Al cuore della letteratura - volume 6

Il primo Novecento – L'autore: Luigi Pirandello

 T3 

Il treno ha fischiato

Novelle per un anno


La novella viene pubblicata per la prima volta sul “Corriere della Sera” il 22 febbraio 1914; inserita nel volume La trappola nel 1915, è entrata poi a far parte del corpus delle Novelle per un anno. Si tratta di un testo emblematico: l’evento che dà l’avvio alla narrazione, in apparenza di una banalità estrema, diventa paradossalmente strumento di salvezza e di ritorno alla vita, almeno temporaneamente.

Farneticava.1 Principio di febbre cerebrale, avevano detto i medici; e lo ripetevano
tutti i compagni d’ufficio, che ritornavano a due, a tre, dall’ospizio,2 ov’erano stati
a visitarlo.
Pareva provassero un gusto particolare a darne l’annunzio coi termini scientifici,
5 appresi or ora dai medici, a qualche collega ritardatario che incontravano
per via:
«Frenesia, frenesia».3
«Encefalite».
«Infiammazione della membrana».4
10 «Febbre cerebrale».
E volevan sembrare afflitti; ma erano in fondo così contenti, anche per quel
dovere compiuto; nella pienezza della salute, usciti da quel triste ospizio al gajo
azzurro della mattinata invernale.
«Morrà? Impazzirà?».
15 «Mah!».
«Morire, pare di no…».
«Ma che dice? che dice?».
«Sempre la stessa cosa. Farnetica…».
«Povero Belluca!».
20 E a nessuno passava per il capo che, date le specialissime condizioni in cui
quell’infelice viveva da tant’anni, il suo caso poteva anche essere naturalissimo; e
che tutto ciò che Belluca diceva e che pareva a tutti delirio, sintomo della frenesia,
poteva anche essere la spiegazione più semplice di quel suo naturalissimo caso.

Veramente, il fatto che Belluca, la sera avanti, s’era fieramente ribellato al suo capoufficio,
25 e che poi, all’aspra riprensione5 di questo, per poco non gli s’era scagliato
addosso, dava un serio argomento alla supposizione che si trattasse d’una vera e
propria alienazione mentale.
Perché uomo più mansueto e sottomesso, più metodico e paziente di Belluca
non si sarebbe potuto immaginare.
30 Circoscritto…6 sì, chi l’aveva definito così? Uno dei suoi compagni d’ufficio.
Circoscritto, povero Belluca, entro i limiti angustissimi della sua arida mansione

