2 - Le opere

Il primo Novecento – L'autore: Luigi Pirandello

il carattere

Solitudine e malinconia

Profonda malinconia e lucida amarezza: questi i cardini – nella vita come nell’arte – della personalità di Pirandello. Bambino gracile e incline alla riflessione, poi ragazzo turbato dalla corruzione regnante nel mondo degli adulti, Pirandello sembra votato fin dall’adolescenza a una cupa meditazione che egli stesso descriverà come un «abisso nero, popolato di foschi fantasmi, custodito dallo sconforto disperato». Un generale senso di solitudine e di estraneità alla vita accompagna l’intero percorso esistenziale dello scrittore, mettendone a dura prova la dimensione affettiva.

La sessualità tormentata
Particolarmente difficile appare il rapporto con il padre, uomo dall’esuberanza vitale perfino eccessiva, prepotente e infedele. Questi tratti suscitano un’aperta ostilità nell’animo del figlio, il quale tuttavia non si ribella mai, tranne che nella scelta di assecondare la propria vocazione letteraria, mal vista dalla famiglia. Anche negli affetti privati il giovane Luigi non sa imporsi all’autorità paterna: il matrimonio con Antonietta Portulano è combinato dalle famiglie per motivi economici e, pur sostenuto da un sentimento sincero, è accettato da Pirandello come un atto dovuto.
Forse sta proprio nell’esibita virilità del padre la radice del suo difficile rapporto con il sesso e della sua visione distorta dell’amore, di cui manifesta un disperato e inappagato bisogno. Da bambino gli capita di assistere all’incontro di una coppia di adulteri in un rudere cittadino adibito a camera mortuaria: è probabilmente da quel momento che l’immagine della morte e quella della sessualità si sovrappongono, a complicare una già incerta educazione sentimentale.

Il bisogno di affetto
Più vicina al cuore dell’autore è la madre Caterina, per la quale prova una profonda venerazione. Consapevole del dolore e della vergogna che i tradimenti del marito le arrecano, lo scrittore sembra avvertire sulla propria pelle le inquietudini che intravede nei suoi silenzi. Il bisogno della dolcezza materna traspare anche nei rapporti di Pirandello con le altre donne della sua vita: la sorella Lina, la figlia Lietta, poi la giovane amante Jenny e la moglie Antonietta, infine la musa ispiratrice, l’attrice Marta Abba. Nelle lettere che invia a quest’ultima sono sempre presenti la ricerca di un affetto caldo e vero e il desiderio di costruire e proteggere un nido che dissolva la solitudine del suo animo tormentato.
In questo conflitto interiore si consuma l’esistenza di un uomo che vorrebbe piangere o ridere, ma non ci riesce perché il pianto si fa «nodo alla gola» e il riso «muore in una smorfia fredda sulle labbra».

La guerra, il fascismo e il successo mondiale

Alle soglie della Prima guerra mondiale, in nome dei suoi ideali patriottici, Pirandello appoggia la causa degli interventisti, sposandone la visione del conflitto come naturale compimento dei moti risorgimentali. All’entrata in guerra dell’Italia, nel 1915, il figlio Stefano parte volontario, ma viene subito fatto prigioniero dagli austriaci e internato in un campo di concentramento per tre anni. Anche l’altro figlio Fausto è chiamato alle armi, ma è presto congedato per malattia; a queste preoccupazioni si aggiunge la morte della madre, verso cui non era mai venuto meno il tenero affetto dello scrittore. Tuttavia, nonostante le sue convinzioni interventiste, le opere del triennio 1915-1918 non recano segni di entusiasmo bellico; al contrario, si possono trovare in diverse novelle immagini di sofferenza collettiva nelle figure di padri e madri in apprensione per la vita dei figli soldati.

Nel 1915 pubblica sulla “Nuova Antologia” il romanzo Si gira…, poi ristampato nel 1925 con il titolo Quaderni di Serafino Gubbio operatore. Da questo momento, la produzione teatrale prende il sopravvento, sostenuta da un crescente consenso di pubblico. Lo scambio di idee e di personaggi tra il corpus delle novelle e la produzione teatrale è continuo e proficuo; Pirandello è ormai autore ricercato e le sue rappresentazioni accendono spesso un coro di polemiche e discussioni che stimolano ulteriormente la ricerca e l’innovazione del linguaggio drammaturgico.

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Con la messa in scena di Sei personaggi in cerca d’autore la fama dello scrittore valica i confini nazionali; la prima al Teatro Valle di Roma, nel 1921, provoca reazioni contrastanti, persino furibonde, tra accaniti sostenitori e detrattori spietati. L’anno seguente, invece, ottiene uno strepitoso successo a Londra, New York e Parigi, che segna l’inizio di una parabola ascendente di un riconoscimento ottenuto all’estero ancor più che in Italia.
Nel 1924 Pirandello aderisce ufficialmente al fascismo, chiedendo pubblicamente di essere iscritto al Partito nazionale fascista, dal quale riceverà appoggi e tributi.
Ormai celebre, fonda la Compagnia del Teatro d’Arte di Roma, finanziata dal regime e attiva dal 1925 al 1928, mentre tutte le capitali europee si contendono l’esclusiva di una sua opera. Abbandonato l’insegnamento, inizia a seguire le compagnie teatrali nelle tournées in Europa e America; proprio in questi anni si lega sentimentalmente, anche se di un amore forse solo platonico, alla giovane attrice Marta Abba, per la quale scrive vari drammi e a cui invia centinaia di lettere. In una di queste, datata 1935, scrive: «Che gioja udire la Tua cara bella voce viva l’altro jeri al telefono! Come ho fatto presto a riconoscere e a sentire in tutto il sangue, in tutte le fibre del corpo, in tutti gli angoli più riposti dell’anima che la sorgente della mia vita, di quella poca che ancora mi resta, è in Te, Marta mia».

