3 - La rivoluzione stilistica

Il primo Novecento – L'opera: L’allegria

3 La rivoluzione stilistica

Alle origini dello sperimentalismo ungarettiano

L’itinerario che conduce Ungaretti a sperimentare nuovi mezzi espressivi parte dalla lettura giovanile dei versi di Baudelaire, Rimbaud e Mallarmé, amati durante il periodo scolastico trascorso presso l’École Suisse Jacot di Alessandria d’Egitto, dove si impartiva l’insegnamento della lingua e della letteratura francese. Gli anni egiziani costituiscono una fondamentale miniera di suggestioni estetiche e culturali: il deserto come luogo di miraggi e di silenzio; l’immagine del nomade alla ricerca della patria, cioè delle radici; il bilinguismo quale conseguenza della frequentazione della cultura italiana e di quella francese; lo stesso motivo del “porto sepolto” che abbiamo visto al centro del suo immaginario poetico.

La successiva esperienza francese porta Ungaretti a contatto con gli ambienti dell’avanguardia e gli consente di intrecciare amicizie feconde, come quella con il poeta Guillaume Apollinaire, da cui apprende una inedita dimensione spaziale della parola: i suoi Calligrammes (► p. 400) forniscono il modello per testi brevi e brevissimi, svincolati da schemi metrici e capaci di sondare, attraverso la libertà assoluta della parola, la realtà più profonda della psiche e della condizione umana. La frequenza, alla Sorbona, ai corsi del filosofo Henri Bergson gli suggerisce inoltre l’idea della memoria e del tempo interiore come “durata”: allo spazio empirico e oggettivo subentra quello onirico e soggettivo.

Non va nemmeno sottovalutata la conoscenza del Futurismo. Attraverso Ardengo Soffici e Giovanni Papini, che insieme dirigevano la rivista “Lacerba” e svolgevano un’importante attività di promozione dell’arte d’avanguardia, il poeta si avvicina a questa corrente: apprende la lezione della cosiddetta «immaginazione senza fili», ossia l’abolizione dei legami sintattici tra le parole, e approfondisce le qualità evocative dell’analogia. In effetti, le prime prove ungarettiane si giovano chiaramente dei modi propri del Futurismo e assecondano il suo invito a superare le convenzioni espressive tradizionali: il rifiuto della punteggiatura, della sintassi e della metrica tradizionali; il predominio della metafora e della stessa analogia; gli espedienti grafici e tipografici assunti in funzione lirica.
Tale innegabile influenza si stempera però nei successivi sviluppi della poetica di Ungaretti, in virtù del bisogno di concretezza e di essenzialità, della tendenza al canto che traspare nell’insistito gioco delle sillabe e delle allitterazioni, e soprattutto del potere evocativo che egli assegna alla parola.
Se, dunque, le avanguardie aprono la strada alla frammentazione, con Ungaretti la tendenza si complica e si approfondisce significativamente: non basta infrangere i legami fra le parole, dissolverle in una libertà senza vincoli sintattici e grammaticali; occorre isolarle e lasciarle vivere nel vuoto della pagina recuperandone il significato e la “meraviglia” che nei rumori caotici della quotidianità finiscono per andare perduti. Dalla poesia simbolista, e in particolare da quella di Mallarmé, Ungaretti apprende la necessità di scavare dentro i vocaboli, facendone riemergere la limpidezza e svelando il loro il valore assoluto. In altre parole, si tratta di concedere ai termini una patina indefinita e, al tempo stesso, sublime, restituendo dignità a «una parola in stato di crisi», facendole assumere il significato primigenio, rendendola sintetica fino a sfiorare il silenzio.

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La parola lirica – banalizzata dai Crepuscolari, caricata di sfrenato vitalismo dai Futuristi, frammentata dai vociani – riacquista così una nuova valenza magica, in grado di cogliere il minuscolo e prezioso nucleo di senso contenuto nella vita umana. Nel testo conclusivo della sua raccolta d’esordio, Ungaretti descrive la poesia come «la limpida meraviglia / di un delirante fermento»: ogni singola parola «scavata è nella mia vita / come un abisso» ( Commiato, ► T11, p. 469).
Quanto più si libera delle relazioni (grammaticali e logiche), tanto più la parola assume rilievo in sé e per sé: sillabata, staccata in pause, sospesa tra i bianchi della pagina, essa può illuminare verità profonde e cogliere l’«inesauribile segreto» che riposa al fondo delle esistenze umane. Ciò spiega la crescente ricerca di essenzialità, che possiamo notare attraverso le varianti dei singoli componimenti, i quali si presentano, redazione dopo redazione, sempre più asciutti, quasi “scarnificati”.

Le soluzioni formali

I risultati della ricerca ungarettiana conducono a soluzioni sperimentali di grande originalità, destinate a rivoluzionare l’intera poesia italiana del Novecento. La tensione espressiva grazie alla quale il poeta potenzia il significato originario della parola richiede l’abolizione di ogni costruzione complessa del periodo e del pensiero: Ungaretti rompe la sintassi e la metrica, riduce al minimo verbi reggenti e congiunzioni, abolisce i segni di interpunzione, si serve degli spazi bianchi tipografici utilizzati come pause di silenzio, disgrega i versi tradizionali italiani, quali l’endecasillabo e il settenario, sostituendoli con versi brevissimi, i cosiddetti «versicoli» (anche se la critica ha notato che spesso essi, se uniti tra loro a prescindere dagli “a capo”, compongono versi della metrica classica), valorizza i titoli come parte integrante del testo, di cui spesso racchiudono il significato.
Il poeta giudica il linguaggio contemporaneo usurato, inautentico, alienato: tenta così di reinventarlo, di coglierne il nucleo originario, non ancora contaminato dalle convenzioni, di farne cioè il corrispettivo espressivo di quella gioia di vivere e di quel «sentirsi in armonia» con l’universo a cui egli si appiglia nei momenti – soprattutto quelli più tragici – dell’esperienza umana.

Il discorso ungarettiano appare quasi completamente destrutturato, senza più la presenza di legami logico–grammaticali tra le parole, che spesso si trovano, laconicamente, isolate, liberate dalle sovrastrutture linguistiche e stilistiche che frenano o impacciano le improvvise illuminazioni dell’ispirazione. Come ha scritto lo stesso Ungaretti, la poesia si riduce così ad «alcuni vocaboli deposti nel silenzio come un lampo nella notte, un gruppo fulmineo di immagini».

Il sistema della poesia di Ungaretti è fondato sull’analogia. Non è l’analogia estetizzante di d’Annunzio, né quella, meccanica e ossessiva, dei Futuristi. Ungaretti intende l’analogia come scoperta di una realtà visionaria ed esistenziale, come illuminazione istantanea, conoscenza profonda e segreta del tutto, priva di complicazioni intellettualistiche. In altri termini, la forma in Ungaretti non è qualcosa di autonomo o di fine a sé stesso: essa rappresenta la ricerca di un’espressione aderente alle variazioni e ai sentimenti dell’animo, alla scoperta che il poeta fa di sé, degli altri e del mondo.

Al cuore della letteratura - volume 6
Al cuore della letteratura - volume 6
Dal Novecento a oggi