Il dramma in tre atti del 1922 è considerato, insieme ai Sei personaggi, il vertice della
drammaturgia di Pirandello. Durante una festa in maschera, un giovane gentiluomo, che indossa i panni di Enrico IV, imperatore del Sacro Romano Impero, viene disarcionato dal suo rivale in amore Tito Belcredi. Cadendo da cavallo batte la testa e sprofonda in una follia che lo terrà imprigionato per dodici anni: egli crede di essere davvero il personaggio storico che stava impersonando, e vive assecondato dai suoi servitori in un mondo irreale, fuori dal tempo. Quando all’improvviso rinsavisce, si rende conto di aver perso per sempre la giovinezza e di essere stato defraudato dell’amore della marchesa Matilde Spina, che ora è compagna di Belcredi. Il protagonista decide allora di continuare a recitare la parte a cui tutti ormai da anni lo credono inchiodato, immedesimandosi in una maschera che sostituisce la sua vera identità.
Passano così altri otto anni, quando un giorno Matilde, Belcredi e la figlia Frida, in compagnia di uno psichiatra, tentano di ricostruire la scena della famosa cavalcata nella speranza di dissipare le nebbie della follia del presunto Enrico IV (il cui vero nome non è mai dichiarato). Egli, però, volendo tornare a riappropriarsi di una vita dalla quale aveva scelto di escludersi, rivela la finzione e, spinto da una passione mai sopita per Matilde, abbraccia con slancio Frida, identica alla madre da giovane. Belcredi si avventa su di lui, disgustato dal gesto del suo vecchio rivale, ma Enrico IV estrae la spada e lo ferisce a morte. A questo punto non gli rimane che continuare la recita, tornando a fingersi pazzo, non fosse altro che per sfuggire a un processo e a una condanna per omicidio. La pazzia, però, non è più un gioco, né un’inconsapevole condizione di alienazione mentale, ma una dolorosa necessità.