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di computista,7 senz’altra memoria che non fosse di partite aperte, di partite
semplici o doppie o di storno, e di defalchi e prelevamenti e impostazioni; note,
libri-mastri, partitarii, stracciafogli8 e via dicendo. Casellario9 ambulante: o piuttosto,
35 vecchio somaro, che tirava zitto zitto, sempre d’un passo, sempre per la stessa
strada la carretta, con tanto di paraocchi.
Orbene, cento volte questo vecchio somaro era stato frustato,10 fustigato senza
pietà, così per ridere, per il gusto di vedere se si riusciva a farlo imbizzire11 un po’,
a fargli almeno almeno drizzare un po’ le orecchie abbattute, se non a dar segno
40 che volesse levare un piede per sparar qualche calcio. Niente! S’era prese le frustate
ingiuste e le crudeli punture in santa pace, sempre, senza neppur fiatare, come se
gli toccassero, o meglio, come se non le sentisse più, avvezzo com’era da anni e
anni alle continue solenni bastonature della sorte.
Inconcepibile, dunque, veramente, quella ribellione in lui, se non come effetto
45 d’una improvvisa alienazione mentale.
Tanto più che, la sera avanti, proprio gli toccava la riprensione; proprio aveva
il diritto di fargliela, il capo-ufficio. Già s’era presentato, la mattina, con un’aria
insolita, nuova; e – cosa veramente enorme, paragonabile, che so? al crollo d’una
montagna – era venuto con più di mezz’ora di ritardo.
50 Pareva che il viso, tutt’a un tratto, gli si fosse allargato. Pareva che i paraocchi
gli fossero tutt’a un tratto caduti, e gli si fosse scoperto, spalancato d’improvviso
all’intorno lo spettacolo della vita. Pareva che gli orecchi tutt’a un tratto gli si fossero
sturati e percepissero per la prima volta voci, suoni non avvertiti mai.
Così ilare, d’una ilarità vaga e piena di stordimento, s’era presentato all’ufficio.
55 E, tutto il giorno, non aveva combinato niente.
La sera, il capo-ufficio, entrando nella stanza di lui, esaminati i registri, le carte:
«E come mai? Che hai combinato tutt’oggi?».
Belluca lo aveva guardato sorridente, quasi con un’aria d’impudenza, aprendo
le mani.
60 «Che significa?», aveva allora esclamato il capo-ufficio, accostandoglisi e prendendolo
per una spalla e scrollandolo. «Ohé, Belluca!».
«Niente», aveva risposto Belluca, sempre con quel sorriso tra d’impudenza e
d’imbecillità su le labbra. «Il treno, signor Cavaliere».
«Il treno? Che treno?».
65 «Ha fischiato».
«Ma che diavolo dici?».
«Stanotte, signor Cavaliere. Ha fischiato. L’ho sentito fischiare…».
«Il treno?».
«Sissignore. E se sapesse dove sono arrivato! In Siberia… oppure oppure… nelle
70 foreste del Congo… Si fa in un attimo, signor Cavaliere!».
Gli altri impiegati, alle grida del capo-ufficio imbestialito, erano entrati nella
stanza e, sentendo parlare così Belluca, giù risate da pazzi.

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Allora il capo-ufficio – che quella sera doveva essere di malumore – urtato da
quelle risate, era montato su tutte le furie e aveva malmenato la mansueta vittima
75 di tanti suoi scherzi crudeli.
Se non che, questa volta, la vittima, con stupore e quasi con terrore di tutti, s’era
ribellata, aveva inveito, gridando sempre quella stramberia del treno che aveva
fischiato, e che, perdio, ora non più, ora ch’egli aveva sentito fischiare il treno, non
poteva più, non voleva più esser trattato a quel modo.
80 Lo avevano a viva forza preso, imbracato12 e trascinato all’ospizio dei matti.

Seguitava ancora, qua, a parlare di quel treno. Ne imitava il fischio. Oh, un fischio
assai lamentoso, come lontano, nella notte; accorato. E, subito dopo, soggiungeva:
«Si parte, si parte… Signori, per dove? per dove?».
E guardava tutti con occhi che non erano più i suoi. Quegli occhi, di solito cupi,
85 senza lustro, aggrottati, ora gli ridevano lucidissimi, come quelli d’un bambino o
d’un uomo felice; e frasi senza costrutto gli uscivano dalle labbra. Cose inaudite;
espressioni poetiche, immaginose, bislacche, che tanto più stupivano, in quanto non
si poteva in alcun modo spiegare come, per qual prodigio, fiorissero in bocca a lui,
cioè a uno che finora non s’era mai occupato d’altro che di cifre e registri e cataloghi,
90 rimanendo come cieco e sordo alla vita: macchinetta di computisteria. Ora parlava
di azzurre fronti di montagne nevose, levate al cielo; parlava di viscidi cetacei che, voluminosi,
sul fondo dei mari, con la coda facevan la virgola.13 Cose, ripeto, inaudite.
Chi venne a riferirmele insieme con la notizia dell’improvvisa alienazione
mentale rimase però sconcertato, non notando in me, non che meraviglia, ma
95 neppur una lieve sorpresa.
Difatti io accolsi in silenzio la notizia.
E il mio silenzio era pieno di dolore. Tentennai il capo, con gli angoli della
bocca contratti in giù, amaramente, e dissi:
«Belluca, signori, non è impazzito. State sicuri che non è impazzito. Qualche
100 cosa dev’essergli accaduta; ma naturalissima. Nessuno se la può spiegare, perché nessuno
sa bene come quest’uomo ha vissuto finora. Io che lo so, son sicuro che mi
spiegherò tutto naturalissimamente, appena lo avrò veduto e avrò parlato con lui».

