Il primo Novecento – L'opera: La coscienza di Zeno

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«La vita attuale è inquinata alle radici»

Cap. 8


Nell’ottavo e ultimo capitolo cambia la struttura narrativa del testo: il romanzo si presenta qui come un diario contenente annotazioni che vanno dal 3 maggio 1915 al 24 marzo 1916. L’attenzione del narratore è incentrata più sulle conseguenze dello scoppio della Grande guerra che non sulle proprie vicende personali, come avveniva nei capitoli precedenti. A causa degli eventi bellici, Zeno ha dovuto fare a meno del proprio amministratore: gli Olivi, in quanto italiani, sono costretti a lasciare Trieste, che nel 1915 era ancora sotto l’Impero austro-ungarico. Deve quindi occuparsi in prima persona degli affari della ditta. Inoltre, mentre lui, cittadino austriaco, è rimasto a Trieste, tutta la sua famiglia, di nazionalità italiana, si è rifugiata a Torino (questo è, tra l’altro, un dato della stessa biografia di Svevo). Libero da tutti i vincoli parentali, Zeno ha potuto agire a modo suo e ha trovato nell’attività commerciale la propria guarigione. Dice di aver compreso che la dimensione della malattia segna tutta la realtà, essendo connaturata alla vita stessa, e che la civiltà moderna, allontanando l’uomo dalla natura, lo ha reso più debole e “malato”.

24 Marzo 1916
Dal Maggio dell’anno scorso non avevo più toccato questo libercolo.1 Ecco che
dalla Svizzera il dr. S. mi scrive pregandomi di mandargli quanto avessi ancora annotato.
È una domanda curiosa, ma non ho nulla in contrario di mandargli anche
5 questo libercolo dal quale chiaramente vedrà come io la pensi di lui e della sua
cura. Giacché possiede tutte le mie confessioni, si tenga anche queste poche pagine
e ancora qualcuna che volentieri aggiungo a sua edificazione.2 Ma al signor dottor
S. voglio pur dire il fatto suo. Ci pensai tanto che oramai ho le idee ben chiare.
Intanto egli crede di ricevere altre confessioni di malattia e debolezza e invece
10 riceverà la descrizione di una salute solida, perfetta quanto la mia età abbastanza
inoltrata può permettere. Io sono guarito! Non solo non voglio fare la psico-analisi,
ma non ne ho neppur di bisogno. E la mia salute non proviene solo dal fatto
che mi sento un privilegiato in mezzo a tanti martiri.3 Non è per il confronto ch’io
mi senta sano. Io sono sano, assolutamente. Da lungo tempo io sapevo che la mia
15 salute non poteva essere altro che la mia convinzione e ch’era una sciocchezza
degna di un sognatore ipnagogico di volerla curare anziché persuadere.4 Io soffro
bensì di certi dolori, ma mancano d’importanza nella mia grande salute. Posso
mettere un impiastro5 qui o là, ma il resto ha da moversi e battersi e mai indugiarsi
nell’immobilità come gl’incancreniti. Dolore e amore, poi, la vita insomma, non
20 può essere considerata quale una malattia perché duole.
Ammetto che per avere la persuasione della salute il mio destino dovette mutare
e scaldare il mio organismo con la lotta e sopratutto col trionfo. Fu il mio
commercio che mi guarì e voglio che il dottor S. lo sappia.
Attonito e inerte, stetti a guardare il mondo sconvolto,6 fino al principio dell’Agosto
25 dell’anno scorso. Allora io cominciai a comperare. Sottolineo questo verbo

