Il primo Novecento – L'opera

La coscienza di Zeno

La coscienza di Zeno è forse il romanzo italiano che più di ogni altro rappresenta la crisi di certezze e di valori tipica dei primi decenni del Novecento. Il suo protagonista è un testimone esemplare della dissoluzione dei fondamenti filosofici su cui si era basata la civiltà borghese del secolo precedente: intossicato dal fumo, debole e suggestionabile, soffre in realtà di un male tutto interiore, di una sorta di patologia della volontà che tenta di vincere ripercorrendo le pieghe oscure dell’inconscio.
L’impianto della narrazione, la struttura, il trattamento del tempo e la posizione del soggetto di fronte alla realtà sono concepiti in modo da rendere problematica e aperta l’interpretazione del narrato. Non incontriamo più, dunque, una voce esterna che smaschera e corregge le menzogne del protagonista, che lo mette a nudo e lo giudica, ma ci troviamo di fronte all’ambigua confessione di un soggetto che mescola nelle proprie affermazioni verità e bugie, false interpretazioni e menzogne volontarie, secondo il flusso mobile e imprevedibile della propria coscienza.
Zeno confeziona così, mediante un tortuoso itinerario nella memoria, la propria indagine introspettiva per illuminare i moti oscuri di un’anima ormai irrimediabilmente corrosa: nel risalire alle radici del proprio io, rivela allo stesso tempo la natura fittizia della cosiddetta “normalità” e le falsità e le ipocrisie che caratterizzano l’ordine borghese.

1 La struttura e la trama

Italo Svevo inizia la scrittura del suo terzo romanzo, La coscienza di Zeno, nel 1919, dopo l’ingresso delle truppe italiane a Trieste, ne conclude la stesura nell’estate del 1922 e lo pubblica nel 1923. Dall’uscita dell’opera precedente, Senilità (1898), sono passati più di vent’anni, un periodo nel quale l’autore ha avuto tempo per riflettere e meditare sulla propria attività narrativa e per compiere significative esperienze culturali, tra le quali spicca l’interesse per la psicanalisi.

 >> pag. 144 

La struttura

Diversamente dai primi due romanzi, il cui impianto era, almeno in apparenza, ancora quello tradizionale, La coscienza di Zeno possiede una struttura innovativa e complessa. Il testo si presenta come un lungo memoriale in prima persona, organizzato per nuclei tematici, che si immagina scritto per ordine di un medico, il dottor S. (Svevo stesso? O magari Sigmund Freud?), e in cui il protagonista, Zeno Cosini, ripercorre i momenti salienti della propria vita.
Il libro è aperto da una Prefazione, firmata dal dottor S., che dichiara di pubblicare il testo di Zeno per vendicarsi della sua decisione, presa senza consultarlo, di abbandonare il trattamento psicanalitico. La scrittura dell’autobiografia era infatti stata richiesta a Zeno dal medico come “preludio” alla psicanalisi vera e propria.
Segue un Preambolo, scritto dal protagonista stesso, il quale afferma che quelle pagine sono state composte su consiglio dello psicanalista, a cui si era rivolto, all’età di circa sessant’anni, per guarire dal vizio del fumo.
Si susseguono poi 6 capitoli tematici, in cui la successione cronologica dei fatti narrati viene continuamente alterata dalla scelta di accorparli in base all’argomento su cui è incentrato ciascun capitolo. In altre parole, i ricordi, le sensazioni, le immagini dell’esistenza di Zeno non sono riportate secondo un ordine temporale, bensì organizzate attorno ad alcuni fatti ritenuti importanti, che danno il titolo ad altrettanti capitoli: Il fumo, La morte di mio padre, La storia del mio matrimonio, La moglie e l’amante, Storia di un’associazione commerciale, Psico-analisi. I diversi episodi rievocati sono selezionati per illustrare vari aspetti del carattere del protagonista e in questo modo il romanzo si pone come una sorta di “autoanalisi”, volta a mettere in luce la sua particolare malattia.