Cammin facendo verso l’ospizio ove il poverino era stato ricoverato, seguitai a
riflettere per conto mio:
105 «A un uomo che viva come Belluca finora ha vissuto, cioè una vita “impossibile”,
la cosa più ovvia, l’incidente più comune, un qualunque lievissimo inciampo
impreveduto, che so io, d’un ciottolo per via, possono produrre effetti straordinarii,
di cui nessuno si può dar la spiegazione, se non pensa appunto che la vita di
quell’uomo è “impossibile”. Bisogna condurre la spiegazione là, riattaccandola a
110 quelle condizioni di vita impossibili, ed essa apparirà allora semplice e chiara. Chi
veda soltanto una coda, facendo astrazione dal mostro a cui essa appartiene, potrà
stimarla per se stessa mostruosa. Bisognerà riattaccarla al mostro; e allora non sembrerà
più tale; ma quale dev’essere, appartenendo a quel mostro.
Una coda naturalissima».

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115 Non avevo veduto mai un uomo vivere come Belluca.
Ero suo vicino di casa, e non io soltanto, ma tutti gli altri inquilini della casa si
domandavano con me come mai quell’uomo potesse resistere in quelle condizioni
di vita.
Aveva con sé tre cieche, la moglie, la suocera e la sorella della suocera: queste
120 due, vecchissime, per cataratta; l’altra, la moglie, senza cataratta, cieca fissa; palpebre
murate.
Tutt’e tre volevano esser servite. Strillavano dalla mattina alla sera perché nessuno
le serviva. Le due figliuole vedove, raccolte in casa dopo la morte dei mariti,
l’una con quattro, l’altra con tre figliuoli, non avevano mai né tempo né voglia da
125 badare ad esse; se mai, porgevano qualche ajuto alla madre soltanto.
Con lo scarso provento del suo impieguccio di computista poteva Belluca dar
da mangiare a tutte quelle bocche? Si procurava altro lavoro per la sera, in casa: carte
da ricopiare. E ricopiava tra gli strilli indiavolati di quelle cinque donne e di quei
sette ragazzi finché essi, tutt’e dodici, non trovavan posto nei tre soli letti della casa.
130 Letti ampii, matrimoniali; ma tre.
Zuffe furibonde, inseguimenti, mobili rovesciati, stoviglie rotte, pianti, urli,
tonfi, perché qualcuno dei ragazzi, al bujo, scappava e andava a cacciarsi fra le
tre vecchie cieche, che dormivano in un letto a parte, e che ogni sera litigavano
anch’esse tra loro, perché nessuna delle tre voleva stare in mezzo e si ribellava
135 quando veniva la sua volta.
Alla fine, si faceva silenzio, e Belluca seguitava a ricopiare fino a tarda notte,
finché la penna non gli cadeva di mano e gli occhi non gli si chiudevano da sé.
Andava allora a buttarsi, spesso vestito, su un divanaccio sgangherato, e subito
sprofondava in un sonno di piombo, da cui ogni mattina si levava a stento, più
140 intontito che mai.

Ebbene, signori: a Belluca, in queste condizioni, era accaduto un fatto naturalissimo.
Quando andai a trovarlo all’ospizio, me lo raccontò lui stesso, per filo e per
segno. Era, sì, ancora esaltato un po’, ma naturalissimamente, per ciò che gli era
accaduto. Rideva dei medici e degli infermieri e di tutti i suoi colleghi, che lo credevano
145 impazzito.
«Magari!», diceva. «Magari!».
Signori, Belluca, s’era dimenticato da tanti e tanti anni – ma proprio dimenticato
– che il mondo esisteva.
Assorto nel continuo tormento di quella sua sciagurata esistenza, assorto tutto
150 il giorno nei conti del suo ufficio, senza mai un momento di respiro, come una
bestia bendata, aggiogata alla stanga d’una nòria14 o d’un molino, sissignori, s’era
dimenticato da anni e anni – ma proprio dimenticato – che il mondo esisteva.
Due sere avanti, buttandosi a dormire stremato su quel divanaccio, forse per
l’eccessiva stanchezza, insolitamente, non gli era riuscito d’addormentarsi subito.
155 E, d’improvviso, nel silenzio profondo della notte, aveva sentito, da lontano, fischiare
un treno.