Gli anni successivi, trascorsi fra pressanti impegni internazionali e una continua produzione di drammi e novelle, conducono lo scrittore alle vette del successo, fino al conferimento nel 1934 del premio Nobel per la letteratura. Tuttavia Pirandello non smette di sperimentare e rinnovarsi, approdando con le ultime novelle e con l’opera teatrale incompiuta I giganti della montagna alle sponde di una letteratura assai complessa, definita dallo stesso autore «mitica».

PER APPROFONDIRE

Pirandello e il fascismo

«Sento che questo è il momento più proprio di dichiarare una fede nutrita e servita in silenzio. Se l’Eccellenza Vostra mi stima degno di entrare nel Partito Nazionale Fascista, pregierò come massimo onore tenervi il posto del più umile e obbediente gregario». Con queste parole Pirandello dichiara apertamente la sua adesione al fascismo, in una lettera scritta a Mussolini nel settembre del 1924. Tre mesi prima, un gruppo di squadristi capitanati dal fiorentino Amerigo Dumini ha rapito e ucciso il deputato socialista Giacomo Matteotti. L’assassinio ha avuto un forte impatto sull’opinione pubblica, provocando una crisi di consenso al regime; il gesto di Pirandello, compiuto proprio all’indomani dell’evento, appare a maggior ragione provocatorio. L’adesione al Partito fascista permetterà allo scrittore di ricevere sovvenzioni e riconoscimenti, come la nomina ad Accademico d’Italia nel 1929.
Pirandello non ripudierà mai la sua decisione, ma i suoi rapporti con il regime saranno sempre caratterizzati da ambiguità e contraddizioni. Egli non può essere definito un intellettuale fascista tout court: non celebra né appoggia la retorica e i simboli del littorio; si può anzi dire che la sua arte – in particolare nella sua dimensione umoristica – sia costituzionalmente e radicalmente estranea all’atteggiamento fascista verso la vita e la cultura.
D’altra parte, anche Mussolini non si mostra un suo grande estimatore: non organizzerà mai serate in suo onore, come quelle che gli sono invece tributate a Stoccolma, Parigi, Londra, Praga, Berlino e New York. Tuttavia, Pirandello sa che non può alienarsi le simpatie del partito: «L’arte pirandelliana», scriverà Leonardo Sciascia, «non ha nulla a che fare col fascismo, ma l’uomo sì!».
Pur dichiarandosi apolitico, egli vede in effetti in Mussolini l’unica figura in grado di rompere con il passato, facendosi garante di un ordine nuovo, finalmente capace di rimpiazzare una classe politica debole e corrotta. Certamente estraneo alla retorica mussoliniana della forza e della virilità, egli si sente però vicino alle filosofie irrazionalistiche di inizio Novecento, che predicano il superamento del sistema democratico e una concezione vitalistica dell’esistenza.
Non manca, in Pirandello, una velata antipatia per la corte di gerarchi che circonda Mussolini, e dalla sua opera emerge l’avversione per un’ideologia che non può che rivelarsi ai suoi occhi vuota e mistificante. Non per questo, comunque, è possibile parlare di un “antifascismo pirandelliano”; eppure, al di là di ogni definizione, non c’è dubbio che tutta l’arte di Pirandello sia volta a smascherare ogni mitologia e ogni retorica propagandistica.

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Mentre sta assistendo, a Cinecittà, alle riprese di un film tratto da Il fu Mattia Pascal, si ammala di polmonite. Muore il 10 dicembre 1936 nella sua casa di Roma, a sessantanove anni. Il giorno prima era uscita sul “Corriere della Sera” la sua ultima novella, Effetti di un sogno interrotto. Nonostante il regime proponga cerimonie solenni e pompose, i funerali si svolgono in forma strettamente privata e nella più austera semplicità, secondo le disposizioni dello scrittore: «Carro d’infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno mi accompagni, né parenti, né amici. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta». Le sue ceneri, custodite in un’urna greca, riposano per sua volontà ad Agrigento, sotto un pino vicino alla villa del Caos, là dove era nato.

2 Le opere

L’inesauribile creatività pirandelliana attraversa tutti i generi letterari, travalicandone i confini in uno scambio continuo di materiale narrativo e drammatico. Ciò non cancella l’impressione che l’ispirazione conduca irresistibilmente lo scrittore verso la rappresentazione teatrale. Anche quando la sua destinazione è un’altra, la pagina scritta si anima, il personaggio sembra farsi persona, uscendo dalla carta in cui si sente imprigionato per cercare una vita vera. E così i personaggi e le loro vicende circolano liberamente tra le novelle, i romanzi, le commedie e persino i saggi critici, tornando insistenti come variazioni di uno stesso tema. L’arte, come la vita, non sopporta limiti di genere né forme precostituite.

Le poesie

La passione giovanile per la poesia è l’unica a non aver sèguito nella piena maturità dello scrittore. Pirandello, in ogni caso, compone versi per più di vent’anni, tenendosi sempre lontano dalle correnti poetiche del tempo. Nel rispetto della tradizione, decide infatti di conservare moduli espressivi e forme metriche regolari, in cui si sente, in particolare all’inizio, la presenza di Carducci e della Scapigliatura, e poi anche quella di Dante e Leopardi, Goethe e Heine.
Le principali raccolte poetiche sono: Mal giocondo (1889), Elegie renane (1895), Zampogna (1901), Fuori di chiave (1912).

Al cuore della letteratura - volume 6
Al cuore della letteratura - volume 6
Dal Novecento a oggi