Alessandro Mezzena Lona La morte danza in salita
Un recente romanzo, La morte danza in salita (2014), scritto da un concittadino di Svevo, il triestino Alessandro Mezzena Lona (n. 1958), pone al centro della narrazione Ettore Schmitz nei panni di un investigatore.
La morte di Ottavio Bottecchia è uno dei misteri irrisolti delle cronache italiane degli anni Venti. Campione di ciclismo, per due volte vincitore del Tour de France, Bottecchia muore in Friuli, sulla strada che porta a Peonis, il 3 giugno 1927. Viene trovato a terra con il volto coperto di sangue, poco lontano dalla sua bicicletta. All’ipotesi più banale, quella di una caduta accidentale, se ne sovrappongono altre: Bottecchia è stato vittima della violenza di un marito geloso; oppure è stato ucciso da qualche anarchico o socialista dopo che, per quieto vivere, aveva preso la tessera del Partito fascista; o ancora, al contrario, potrebbe essere stato un gruppo di squadristi, che voleva fargli pagare certe incaute dichiarazioni di indifferenza politica.
Fin qui la realtà storica. Ma il narratore immagina che a indagare sul caso sia appunto Svevo, che si trova a Peonis per una vacanza terapeutica, volta, tra l’altro, a disintossicarlo dal vizio del fumo. A Svevo la verità ufficiale non quadra, ed eccolo allora interrogarsi sulle diverse incongruenze della vicenda, fino a scoprire una verità che, un anno dopo, gli costerà la vita in un incidente d’auto, il quale forse, anche nel suo caso, non sarà un vero incidente.
« Al momento di frenare, l’autista si era accorto che la vettura non rispondeva più ai comandi. Impossibile, a quel punto, non andare a sbattere. […] Lui, il signor Ettore, con un femore fratturato, si era spento all’ospedale poche ore più tardi. “Crisi cardiaca”, sentenziò il dottor Mali, che era accorso da Trieste a Motta di Livenza indossando la sua migliore faccia da funerale. “Troppe sigarette, non si curava della propria salute”. Prima di chiudere gli occhi, Italo Svevo aveva detto alla figlia: “Non piangere Letizia, non è niente morire”. Sulle labbra gli era rimasto un sorriso. L’ultimo. Era stato più facile morire che scrivere. »