La trama

Zeno è un uomo spesso bloccato nell’agire, è un inetto, cioè una persona incapace di vivere un’esistenza positiva e costruttiva: perennemente indeciso, è passato dagli studi di diritto a quelli di chimica, per poi tornare di nuovo ai primi.
Il sintomo più vistoso del suo “male di vivere” è il vizio del fumo, di cui è succube sin da ragazzo e del quale, nonostante i numerosi tentativi, non è mai riuscito a sbarazzarsi. Alla stessa maniera non ha mai risolto il rapporto con il padre, che è un uomo assai diverso da lui per temperamento e non lo ha mai veramente capito: è un borghese solido e concreto, e morirà senza che si sia mai realizzata tra loro un’autentica comunicazione. Prima di spegnersi, non fidandosi del figlio, che ormai ha più di trent’anni, dispone per testamento che il proprio patrimonio sia messo sotto la tutela di un uomo assennato, l’amministratore Olivi: così Zeno potrà vivere di rendita, mentre altri si occuperanno dei suoi affari.
In seguito Zeno decide di sposarsi ma, incerto tra le diverse sorelle Malfenti (Augusta, Ada, Alberta, oltre alla piccola Anna), rifiutato prima da Ada e poi da Alberta, prende in moglie quella che gli piace di meno, Augusta. Forse per questo, in seguito trova un’amante, Carla, una ragazza del popolo appassionata di canto, che vede nel denaro dell’uomo un’opportunità per migliorare la propria condizione. Dopo due anni dall’inizio della relazione, però, il protagonista si stancherà di lei, anche se sarà la ragazza ad annunciargli la propria decisione di sposare il maestro di canto al quale Zeno stesso l’aveva affidata. Del resto, il suo matrimonio con Augusta si rivela nella realtà tutt’altro che infelice: la donna è saggia e buona, e Zeno trova in lei stabilità e tranquillità.
Invece Ada, la sorella più giovane, ammalatasi di ipertiroidismo, si è imbruttita dopo il matrimonio. Il marito, Guido Speier, è un uomo piacente ma anche superficiale, nonostante l’ostentata sicurezza di sé: insieme a lui Zeno fonda una società commerciale, ma la pessima conduzione degli affari da parte del cognato, che nel frattempo ha iniziato una relazione adulterina con la segretaria, la conduce sull’orlo del fallimento. Per impietosire la moglie e convincerla a ripianare i debiti, Guido finge per due volte di volersi suicidare: la seconda volta sbaglia però la dose di barbiturici e muore. A questo punto Zeno prende in mano le redini della società e si dimostra abile negli affari, cosa che prima nessuno (nemmeno lui) avrebbe creduto.
Così l’inetto, il malato Zeno appare come il vero “vincitore”, poiché la sua presunta debolezza si è mostrata in realtà una superiore capacità di adattarsi. L’opera termina con un ultimo capitolo composto di alcune pagine staccate dal resto della narrazione, una sorta di “diario” che si finge scritto mentre è in corso la Prima guerra mondiale. Zeno è deciso a interrompere la cura: dopo un anno ha riletto la sua autobiografia e ora manifesta tutta la propria sfiducia verso la psicanalisi e verso il dottor S. Non è guarito, ma lo scoppio del conflitto – paradossalmente – ha determinato un deciso miglioramento, poiché l’amministratore Olivi, cittadino italiano, ha dovuto rifugiarsi in Svizzera. Così Zeno, finalmente libero dal controllo del tutore, ha potuto avventurarsi in alcune imprese commerciali, che si sono rivelate estremamente fortunate. Si sente bene: dice che ha riacquistato la salute non grazie alla cura del dottor S. ma, al contrario, a dispetto di questa; percepisce perfino il piacere di sentirsi vivo e felice, immune dalla tragedia collettiva della guerra che osserva lucidamente a distanza. Infatti afferma: «Da me la vita non fu mai privata del desiderio e l’illusione rinacque subito intera dopo ogni naufragio». E allo psicanalista, che torna a farsi vivo, Zeno decide di inviare tutto quanto ha scritto per mostrargli che cosa pensa di lui e della sua cura.