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Gli era parso che gli orecchi, dopo tant’anni, chi sa come, d’improvviso gli si
fossero sturati.
Il fischio di quel treno gli aveva squarciato e portato via d’un tratto la miseria
160 di tutte quelle sue orribili angustie, e quasi da un sepolcro scoperchiato s’era ritrovato
a spaziare anelante nel vuoto arioso del mondo che gli si spalancava enorme
tutt’intorno.
S’era tenuto istintivamente alle coperte che ogni sera si buttava addosso, ed era
corso col pensiero dietro a quel treno che s’allontanava nella notte.
165 C’era, ah! c’era, fuori di quella casa orrenda, fuori di tutti i suoi tormenti, c’era
il mondo, tanto, tanto mondo lontano, a cui quel treno s’avviava… Firenze, Bologna,
Torino, Venezia… tante città, in cui egli da giovine era stato e che ancora,
certo, in quella notte sfavillavano di luci sulla terra. Sì, sapeva la vita che vi si
viveva! La vita che un tempo vi aveva vissuto anche lui! E seguitava, quella vita;
170 aveva sempre seguitato, mentr’egli qua, come una bestia bendata, girava la stanga
del molino. Non ci aveva pensato più! Il mondo s’era chiuso per lui, nel tormento
della sua casa, nell’arida, ispida angustia della sua computisteria… Ma ora, ecco,
gli rientrava, come per travaso violento, nello spirito. L’attimo, che scoccava per
lui, qua, in questa sua prigione, scorreva come un brivido elettrico per tutto il
175 mondo, e lui con l’immaginazione d’improvviso risvegliata poteva, ecco, poteva
seguirlo per città note e ignote, lande, montagne, foreste, mari… Questo stesso
brivido, questo stesso palpito del tempo. C’erano, mentr’egli qua viveva questa vita
“impossibile”, tanti e tanti milioni d’uomini sparsi su tutta la terra, che vivevano
diversamente. Ora, nel medesimo attimo ch’egli qua soffriva, c’erano le montagne
180 solitarie nevose che levavano al cielo notturno le azzurre fronti… Sì, sì, le vedeva, le
vedeva, le vedeva così… c’erano gli oceani… le foreste…
E, dunque, lui – ora che il mondo gli era rientrato nello spirito – poteva in
qualche modo consolarsi! Sì, levandosi ogni tanto dal suo tormento, per prendere
con l’immaginazione una boccata d’aria nel mondo.
185 Gli bastava!
Naturalmente, il primo giorno, aveva ecceduto. S’era ubriacato. Tutto il mondo,
dentro d’un tratto: un cataclisma. A poco a poco, si sarebbe ricomposto. Era
ancora ebro della troppa troppa aria, lo sentiva.
Sarebbe andato, appena ricomposto del tutto, a chiedere scusa al capo-ufficio,
190 e avrebbe ripreso come prima la sua computisteria. Soltanto, il capo-ufficio ormai
non doveva pretender troppo da lui come per il passato: doveva concedergli che di
tanto in tanto, tra una partita e l’altra da registrare, egli facesse una capatina, sì, in
Siberia… oppure oppure… nelle foreste del Congo:
«Si fa in un attimo, signor Cavaliere mio. Ora che il treno ha fischiato…».

