quelle mani e quelle gambe; e dovevo aspettare di prender moglie per aver
conto che li avevo difettosi.
«Uh che maraviglia! E non si sa, le mogli? Fatte apposta per scoprire i difetti
del marito».
40 Ecco, già – le mogli, non nego. Ma anch’io, se permettete, di quei tempi ero
fatto per sprofondare, a ogni parola che mi fosse detta, o mosca che vedessi volare,
in abissi di riflessioni e considerazioni che mi scavavano dentro e bucheravano3
giù per torto e sù per traverso lo spirito, come una tana di talpa; senza che di fuori
ne paresse nulla.
45 «Si vede», voi dite, «che avevate molto tempo da perdere».
No, ecco. Per l’animo in cui mi trovavo. Ma del resto sì, anche per l’ozio, non
nego. Ricco, due fidati amici, Sebastiano Quantorzo e Stefano Firbo, badavano ai
miei affari dopo la morte di mio padre; il quale, per quanto ci si fosse adoperato
con le buone e con le cattive, non era riuscito a farmi concludere mai nulla; tranne
50 di prender moglie, questo sì, giovanissimo; forse con la speranza che almeno avessi
presto un figliuolo che non mi somigliasse punto; e, pover’uomo, neppur questo
aveva potuto ottenere da me.
E non già, badiamo, ch’io opponessi volontà a prendere la via per cui mio
padre m’incamminava. Tutte le prendevo. Ma camminarci, non ci camminavo. Mi
55 fermavo a ogni passo; mi mettevo prima alla lontana, poi sempre più da vicino
a girare attorno a ogni sassolino che incontravo, e mi maravigliavo assai che gli
altri potessero passarmi avanti senza fare alcun caso di quel sassolino che per me
intanto aveva assunto le proporzioni d’una montagna insormontabile, anzi d’un
mondo in cui avrei potuto senz’altro domiciliarmi.
60 Ero rimasto così, fermo ai primi passi di tante vie, con lo spirito pieno di mondi,
o di sassolini, che fa lo stesso. Ma non mi pareva affatto che quelli che m’erano
passati avanti e avevano percorso tutta la via, ne sapessero in sostanza più di me.
M’erano passati avanti, non si mette in dubbio, e tutti braveggiando4 come tanti
cavallini; ma poi, in fondo alla via, avevano trovato un carro: il loro carro; vi erano
65 stati attaccati con molta pazienza, e ora se lo tiravano dietro. Non tiravo nessun
carro, io; e non avevo perciò né briglie né paraocchi; vedevo certamente più di loro;
ma andare, non sapevo dove andare.
Ora, ritornando alla scoperta di quei lievi difetti, sprofondai tutto, subito, nella
riflessione che dunque – possibile? – non conoscevo bene neppure il mio stesso
70 corpo, le cose mie che più intimamente m’appartenevano: il naso, le orecchie, le
mani, le gambe. E tornavo a guardarmele per rifarne l’esame.
Cominciò da questo il mio male. Quel male che doveva ridurmi in breve in
condizioni di spirito e di corpo così misere e disperate che certo ne sarei morto o
impazzito, ove in esso medesimo non avessi trovato (come dirò) il rimedio che
75 doveva guarirmene.