 >> pag. 145 

2 I personaggi e i temi

Zeno e gli altri

Zeno è un uomo pigro e svogliato, distratto e ipocondriaco (convinto cioè di essere affetto da tutte le malattie possibili), e di ciò – come dichiara il titolo del romanzo nel suo significato letterale – ha “coscienza”. Egli avverte uno scarto tra sé e gli altri, tra il proprio modo di considerare la vita e quello della maggior parte delle persone, di quella che potrebbe essere definita “la gente normale”. In tal senso è uno “straniero”, come significa in greco il suo nome (da xenos). Per molti anni crede che questo sia un grave problema e prova in diversi modi a conformarsi ai modelli comuni; la stessa decisione di sottoporsi alla terapia psicanalitica è un tentativo in questa direzione. Alla fine del romanzo, però, sarà orgoglioso della propria diversità, che a quel punto percepirà come un elemento di forza.

Diversi personaggi del romanzo possono essere ricondotti, in relazione al protagonista e voce narrante Zeno, alla figura archetipica del padre, che si caratterizza al tempo stesso come un modello per raggiungere la normalità e come un antagonista a cui si desidera sostituirsi. Oltre al suo vero genitore, “padri” possono essere considerati il tutore Olivi e il suocero Malfenti. La figura paterna nella psicanalisi rappresenta quella del rivale per antonomasia, essendo il padre, nella teoria freudiana, il primo contendente a cui il bambino si oppone per poter ottenere tutto l’affetto della madre (si tratta del cosiddetto “complesso di Edipo”). Avversario in amore è invece Guido Speier: bello, brillante, sicuro di sé, l’esatto opposto di Zeno, il quale infine considera nemico anche il dottor S., che intende scrutare nei luoghi più reconditi della sua anima, come per rimproverarlo delle sue colpe nascoste, delle sue menzogne e delle sue mistificazioni.

 >> pag. 146 

Nel rapporto con le donne emergono con particolare evidenza le debolezze e le contraddizioni del protagonista. Zeno afferma di essere innamorato della moglie e di provare per lei una profonda stima, ma finisce per tradirla: Augusta è una sorta di moglie-madre, solida e protettiva, con la quale egli stabilisce un rapporto di tenero affetto, mentre Carla è oggetto di una passione puramente sessuale. Ada, la sorella più giovane e più desiderabile di Augusta, perde agli occhi di Zeno ogni attrattiva allorché – dopo il matrimonio “sbagliato” con Guido e l’insorgere della malattia che la imbruttisce – si trasforma in una donna debole e infelice.

Psicanalisi, malattia e menzogna

Nella Coscienza di Zeno la psicanalisi è, dal punto di vista tematico, il centro del romanzo, che viene immaginato, appunto, come un quaderno scritto su indicazione del medico. Tuttavia alla fine dell’opera il protagonista esprime tutto il proprio risentimento nei confronti del dottor S., che gli ha promesso di guarirlo ma di fatto, a suo parere, ha soltanto aggravato la situazione, richiamandogli alla memoria episodi del passato prima sepolti nell’inconscio. Ad averlo risanato dalla malattia – egli afferma – sono stati invece l’attività pratica, gli affari, il commercio, in cui ha ottenuto un successo insperato.
Senza dubbio Svevo è uno dei primi scrittori italiani a essersi avvicinato alla psicanalisi (comincia nel 1908 a leggere gli scritti di Freud) e si è molto discusso su quanto lo scrittore ne abbia assimilato i princìpi, ma si può essere d’accordo con il critico Mario Lavagetto quando scrive che «stabilire quanto della teoria Svevo conoscesse di prima mano perde di importanza di fronte alla sua geniale capacità di sceneggiatore: all’astuzia con cui riesce ad ignorare o a dimenticare la psicoanalisi per rifonderla nel suo romanzo».