      Dentro il testo

I contenuti tematici

Come spesso accade in Pirandello, un avvenimento di per sé inconsistente sconvolge la routine di una vita apparentemente normale, quella dell’impiegato Belluca, ragioniere in un ufficio contabile e dedito alla famiglia fino al sacrificio di ogni libertà personale. L’avvenimento – in questo caso il fischio di un treno udito in una notte insonne, in altri casi un ricordo, un incontro inaspettato, un’immagine – dà inizio al risveglio del protagonista (Pareva che gli orecchi tutt’a un tratto gli si fossero sturati e percepissero per la prima volta voci, suoni non avvertiti mai, rr. 52-53). Dopo l’istantanea illuminazione, nulla può essere più come prima e, rinato a nuova vita, Belluca si ribella per la prima volta alle angherie del suo capoufficio, alzando lo sguardo sulla triste realtà in cui è da anni intrappolato (ora non più, ora ch’egli aveva sentito fischiare il treno, non poteva più, non voleva più esser trattato a quel modo, rr. 78-79).
L’episodio costituisce l’innesco della novella, ed è parte fondamentale del procedimento umoristico, che scopre il serio nel ridicolo, il grande nel piccolo, e ribalta così le consuete visioni del mondo: il fischio di un treno, indizio comico di una presunta follia, diventa l’evento catartico e liberatorio mediante il quale è possibile scoprire l’insensatezza della realtà e proiettarsi in un altrove salvifico grazie all’intervento improvviso e inaspettato dell’immaginazione.

 >> pag. 221 

Ma dove scatta concretamente il meccanismo umoristico? Esso risiede soprattutto nel gioco delle focalizzazioni* e dei punti di vista. L’effimera rivolta di Belluca e il suo farneticare al momento del risveglio vengono infatti considerati manifestazioni di pazzia da coloro che si limitano ad “avvertire il contrario”, osservando la scena da un’ottica esterna e convenzionale. Nei commenti superficiali e frettolosi dei colleghi d’ufficio, il suo comportamento è bollato senza mezzi termini come folle (Farneticava. Principio di febbre cerebrale, avevano detto i medici, r. 1). Perché mai un uomo mansueto e sottomesso, […] metodico e paziente (r. 28) avrebbe dovuto cambiare, così, tutt’a un tratto?
Chi nota superficialmente il disorientante e sinistro cambiamento di Belluca, confrontandolo con la sua precedente e ordinaria “normalità”, scambia la riconquista della dignità da parte del personaggio per uno stato di alienazione mentale. Ma se in tutta la prima parte il lettore assiste divertito al racconto dell’improvvisa pazzia di Belluca, presentata in modo volutamente comico dall’autore, nella seconda parte, quando quest’ottica esterna viene filtrata e riflessa attraverso punti di vista più profondi e penetranti, la riflessione conduce al «sentimento del contrario»: nel vedere com’è davvero la vita di questo pover’uomo, all’ilarità subentrano infatti la pena e la compassione.

In realtà, la trasformazione di Belluca e le reazioni dei suoi colleghi denunciano la situazione artificiosa e alienata in cui vivono tutti gli altri. Egli è infatti l’unico ad aver fermato, anche se per un solo istante, gli ingranaggi travolgenti della modernità, riassaporando all’improvviso il senso di un’esistenza autentica. Proprio coloro che lo giudicano grossolanamente, invece, rimangono prigionieri nella «trappola» di un lavoro ripetitivo, di una famiglia opprimente, in un ruolo da cui «non è bene allontanarsi».
La rivolta di Belluca, tuttavia, è effimera. La follia del protagonista è solo apparente e temporanea: si tratta piuttosto di un momentaneo rifugio nell’immaginazione, che gli consente tuttavia di avere coscienza della vuota insignificanza di ciò che accade sotto i nostri occhi. Egli riscopre la presenza “reale” del mondo, la vita vera (Signori, Belluca, s’era dimenticato da tanti e tanti anni – ma proprio dimenticato – che il mondo esisteva, rr. 147-148), e si accorge della falsità delle maschere e delle forme che coprono, come una cortina fumogena, l’essenza delle cose; tutto questo senza uscire dalle grigie pareti dell’ufficio e dalla stanza affollata in cui si accampa di notte con la famiglia: la sua è soltanto una fuga nella fantasia, l’unica possibilità che gli è concessa di allontanarsi dalla miseria del presente. Ma tanto basta per non impazzire davvero (poteva in qualche modo consolarsi!, rr. 182-183).