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perché ha un significato più alto di prima della guerra. In bocca di un commerciante,
allora, significava ch’egli era disposto a comperare un dato articolo. Ma quando
io lo dissi, volli significare ch’io ero compratore di qualunque merce che mi sarebbe
stata offerta. Come tutte le persone forti, io ebbi nella mia testa una sola idea e
30 di quella vissi e fu la mia fortuna. L’Olivi non era a Trieste, ma è certo ch’egli non
avrebbe permesso un rischio simile e lo avrebbe riservato agli altri. Invece per me
non era un rischio. Io ne sapevo il risultato felice con piena certezza. Dapprima
m’ero messo, secondo l’antico costume in epoca di guerra, a convertire tutto il patrimonio
in oro, ma v’era una certa difficoltà di comperare e vendere dell’oro. L’oro
35 per così dire liquido, perché più mobile, era la merce e ne feci incetta. Io effettuo
di tempo in tempo anche delle vendite ma sempre in misura inferiore agli acquisti.
Perché cominciai nel giusto momento i miei acquisti e le mie vendite furono tanto
felici che queste mi davano i grandi mezzi di cui abbisognavo per quelli.7
Con grande orgoglio ricordo che il mio primo acquisto fu addirittura apparentemente
40 una sciocchezza e inteso unicamente a realizzare subito la mia nuova
idea: una partita non grande d’incenso. Il venditore mi vantava la possibilità d’impiegare
l’incenso quale un surrogato della resina8 che già cominciava a mancare,
ma io quale chimico sapevo con piena certezza che l’incenso mai più avrebbe
potuto sostituire la resina di cui era differente toto genere.9 Secondo la mia idea il
45 mondo sarebbe arrivato ad una miseria tale da dover accettare l’incenso quale un
surrogato della resina. E comperai! Pochi giorni or sono ne vendetti una piccola
parte e ne ricavai l’importo che m’era occorso per appropriarmi della partita intera.
Nel momento in cui incassai quei denari mi si allargò il petto al sentimento della
mia forza e della mia salute.
50 Il dottore, quando avrà ricevuta quest’ultima parte del mio manoscritto, dovrebbe
restituirmelo tutto. Lo rifarei con chiarezza vera perché come potevo intendere
la mia vita quando non ne conoscevo quest’ultimo periodo? Forse io vissi
tanti anni solo per prepararmi ad esso!
Naturalmente io non sono un ingenuo e scuso il dottore di vedere nella vita
55 stessa una manifestazione di malattia. La vita somiglia un poco alla malattia come
procede per crisi e lisi10 ed ha i giornalieri miglioramenti e peggioramenti. A differenza
delle altre malattie la vita è sempre mortale. Non sopporta cure. Sarebbe
come voler turare i buchi che abbiamo nel corpo credendoli delle ferite. Morremmo
strangolati non appena curati.
60 La vita attuale è inquinata alle radici. L’uomo s’è messo al posto degli alberi e delle
bestie ed ha inquinata l’aria, ha impedito il libero spazio. Può avvenire di peggio.
Il triste e attivo animale11 potrebbe scoprire e mettere al proprio servizio delle altre
forze. V’è una minaccia di questo genere in aria. Ne seguirà una grande ricchezza…
nel numero degli uomini. Ogni metro quadrato sarà occupato da un uomo. Chi ci
65 guarirà dalla mancanza di aria e di spazio? Solamente al pensarci soffoco!
Ma non è questo, non è questo soltanto.
Qualunque sforzo di darci la salute è vano. Questa non può appartenere che
alla bestia che conosce un solo progresso, quello del proprio organismo. Allorché

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la rondinella comprese che per essa non c’era altra possibile vita fuori dell’emigrazione,
70 essa ingrossò il muscolo che muove le sue ali e che divenne la parte più
considerevole del suo organismo. La talpa s’interrò e tutto il suo corpo si conformò
al suo bisogno. Il cavallo s’ingrandì e trasformò il suo piede. Di alcuni animali non
sappiamo il progresso, ma ci sarà stato e non avrà mai leso la loro salute.
Ma l’occhialuto uomo, invece, inventa gli ordigni fuori del suo corpo e se c’è
75 stata salute e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa. Gli ordigni
si comperano, si vendono e si rubano e l’uomo diventa sempre più furbo e più
debole. Anzi si capisce che la sua furbizia cresce in proporzione della sua debolezza.12
I primi suoi ordigni parevano prolungazioni13 del suo braccio e non potevano
essere efficaci che per la forza dello stesso, ma, oramai, l’ordigno non ha più alcuna
80 relazione con l’arto. Ed è l’ordigno che crea la malattia con l’abbandono della legge14
che fu su tutta la terra la creatrice. La legge del più forte sparì e perdemmo la
selezione salutare. Altro che psico-analisi ci vorrebbe: sotto la legge del possessore
del maggior numero di ordigni prospereranno malattie e ammalati.
Forse traverso15 una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla
85 salute. Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli
altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile,
in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati
quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma
degli altri un po’ più ammalato, ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al centro
90 della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà
un’esplosione enorme che nessuno udrà16 e la terra ritornata alla forma di nebulosa
errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie.17