Sono vari gli elementi tipicamente psicanalitici presenti nel testo: per esempio gli “atti gratuiti” (cioè azioni le cui motivazioni sfuggono al soggetto stesso che le compie), come quando Zeno chiede la mano di una donna che non ama, o gli “atti mancati” (azioni in cui emerge un comportamento rimosso), come quando, alla morte di Guido, Zeno si accoda per sbaglio al corteo funebre di un altro defunto, uno sconosciuto, mancando così al funerale del cognato (in ciò emerge l’odio di Zeno verso il rivale). La stessa demistificazione dei valori borghesi (amore, famiglia, religione, legge) e la messa a nudo dell’ipocrisia perbenista, se non rientrano fra gli intenti dichiarati di Freud, sono in un certo senso implicite nella sua teoria.

 >> pag. 147 

Lungo tutto il romanzo Zeno appare alla ricerca di figure “sane”, capaci di infondergli quella sicurezza che egli non possiede: il padre, il suocero Malfenti, la moglie Augusta. Alla fine, però, giunge alla conclusione che la malattia è la condizione tipica di ogni essere umano e che soltanto la consapevolezza di questa realtà può aiutare a sopravvivere.
In effetti un personaggio apparentemente forte e vincente come Guido si dimostra inadatto nella lotta per la vita, e cade vittima proprio di quelle qualità “virili”, come la spregiudicatezza e l’agonismo, che Zeno aveva invidiato come indizi di salute. Quest’ultimo appare invece, al termine del libro, tranquillo e sereno dopo essersi accorto a poco a poco che la presunta salute può essere sinonimo di ottusità e di stupidità, mentre lui è riuscito a sfruttare a proprio vantaggio la condizione di nevrotico. Dopo il suicidio di Alfonso Nitti (protagonista di Una vita) e l’autoesilio dal mondo di Emilio Brentani (protagonista di Senilità), il personaggio Zeno impara a convivere con la propria malattia, riconoscendo con perspicace disincanto il conformismo dei più, che si credono sani ma lo sono meno di lui.

L’inettitudine può dare luogo così a una strategia esistenziale vincente, trasformandosi nella pratica indifferenza con cui si fronteggia il destino e nella rinuncia a combattere per qualcosa a cui non si crede più: e se la malattia consiste nell’incapacità a misurarsi direttamente nella lotta, nell’eccesso di riflessione che complica o rimanda l’azione, essa fornisce al tempo stesso un affilato strumento di conoscenza e un’ancora di salvezza per sottrarre l’individuo alle ipocrisie e agli inganni della società borghese. La salute – afferma infatti il narratore – «non analizza se stessa e neppur si guarda nello specchio. Solo noi malati sappiamo qualche cosa di noi stessi». La condizione del malato equivarrebbe in questo senso a una condizione di superiorità: è più sensibile, più acuto, più capace di comprendere le varie sfaccettature della realtà; mentre colui che è sano, o meglio, crede di esserlo, è meno profondo, meno intelligente, meno intuitivo.
Allo stesso tempo, però, non va dimenticato che il punto di vista di Zeno è pur sempre personale e inaffidabile: la sua interpretazione è provvisoria, non va presa alla lettera. Non a caso, Svevo non rinuncia mai a insinuare nel lettore il sospetto che la testimonianza di Zeno sia intenzionalmente ambigua: fino a che punto possiamo fidarci di lui? In quale misura il narratore può essere giudicato sincero? In fondo, il destinatario diretto del manoscritto è il medico, che egli intende palesemente ingannare; lo stesso Zeno riconosce di non brillare per buona fede («come aprivo la bocca svisavo cose o persone», ammette); la sua nevrosi può indurlo d’altronde a glissare sui particolari scomodi, che getterebbero una luce negativa sulla sua condotta. Alla fine, l’unica certezza rimane il dubbio: l’investigazione dell’io risulta sempre un’impresa improbabile e rischiosa, destinata a condurre l’individuo nel vicolo cieco dell’assurdità e dell’irrazionalità.