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Le scelte stilistiche

L’avvenimento centrale e determinante attorno a cui ruota la struttura narrativa della novella – il fischio del treno con le sue drastiche conseguenze – è assente per buona parte del racconto. Il fatto trapela soltanto dai commenti allarmati di personaggi senza nome e senza volto, che ricordano la concitazione di una scena teatrale. Non emerge, dunque, la voce chiara di un narratore, e l’ambiguità e la confusione che circondano il fatto scatenante contribuiscono a renderlo ancora più misterioso ed enigmatico: che cosa sarà mai successo all’impiegato Belluca? La suspense* cresce fino a quando la banalità dell’evento erompe nella narrazione con una forza sproporzionata rispetto alle aspettative del lettore: si tratta solo del fischio di un treno? Ma allora Belluca è davvero impazzito?
Solo quando il narratore-testimone interviene a far luce sul senso riposto dell’accaduto la nebbia inizia a dissiparsi: conoscendo la miseria dell’esistenza di Belluca, egli è sicuro che i sintomi della “follia” possano avere una spiegazione naturalissima (Bisogna condurre la spiegazione là, riattaccandola a quelle condizioni di vita impossibili, ed essa apparirà allora semplice e chiara, rr. 109-110). È grazie alla sua testimonianza che il lettore viene condotto a riflettere sull’esperienza del protagonista, sul fenomeno che ha sconvolto la sua quotidianità e sulla catena di cause che lo ha provocato.
Come in un gioco di scatole cinesi, però, la focalizzazione diviene ancora più concentrata quando la parola è lasciata alla voce diretta del protagonista. Belluca racconta, confessa e chiarisce ogni dubbio solo nell’ultima parte del racconto: l’effetto-rivelazione è ottenuto così attraverso un progressivo restringimento della visione dei fatti, che va dai commenti esterni dei colleghi fino all’autopresentazione del protagonista.

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Perché i colleghi d’ufficio sono convinti che Belluca sia diventato pazzo? Quali azioni inaspettate ha compiuto per essere a viva forza preso, imbracato e trascinato all’ospizio dei matti (r. 80)?


2 Perché a un certo punto il narratore-testimone parla del fatto come di una coda naturalissima (r. 114)? Che cosa significa che non è possibile fare astrazione dal mostro a cui essa [la coda] appartiene (r. 111)?


3 Alla fine della novella Belluca è un uomo completamente nuovo, che cambia drasticamente esistenza, o rimane almeno in superficie quello di prima? Motiva la tua risposta.

ANALIZZARE

4 Nel testo si possono trovare precisi riferimenti al gergo medico e a quello impiegatizio: individuali.


5 Nel gioco delle voci narranti quale personaggio traccia l’affresco della vita privata di Belluca? Come viene descritta la sua convivenza con i dodici familiari che deve mantenere?


6 Nella novella sono riportate le parole farneticanti del presunto folle; rintraccia almeno due o tre espressioni tratte dagli sfoghi visionari di Belluca.

INTERPRETARE

7 Spiega perché, venuti a conoscenza della vita privata di Belluca, il suo atto di ribellione non possa più essere giudicato nei termini di una malattia mentale.

PRODURRE

La tua esperienza

8 Il fischio di un treno nel silenzio della notte rappresenta, in questa novella, una sorta di magico accesso a un mondo dimenticato: l’evento minimo che manda in crisi un’intera esistenza. È capitato anche a te di notare una sproporzione tra la banalità di un fatto accaduto e le conseguenze che, a posteriori, ne hanno modificato il valore? Scrivi un testo espositivo di circa 30 righe.


Al cuore della letteratura - volume 6
Al cuore della letteratura - volume 6
Dal Novecento a oggi