Scontri generazionali nel romanzo
dell’Ottocento
In Papà Goriot (1834), uno dei romanzi più celebri di Honoré de Balzac (immagine a fianco), il padre rappresenta invece la vittima, oggetto di una vera e propria spoliazione materiale messa in atto dalle figlie, alle quali lui è disposto a dare tutto. Il suo è l’amore smisurato di un genitore, che però, proprio per questo eccesso di affetto, finisce per sbagliare: “viziando” all’eccesso, come si direbbe oggi, le figlie, che lo ripagano con l’indifferenza e il disprezzo.
Simile sarà la fine di Mastro-don Gesualdo, il protagonista dell’omonimo romanzo (1889) di Giovanni Verga: il manovale diventato signore a forza di sacrifici, la cui figlia, Isabella, si vergogna di lui per le sue umili origini. È memorabile, per la sua amarezza, la scena finale del libro, che descrive la morte di Gesualdo, relegato in una stanza del palazzo nobiliare, abbandonato dalla figlia e schernito dai servitori.
Una conflittualità tra padri e figli di portata generazionale è quella messa a fuoco dal russo Ivan S. Turgenev nel romanzo Padri e figli (1862), dove ai padri aristocratici, tradizionalisti e idealisti, si contrappongono i figli democratici, innovatori, materialisti e nichilisti: il termine stesso “nichilismo” fu coniato proprio da Turgenev in questo stesso romanzo per descrivere l’atteggiamento filosofico (la negazione di ogni valore positivo) dei giovani russi degli anni Sessanta del XIX secolo.