      Dentro il testo

I contenuti tematici

Con la ripresa della scrittura dopo una lunga interruzione, Zeno rivela i suoi pensieri. Se non ha mai creduto fino in fondo all’utilità della terapia, adesso la rifiuta completamente. Innanzitutto ritiene di essere guarito non grazie all’analisi dei propri sintomi, ma perché ha finalmente sperimentato la necessità di un impegno concreto, che poi è stato coronato da successo: Fu il mio commercio che mi guarì e voglio che il dottor S. lo sappia (rr. 22-23). Questa volta Zeno ha fatto la scelta giusta (dal punto di vista economico; è qui assente qualsivoglia considerazione di tipo morale): poiché durante le guerre il rischio di inflazione è molto alto, egli ha deciso di impiegare gran parte della propria liquidità per acquistare merci di tutti i tipi, in modo da poterle rivendere a prezzi sensibilmente maggiorati quando la domanda lo consentirà.

In secondo luogo, Zeno raggiunge la consapevolezza di essere guarito nel momento in cui comprende che la malattia riguarda non solo lui come singolo, bensì la vita umana nel suo complesso, e in particolare quella contemporanea: La vita attuale è inquinata alle radici. L’uomo s’è messo al posto degli alberi e delle bestie ed ha inquinata l’aria, ha impedito il libero spazio ecc. (rr. 60 ss.). Ora che ha accumulato denaro speculando sulla guerra, Zeno non ritiene più necessario procedere nella propria autoanalisi. Tuttavia una cupa sensazione lo ammonisce che l’umanità non potrà progredire continuando a inquinare l’ambiente e negando la validità delle leggi naturali.
Peraltro l’uomo, potenzialmente, sarebbe in grado di fare anche di peggio: V’è una minaccia di questo genere in aria (r. 63). Zeno non allude ad alcunché di specifico, ma possiamo pensare che Svevo, da conoscitore dei processi chimici, fosse particolarmente consapevole del fatto che i progressi nella scienza e nella tecnica potevano essere utilizzati a fini distruttivi. In un’inquietante visione apocalittica, il mondo gli appare tornato allo stato di una nebulosa nell’universo, dopo che un ordigno l’ha distrutto: Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute ecc. (rr. 84 ss.). L’esperienza di Zeno perde all’improvviso la propria esclusiva specificità: si assolutizza come quella di un individuo calato nella modernità, che interrompe il proprio itinerario autoconoscitivo per osservare l’irruzione della Storia e presagisce uno scenario collettivo drammatico.

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Queste ultime considerazioni del protagonista alla fine del romanzo riecheggiano concetti propri del pensiero freudiano. La critica ha segnalato, in particolare, alcune pagine del saggio di Freud Il disagio della civiltà, nel quale leggiamo tra l’altro: «Il problema fondamentale del destino della specie umana a me sembra sia questo: se, e fino a che punto, l’evoluzione civile degli uomini riuscirà a dominare i turbamenti della vita collettiva provocati dalla loro pulsione aggressiva e autodistruttrice. In questo aspetto proprio il tempo presente merita forse particolare interesse. Gli uomini adesso hanno esteso talmente il proprio potere sulle forze naturali, che giovandosi di esse sarebbe facile sterminarsi a vicenda, fino all’ultimo uomo. Lo sanno, donde buona parte della loro presente inquietudine, infelicità, apprensione».
Il testo di Freud venne pubblicato nel 1929 e quindi è di alcuni anni posteriore al romanzo di Svevo. Va detto però che quest’ultimo «conosceva Freud da sempre, e la vicinanza tra i due scritti è documento di un’atmosfera comune, di una comune partecipazione a un dibattito che scosse in quegli anni tutta la cultura europea» (Petronio-Masiello).