Tuttavia, se la confessione non esclude reticenze e menzogne, nel romanzo di Svevo, proprio come accade nella psicanalisi vera e propria, vengono spesso smascherate le reali motivazioni di certi atti o atteggiamenti. Si tratta di individuare, sotto l’apparenza dei propositi espressi, i motivi reconditi che spingono ad agire. Per esempio, si capisce che Zeno entra in società con il cognato Guido, che detesta, apparentemente per altruismo, ma in cuor suo con la segreta aspettativa di vederlo andare in rovina per godersi lo spettacolo (cosa che poi effettivamente accadrà).
D’altra parte è lo stesso dottor S. ad affermare che le memorie autobiografiche di Zeno contengono un miscuglio di «tante verità e bugie», mentre il protagonista riconosce, nell’ultimo capitolo, che «una confessione in iscritto è sempre menzognera». La compenetrazione tra vero e falso risulta dunque pienamente funzionale, nella Coscienza, alla strutturazione del racconto: un racconto sfaccettato e disarticolato, che potrà illuminare singoli frammenti di vita, ma non ricomporre in modo organico il quadro tortuoso e imprevedibile dell’esistenza.

 >> pag. 148 

3 Lo stile e le strutture narrative

La coscienza di Zeno è un libro molto innovativo dal punto di vista formale. Un primo elemento di originalità è legato al trattamento del tempo narrativo. I fatti non si susseguono, come nei romanzi della tradizione realistica, in base a un “prima” e a un “poi” o in virtù di rapporti di causa ed effetto, ma si intersecano e si sovrappongono tra loro, giacché risultano compresenti nella coscienza del protagonista.
La concretezza degli eventi e della realtà oggettiva viene continuamente messa in discussione dal commento del narratore, attraverso la costante intersezione tra due piani temporali: quello della stesura delle memorie (l’oggi della scrittura) e quello degli eventi accaduti nel passato (lo ieri dei fatti) che ora vengono ripercorsi dal narratore.
Il primo piano, quello del presente, copre due anni della vita del protagonista (dai 57 ai 59 anni d’età; dal 1914 al 1916) e occupa i capitoli 2 e 8 (Preambolo; Psico-analisi); il secondo, quello del passato, abbraccia sei anni (dai 33 ai 38 anni d’età; dal 1890 al 1896) e copre i capitoli dal 4 al 7 (La morte di mio padre; La storia del mio matrimonio; La moglie e l’amante; Storia di un’associazione commerciale); nel capitolo 3 (Il fumo) si intrecciano piani temporali diversi: Zeno bambino, poi ventenne, infine padre di un figlio di tre anni. I medesimi periodi vengono ripercorsi a più riprese nei vari capitoli, in base alle tematiche su cui di volta in volta si focalizza l’attenzione del narratore.
Il continuo andirivieni temporale – fitto di analessi che riepilogano fatti precedenti e di prolessi che anticipano esiti successivi – oltre a mettere in crisi il tempo “reale”, cioè il tradizionale ordine cronologico della narrazione, reinterpreta e modifica i fatti del passato, che così perdono la loro univoca fissità. Inoltre, mentre il narratore racconta eventi e azioni, li giudica e li sottopone a un’impietosa disamina critica.

Rispetto al tono a tratti tragico e angoscioso con cui vengono descritte le vicende di Alfonso Nitti ed Emilio Brentani, il clima dominante nella Coscienza è senza dubbio più lieve e rasserenato. Tale risultato è ottenuto grazie alla curvatura ironica della narrazione: Zeno è un personaggio che non prende nulla sul serio e soprattutto non prende sul serio sé stesso e i propri problemi. Attraverso l’ironia, intesa come distacco salutare dall’esistenza propria e degli altri, egli trasforma l’inettitudine in strategia di sopravvivenza, stempera disillusioni e fallimenti ed esprime un irredimibile scetticismo verso sé stesso e il mondo che lo circonda.
All’ironia di Zeno come elemento caratteristico del suo temperamento corrisponde, sul piano narratologico, l’ironia come strategia retorica dominante, nei termini di una ricorrente compresenza di significati opposti all’interno della medesima espressione. Ciò accade a partire dal titolo stesso del libro: il termine coscienza può essere inteso in senso cognitivo (“consapevolezza”) oppure in senso etico (“giudizio morale”), ma esso ci dice anche che il protagonista racconta solo ciò che sa (di cui è cosciente) e ciò che vuole raccontare, nei modi suggeriti dalla sua indole bugiarda e dalla sua – è il caso di dire – “cattiva” coscienza.

