Anni difficili

Il primo Novecento – L'autore: Giuseppe Ungaretti

Anni difficili

Nel 1920 Ungaretti si sposa con una giovane ragazza francese, Jeanne Dupoix, che gli sarà vicina fino al 1958, quando morirà per una grave malattia; l’anno successivo si impiega presso l’ufficio stampa del ministero degli Esteri con l’incarico di redigere gli estratti dei giornali stranieri.

Trasferitosi con la moglie e la figlia Anna Maria, detta Ninon (nata nel 1925), a Marino, nella zona dei Castelli romani, Ungaretti conosce anni di grande difficoltà. La poesia non gli dà da vivere, e anche il poco gratificante lavoro ottenuto gli riserva scarsissime soddisfazioni economiche. Balena nella sua mente l’intenzione di tornare in Egitto, dove vive ancora la madre, e per questo nel 1926 si fa avanti scrivendo a Mussolini: «Mi rivolgo a voi che sempre mi avete sostenuto e che tutto potete per me, per avere un impiego, una carica (quella di Console per esempio. In Oriente potrei fare meglio di chiunque) che mi darebbe i mezzi di vivere con qualche serenità». Non se ne fa nulla; tuttavia il poeta ha la possibilità di inaugurare all’inizio degli anni Trenta una proficua e redditizia attività giornalistica: è impegnato nelle vesti di corrispondente del quotidiano “La Gazzetta del Popolo” (come inviato torna in Egitto, visita la Corsica e l’Olanda e viaggia in tutta l’Italia meridionale), ma si fa apprezzare anche come conferenziere in una serie di incontri politici e letterari in tutta Europa.

Nel 1936 si trasferisce con la famiglia a San Paolo del Brasile, accettando la cattedra di Lingua e letteratura italiana che gli viene offerta dalla locale università. Quello trascorso in Sudamerica è un periodo funestato dai lutti familiari: nel 1937 Ungaretti perde il fratello Costantino; due anni dopo gli muore il figlio Antonietto, di soli nove anni. Torna in Italia nel 1942, quando prende servizio – benché privo di laurea – come docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea presso l’Università La Sapienza di Roma: un ruolo che conserverà fino alla pensione. Nello stesso anno viene nominato Accademico d’Italia.

La maturità, tra successi e polemiche

Dopo la fine del fascismo, come molti altri intellettuali, Ungaretti è chiamato a giustificare il suo sostegno alla politica mussoliniana. Dalle pagine dei giornali, ma anche all’interno delle istituzioni, si levano le voci di quanti vorrebbero “epurare” il poeta, allontanandolo dall’insegnamento. Ungaretti è costretto a presentare un lungo memoriale difensivo a una commissione appositamente nominata, e alla fine, nel 1946, grazie all’intervento risolutore dell’allora ministro dell’Istruzione Guido Gonella, viene reintegrato in cattedra.

La vicenda, per quanto dolorosa, non intacca tuttavia la reputazione del poeta: anzi, nel secondo dopoguerra i lettori – giovani e meno giovani – gli riconoscono il ruolo di “grande vecchio” della letteratura italiana. Omaggiato da importanti scrittori stranieri (tra i suoi estimatori figurano i poeti statunitensi Thomas Stearns Eliot ed Ezra Pound), viene eletto nel 1962 presidente della Comunità europea degli scrittori (un sodalizio intellettuale fondato per unire i letterati dell’Europa divisa dalla guerra fredda), ma non nasconde l’amarezza per il mancato ottenimento del premio Nobel: nel 1959, infatti, l’Accademia di Svezia gli aveva preferito Salvatore Quasimodo.

Sempre in viaggio per il mondo, Ungaretti tiene lezioni e conferenze in varie università, da Mosca a diversi paesi del Sudamerica, riceve la laurea honoris causa dall’ateneo di San Paolo e da quello di Lima. Insignito di numerose onorificenze, nominato membro di importanti accademie, Ungaretti è conosciuto e ammirato anche dalle giovani generazioni (il poeta si fa fotografare spesso accanto agli studenti che scendono in piazza durante i moti di contestazione del 1968), né trascura di alimentare la propria notorietà mediatica: nello stesso anno appare in televisione nella lettura di Omero che precede ciascuna delle otto puntate dello sceneggiato Rai tratto dall’Odissea.