Le scelte stilistiche

Nello sviluppo di questo brano assistiamo a un deciso mutamento nel tono: dalla narrazione vera e propria – inerente alla ripresa del libercolo (r. 2) e ai rapporti del protagonista con il dottor S., nonché alle sue riflessioni sulla propria malattia (Io sono guarito!, r. 11) e alle azioni messe in atto nella mutata situazione economica (Allora io cominciai a comperare, r. 25) – si passa, a partire dalla r. 60 (La vita attuale è inquinata alle radici ecc.), a una più ampia meditazione cosmica, che si svolge con toni quasi profetici, anche perché l’analisi del passato è sostituita dalla visione del futuro. Zeno ha perso la propria tipica insicurezza, per affermare invece in modo netto e deciso il superamento della propria condizione di inetto e autoconvincersi di essersi adattato al mondo. Un lungo tragitto lo ha condotto alla consapevolezza della propria identità e delle proprie miserie: a che vale scappare, come ha fatto Alfonso Nitti in Una vita? Perché rifugiarsi nel sogno allo stesso modo di Emilio Brentani in Senilità? Guarire sé stesso e guarire la vita non è che una sciocca velleità: per salvarsi, l’unica ricetta è guardarsi con ironia, osservando con il sorriso la provvisorietà del vivere.

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      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Con quali motivazioni Zeno giustifica il proprio abbandono della psicanalisi?


2 In che modo il protagonista afferma di essere guarito?


3 Quale differenza viene messa in luce fra l’evoluzione naturale (“sana”) degli altri animali e quella artificiale (“malata”) degli uomini?

ANALIZZARE

4 Individua nel testo lo stacco netto in cui Zeno passa dall’affermazione del proprio stato di salute a considerazioni decisamente meno positive sulla condizione generale dell’umanità.

INTERPRETARE

5 Ma al signor dottor S. voglio pur dire il fatto suo (rr. 7-8). Da questa frase quali sentimenti di Zeno traspaiono nei confronti del dottor S.? Come possiamo spiegarli?


6 Quali reazioni emotive desta nel protagonista la prospettiva di un annientamento del mondo attraverso l’impiego di un’arma potentissima?


7 C’è chi ha voluto vedere nel riferimento alla catastrofe inaudita (r. 84) e all’esplosione enorme (r. 91) una sorta di “visione profetica”, da parte di Svevo, della bomba atomica e delle armi di distruzione di massa. Ti sembra plausibile questa interpretazione? Spiega le ragioni del tuo parere.

PRODURRE

8 Secondo te la preoccupazione di Zeno per un’eventuale distruzione del nostro pianeta da parte dell’uomo è ancora attuale e motivata nell’odierno contesto geopolitico? Elabora la tua risposta in un testo argomentativo di almeno 30 righe.


L’AUTORE NEL TEMPO

Non c’è dubbio che Italo Svevo sia stato un autore “eccentrico” sia per il luogo dove ha vissuto e lavorato, Trieste, una città italiana ma con fortissimi legami con la cultura mitteleuropea, sia per la sua particolare fisionomia di scrittore non dotato della formazione letteraria classica. Non stupisce dunque l’incomprensione iniziale nei confronti delle sue opere, che nascono in un contesto decisamente inadeguato a comprenderne le novità di contenuto e di forma.

I primi “scopritori” francesi
La fama di Svevo si diffonde all’estero prima che in Italia. Il suo primo grande sostenitore è lo scrittore irlandese James Joyce, che già nel 1906 l’aveva conosciuto a Trieste. L’autore dell’Ulisse, che si era poi trasferito a Parigi, a partire dal 1923 fa conoscere i libri di Svevo proprio nella capitale francese. Qui si entusiasmano ai romanzi dello scrittore triestino due italianisti di fama come Benjamin Crémieux e Valéry Larbaud, che nel febbraio del 1926 dedicano a Svevo un numero monografico della rivista “Le Navire d’Argent”. Possiamo dire che quella data segna, inizialmente soltanto all’estero, l’inizio dell’apprezzamento critico della prosa sveviana, che si concretizza in una serie di traduzioni e studi.
Non meno importante è un articolo, uscito in quello stesso anno nel numero di novembre della rivista milanese “L’Esame”, intitolato Omaggio a Italo Svevo e firmato dal poeta Eugenio Montale. Tuttavia, a parte l’entusiasmo di Montale, la cultura italiana rimane a lungo indifferente se non ostile a Svevo, che viene accusato di “scrivere male”: qualcuno si spinge addirittura ad affermare che i suoi romanzi sembrano cattive traduzioni di opere straniere.

