte da una realtà oppressiva), egli affronta docilmente il proprio rito di metamorfosi, diventando sasso (v. 15) e chinandosi, umilmente, a ricevere il sole (vv. 25–26). È in questo modo che il poeta può riacquistare l’armonia perduta, identificandosi con il ritmo perenne del cosmo, entrando in simbiosi con il mondo e con l’altro da sé, accettando pacificamente il destino di creatura umana che lo accomuna agli altri.
Proprio quando ha smesso di pretendere di essere qualcuno, quando ha affrontato un nuovo “battesimo” nelle acque del fiume, ricavandone una sorta di purezza primigenia, egli si è riconosciuto / una docile fibra / dell’universo (vv. 29–31). Occorre dunque non chiedere nulla, non esigere che il mondo sia fatto per noi o che il corso degli eventi segua una direzione razionale: è invece importante stabilire di nuovo un legame con le proprie origini, prescindendo dai residui della Storia, cancellando il gesto disumano con cui si uccide il prossimo.

In questo modo Ungaretti annulla momentaneamente il presente e il dolore a cui è connesso. Si ricorda di sé e, come alla fine di un bel viaggio, percepisce la nostalgia (v. 63): il tempo della memoria lo porta a celebrare la propria personale autobiografia mediante un percorso verso le radici, verso un immaginario luogo ancestrale, dove egli può sentire scorrere dentro di sé il sangue degli avi. Immergendosi nell’Isonzo, il poeta ripensa ai fiumi che hanno accompagnato la sua graduale crescita verso la consapevolezza e la maturazione: il fiume degli antenati, il Serchio, che simboleggia la dimensione arcaica (duemil’anni forse, v. 49); quello dell’infanzia e dell’adolescenza, il Nilo, che incarna la vitalità innocente (ardere d’inconsapevolezza, v. 55); quello della prima giovinezza, la Senna, che gli ha regalato cultura e coscienza (mi sono conosciuto, v. 60); fino appunto a quello in cui si è immerso ora (l’Isonzo), che lo ha reso esperto della vita e del dolore, formandolo come uomo nell’esperienza tragica della guerra ( corolla / di tenebre, vv. 68–69).

 >> pag. 466 

Le scelte stilistiche

Questa esperienza di travaglio è messa in rilievo anche da precise strategie retoriche. La forma è quella tipica dell’Allegria: anche se la lunghezza è piuttosto inusuale (69 versi suddivisi in 15 strofe), la poesia procede secondo un andamento franto, scandito da versi brevi caratterizzati da enjambement* molto frequenti. Senza punteggiatura, il testo avvicina, tramite analogie*, esperienze e ricordi lontani e lo fa non da una prospettiva razionale, ma esclusivamente in virtù di associazioni soggettive.

La frantumazione del verso intende, come sempre, garantire pregnanza alle parole, che acquistano un significato primigenio e un carattere simbolico. In questo caso, tutta la lirica è giocata intorno alla valenza archetipica (e al campo semantico) dell’acqua, elemento materno dell’esistenza: il “battesimo” di purificazione viene celebrato mediante la metafora urna d’acqua (v. 10), proprio per «ribadire il senso della rinascita, da un sepolcro invaso potentemente dalla natura, con la sua freschezza e la sua vitalità rinnovata» (Bertoni).
Attraverso la sequenza dei fiumi, quindi, il testo esprime il significato profondo della continuità tra il passato e il presente; non a caso la costruzione è circolare, come si evince dai tempi verbali: dal presente della sera (guardo, v. 6) al passato prossimo della mattina ( Stamani mi sono disteso, v. 9), dal passato della rievocazione (Ho ripassato / le epoche / della mia vita, vv. 42–44), di nuovo al presente (ora ch’è notte, v. 66).

Un movimento circolare è anche quello descritto dai cambi “d’inquadratura” del soggetto: all’inizio, fino al v. 26, l’io lirico* è in primo piano; poi prende risalto la serie anaforica* Questo… Questi… Questa, pronomi dimostrativi riferiti ai fiumi in funzione di deittici* (secondo un uso che abbiamo già visto nel Porto sepolto); infine, negli ultimi tre versi, il poeta torna a illuminare, nel presente, sé stesso, o meglio il proprio senso di inquietudine dinanzi all’incombere della morte. Anche le immagini del circo e della corolla rimandano alla figura del cerchio, in un contesto di stretta e minuziosa coerenza immaginativa e strutturale. Al centro di questo movimento resta il poeta che rievoca (aggettivi possessivi e il pronome personale mi sono presenti in tutte le strofe).

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Dividi il testo in sequenze corrispondenti ai tre momenti temporali: il presente, il passato recente e il passato della memoria. Per ciascuna sequenza riferisci brevemente il contenuto.


2 Quali sono i motivi autobiografici presenti nella lirica?

ANALIZZARE

3 Quali caratteristiche è possibile cogliere del paesaggio esterno in cui si trova l’autore?


4 Individua nel testo le immagini che rimandano a un’idea di aridità e di morte. 466

 >> pag. 467 

5 Indica nella tabella la valenza che il poeta ha voluto attribuire a ciascun fiume.


I fiumi
Significato
Isonzo
 
 
 
Serchio
 
 
 
Nilo
 
 
 
Senna
 
 
 

6 Quali espressioni richiamano il lessico religioso e, più in generale, la sfera del sacro?

INTERPRETARE

7 In che cosa consiste la rara / felicità dei vv. 40–41?


8 Leggiamo ai vv. 32–35: Il mio supplizio / è quando / non mi credo / in armonia. A che cosa ti sembra che alluda Ungaretti con questa espressione?


9 Che cosa ha fatto comprendere al poeta l’esperienza della guerra che egli sta vivendo?

PRODURRE

10 Nella poesia compaiono sia il motivo della metamorfosi sia quello dell’immersione panica. Le stesse suggestioni possono essere colte nella poesia dannunziana, per esempio in Meriggio. Quali analogie e quali differenze possono essere individuate tra i due componimenti? Spiegalo in un testo espositivo di circa 30 righe.


 T10 

San Martino del Carso

Il porto sepolto


Un paese e il cuore del poeta: entrambi sono devastati, il primo dall’artiglieria, il secondo dalla pena e dallo sconforto per i compagni perduti.


METRO Versi liberi.

        Valloncello dell’Albero Isolato* il 27 agosto 1916

        Di queste case
        non è rimasto
        che qualche
        brandello di muro

5     Di tanti
        che mi corrispondevano
        non è rimasto
        neppure tanto

        Ma nel cuore
10   nessuna croce manca

        È il mio cuore
        il paese più straziato

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