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Nel 1970, durante un soggiorno a New York, è ricoverato in clinica per una broncopolmonite. Rientrato in Italia, si stabilisce a Salsomaggiore per curarsi, ma la sua forte fibra è ormai stanca. Recatosi a Milano per alcuni controlli medici, muore nella città lombarda nel giugno di quello stesso anno.
I funerali si svolgono a Roma: il feretro è accompagnato al cimitero del Verano da migliaia di persone, tra cui molti suoi ex allievi. L’Italia ufficiale, invece, è del tutto assente: nessuna rappresentanza del governo viene inviata. Ungaretti non ne sarebbe rimasto sorpreso. Tre anni prima di morire, qualche voce isolata aveva proposto per lui un seggio di senatore a vita. Allorché gli era stato preferito il rivale di sempre, Eugenio Montale, aveva solo commentato, in due brevi versi ironici: «Montale è senatore, / Ungaretti fa l’amore».

il carattere

Un amore inesauribile per la vita

Compiuti gli ottant’anni d’età, Ungaretti amava dire di averne in realtà quattro volte venti. L’aneddoto è rivelatore: dalla giovinezza fino alla vecchiaia il poeta ha sempre mostrato un’energia singolare, un amore inesauribile per la vita e le sue più varie manifestazioni, nonché una disposizione a coltivare con entusiasmo – non senza una punta di ingenuità – passioni passeggere e persino ideali politici.

Una natura appassionata e generosa
I molti ritratti che ci hanno lasciato di lui amici, giornalisti e letterati concordano infatti nel descriverlo come un uomo intemperante e candido, di indole mutevole e istintivo, nelle simpatie quanto nelle idiosincrasie personali. C’è indubbiamente nel suo temperamento, innata, una dose di anarchia e di anticonformismo, di ribellione e anche di rissosità, sin dai tempi della giovinezza egiziana, quando si mescola al confuso ambiente di intellettuali senza patria finiti per caso o per spirito di avventura in quella sorta di bazar cosmopolita che era Alessandria. La fede religiosa, riabbracciata alla fine degli anni Venti, non smussa questa propensione all’intemperanza, che lo porta a vivere le proprie esperienze sempre con lo stesso slancio: il suo cristianesimo, infatti, non è mai ascetico o rinunciatario.
Così, il “grande vecchio” della letteratura italiana rimane giovane sino alla fine, ben felice di diventare una celebrità televisiva, quando in varie occasioni gli italiani lo ammirano mentre recita dal piccolo schermo i versi propri e dei poeti più amati.

Un attore mancato
Un romanziere a quel tempo famoso, Libero Bigiaretti, ha scritto una volta che Ungaretti, se non fosse stato poeta, sarebbe diventato un grande attore, capace, con la sua dizione fortemente scandita, di esprimere l’emozione della poesia. Egli – dice ancora Bigiaretti – si sentiva sulla scena anche nelle occasioni private, in cui elargiva senza risparmio battute, polemiche esplosive, giudizi ben poco diplomatici, pronunciati con la sua prorompente veemenza.
Eccone un esempio: in una serata di festa, una signora gli chiede che ne pensa del tale poeta. Ungaretti sogghigna, diventa rosso, si contiene e dice dapprima che si tratta di un buon poeta. Poi, ripensandoci, si corregge dicendo che è, semplicemente, un poeta: piccolo, ma poeta. Infine, senza trattenersi più, come se non potesse resistere al peso della menzogna, si lascia andare ad alta voce al giudizio definitivo: non vale nulla, è uno zero. Il poeta in questione era Eugenio Montale.

Al cuore della letteratura - volume 6
Al cuore della letteratura - volume 6
Dal Novecento a oggi