Un ultimo elemento di originalità, per quanto controverso, è legato allo stile del romanzo. “Svevo scrive male”: a lungo questo pregiudizio ha condizionato la ricezione della Coscienza.
Certamente lo scrittore conosceva, meglio dell’italiano, il dialetto triestino, usato in famiglia, e il tedesco, la lingua in cui gli era stato impartito l’insegnamento nelle scuole austriache da lui frequentate e a cui faceva ricorso, professionalmente, per le corrispondenze commerciali. Probabilmente Svevo – che diventa cittadino italiano soltanto nel 1918, quando Trieste entra a far parte del Regno d’Italia – si identifica in Zeno, al di là dell’artificio letterario, quando questi afferma: «Il dottore presta una fede troppo grande anche a quelle mie benedette confessioni che non vuole restituirmi perché le riveda. Dio mio! Egli non studiò che la medicina e perciò ignora che cosa significhi scrivere in italiano per noi che parliamo e non sappiamo scrivere che il dialetto. […] Con ogni nostra parola toscana noi mentiamo! Se egli sapesse come raccontiamo con predilezione tutte le cose per le quali abbiamo pronta la frase e come evitiamo quelle che ci obbligherebbero di ricorrere al vocabolario!».
In effetti, lo stile del romanzo appare decisamente antiletterario, cioè scarno e privo di ornamenti. La sintassi è piuttosto elementare nell’articolazione, a volte macchinosa: sono frequenti le frasi esclamative, interrogative, incidentali, che interrompono il libero fluire del periodo. Le scelte lessicali lasciano talora affiorare una patina dialettale e accostano vocaboli tecnici, forestierismi, toscanismi e arcaismi letterari; sono presenti incertezze nell’uso dei tempi verbali (l’oscillazione tra passato prossimo e passato remoto in contesti analoghi) e delle preposizioni (in particolare “di” e “da”).
Ma la lingua di Svevo non può essere valutata in termini di dignità letteraria. Come scrive il critico Giacomo Debenedetti, in lui «la parola rimane nomenclatura, e la frase elementare in cui essa si articola o si ingrana rimane quasi esclusivamente rendiconto, documentario, un mezzo pratico per dare atto di ciò che si presenta o accade». In altri termini, lo scrittore appare indifferente all’eleganza del testo e più attento al significato che alla forma: la verità può essere detta semplicemente; anzi, talvolta, le incongruenze e le inesattezze grammaticali riflettono con efficacia il disagio e l’insensatezza di un’esistenza indecifrabile.

 >> pag. 149 

4 I testi

Temi e motivi dei brani antologizzati
T4 La Prefazione e il Preambolo • la «vendetta» del dottor S.
• la scrittura come preludio alla psicanalisi
• gli inganni della memoria
• Zeno narratore inattendibile
T5 Il vizio del fumo e le «ultime sigarette» • la malattia della volontà                                    
• mistificazione e autoinganni dell’inetto
• il tempo misto della coscienza
T6 La morte del padre
• la morte del padre come fine della giovinezza
• lo schiaffo in punto di morte
• senso di colpa e complesso di Edipo
T7 Una malattia psicosomatica
• la malattia «dolente»: sintomi psicosomatici del disagio di vivere
• l’ipocondria di Zeno
• il corpo come «macchina»
T8 «La vita attuale è inquinata alle radici»
• la guarigione e l’abbandono della terapia
• la vita come «malattia mortale»
• l’epoca degli «ordigni» e il «disagio della civiltà»
• la profezia di una catastrofe planetaria

Al cuore della letteratura - volume 6
Al cuore della letteratura - volume 6
Dal Novecento a oggi