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L’incomprensione nel ventennio fascista e nel successivo clima neorealista
Non bastano né la morte dello scrittore (evento che spesso consacra la fama postuma di un artista), avvenuta nel 1928, né l’omaggio della rivista “Solaria”, che dedica un intero numero all’autore appena scomparso (n. 3-4 del 1929), a determinare un’inversione di tendenza nella considerazione dell’opera sveviana.
Del resto il clima culturale fascista non poteva che essere ostile nei confronti di uno scrittore teso a demistificare il perbenismo borghese e la sua retorica moralistica. Ma anche un intellettuale come Benedetto Croce, che pure era lontano dal fascismo, assimilando la produzione di Svevo all’ambito della poetica decadente – che, come abbiamo visto, egli condannava in blocco – dà un giudizio fortemente limitativo su di lui. Né migliore accoglienza gli riservano le avanguardie: interrogato nel 1930 sui romanzi sveviani, Filippo Tommaso Marinetti risponde: «Ho avuto l’impressione che si tratti di cioccolatini. Ebbene io sono un leone e non mi nutro di cioccolatini!».
Nel clima autarchico di quegli anni, a Svevo si imputa la responsabilità di aver importato nella letteratura italiana suggestioni e atteggiamenti estranei alla tradizione nazionale. Un lettore, per altri versi acuto, quale lo scrittore Guido Piovene, si scaglia contro la cultura francese per aver eletto a celebrità uno scrittore a suo parere di second’ordine: «I cenacoli parigini, non contenti di regalarci pose e snobismi letterari sempre nuovi, ci regalano anche le celebrità italiane. Italo Svevo, commerciante triestino, scrittore di tre mediocri romanzi, valutato da noi, secondo i suoi meriti, con una rispettosa indifferenza, è improvvisamente annunciato come grande scrittore da uno scadente poeta irlandese abitante a Trieste, il Joyce, uno scadente poeta di Parigi, Valéry Larbaud, e un critico, il Crémieux, che, essendo intenditore di cose francesi, passa in Francia come intenditore di cose italiane; forse perché ne conosce pochissimo, fra gente che non ne conosce nulla. Quale il merito dello Svevo? D’essersi avvicinato, più d’ogni altro italiano, a quella letteratura passivamente analitica, che ebbe i suoi fastigi in Proust, ed è arte scadente, se l’arte è opera d’uomini vivi ed attivi».
Nemmeno negli anni del Neorealismo, all’indomani della Seconda guerra mondiale, l’opera di Svevo rientra nei canoni prescritti, quelli dell’adesione all’oggettività del reale e della letteratura impegnata. I critici di questa tendenza, anche sulla spinta di precise indicazioni politico-ideologiche, propugnavano nei romanzi la presenza di eroi “positivi”, portatori di messaggi etico-morali: nulla di più lontano dai vari “inetti” dei libri di Svevo.

Le nuove metodologie critiche e la definitiva valorizzazione
Un netto cambio di approccio alla produzione dell’autore triestino si ha a partire dagli anni Sessanta, via via che entrano in crisi la poetica neorealista e la “dittatura” dell’estetica crociana. Grazie alle nuove metodologie di analisi letteraria legate allo strutturalismo, alla sociologia e alla stessa psicanalisi, si comincia ad apprezzare l’originalità del lavoro dell’autore. Vari critici hanno colto gli aspetti più vitali dell’opera di Svevo, mettendone in luce la statura di grande autore europeo, interprete della crisi primonovecentesca, che ha saputo restituire in opere di profonda originalità. Tra gli altri, Giacomo Debenedetti, sin dalla fine degli anni Venti, ha rilevato le novità strutturali della Coscienza di Zeno e l’importanza della figura dell’inetto; Mario Lavagetto, Eduardo Saccone ed Elio Gioanola hanno indagato i rapporti con la psicanalisi; Renato Barilli ha approfondito l’ironia di Svevo e collegato la sua produzione alle avanguardie europee di inizio Novecento; Marziano Guglielminetti e Sandro Maxia hanno invece studiato le componenti innovative della tecnica narrativa dell’autore.

Al cuore della letteratura - volume 6
Al cuore della letteratura - volume 6
Dal Novecento a oggi