Non va nemmeno sottovalutata la conoscenza del Futurismo. Attraverso Ardengo Soffici e Giovanni Papini, che insieme dirigevano la rivista “Lacerba” e svolgevano un’importante attività di promozione dell’arte d’avanguardia, il poeta si avvicina a questa corrente: apprende la lezione della cosiddetta «immaginazione senza fili», ossia l’abolizione
dei legami sintattici tra le parole, e approfondisce le qualità evocative dell’analogia. In effetti, le prime prove ungarettiane si giovano chiaramente dei modi propri del Futurismo e assecondano il suo invito a superare le convenzioni espressive tradizionali: il rifiuto della punteggiatura, della sintassi e della metrica tradizionali; il predominio della metafora e della stessa analogia; gli espedienti grafici e tipografici assunti in funzione lirica.
Tale innegabile influenza si stempera però nei successivi sviluppi della poetica di Ungaretti, in virtù del bisogno di concretezza e di essenzialità, della tendenza al canto che traspare nell’insistito gioco delle sillabe e delle allitterazioni, e soprattutto del potere evocativo che egli assegna alla parola.
Se, dunque, le avanguardie aprono la strada alla frammentazione, con Ungaretti la tendenza si complica e si approfondisce significativamente: non basta infrangere i legami fra le parole, dissolverle in una libertà senza vincoli sintattici e grammaticali; occorre isolarle e lasciarle vivere nel vuoto della pagina recuperandone il significato e la “meraviglia” che nei rumori caotici della quotidianità finiscono per andare perduti. Dalla poesia simbolista, e in particolare da quella di Mallarmé, Ungaretti apprende la necessità di scavare
dentro i vocaboli, facendone riemergere la limpidezza e svelando il loro il valore assoluto. In altre parole, si tratta di concedere ai termini una patina indefinita e, al tempo stesso, sublime, restituendo dignità a «una parola in stato di crisi», facendole assumere il significato primigenio, rendendola sintetica fino a sfiorare il silenzio.