Le influenze culturali

Il primo Novecento – L'autore: Italo Svevo

Le influenze culturali

La “scoperta” della grandezza di Svevo, avvenuta in Francia, difficilmente avrebbe potuto verificarsi in Italia. Inserire la sua opera entro gli schemi della nostra tradizione letteraria, nonché apprezzare i temi e le forme del suo impegno creativo non era semplice per i lettori italiani a cavallo tra Ottocento e Novecento.
Come abbiamo osservato, lo scrittore triestino rappresenta, sia culturalmente sia antropologicamente, una figura di intellettuale piuttosto sui generis: privo di una formazione umanistica, non proviene da un ambiente votato alla pratica letteraria (al contrario, questa viene svilita come un’attività ininfluente e improduttiva), si forma da autodidatta, scegliendo di leggere opere e autori che suscitano il suo interesse personale, svolge una professione che non ha nulla a che vedere con l’arte e scrive di nascosto, come per compensare in segreto e privatamente il grigiore e il conformismo del contesto familiare e professionale di cui fa parte.

I dati costitutivi dell’esperienza intellettuale sveviana sembrano essere dunque la marginalità, l’estraneità e la contraddizione: marginalità rispetto agli ambienti culturali italiani; estraneità alla formazione tipica del letterato, in particolare di quello italiano; contraddizione per il combinarsi in lui di aspetti, tendenze e correnti di pensiero diverse e talvolta persino opposte tra loro. Si può dire, considerando i dati biografici e culturali, che Svevo rappresenta un caso eccezionale di scrittore di confine: tra Ottocento e Novecento (i secoli a cavallo dei quali vive), tra Italia e Impero austro-ungarico, tra dialetto triestino, lingua tedesca e lingua italiana, tra ebraismo e laicità, tra letteratura e dilettantismo, tra filosofia e arte, tra autobiografia e finzione letteraria. È una condizione, questa, che lo pseudonimo scelto dall’autore sintetizza efficacemente: Italo perché irredentista, sia pure moderato, e perché scrive in italiano; Svevo, cioè tedesco, per cultura, filosofia e mentalità.
La realtà storica, sociale e politica di Trieste determina a sua volta un intreccio di incontri, conoscenze e sollecitazioni provenienti da ambiti e culture differenti, con cui Svevo entra in contatto e da cui trae ispirazione per elaborare una riflessione originale sulla condizione esistenziale dell’uomo.

Le diverse correnti di pensiero che l’autore approfondisce vengono tutte assimilate, ma rielaborate in modo personale. In generale, egli ne accoglie la pars destruens, ovvero gli elementi critici che demistificano opinioni e mentalità acquisite, ma non la pars construens, cioè gli apporti concreti sui quali fondare una proposta ideologica operativa. Questo dato è particolarmente evidente in relazione al pensiero dei cinque filosofi e scienziati che maggiormente incidono sulla formazione intellettuale di Svevo: Schopenhauer, Darwin, Marx, Nietzsche e Freud.

La lettura di Arthur Schopenhauer (1788-1860) si coglie soprattutto nei primi due romanzi. Il filosofo tedesco affermava che non sono gli uomini a volere, ma una Volontà superiore, cieca e irrazionale, che agisce sui bisogni, sugli impulsi e sui motivi che spingono all’azione, la quale pertanto non è mai libera. Ci sono uomini che seguono questa volontà e si gettano nella lotta per la vita (i «lottatori») e altri che restano ai margini, privilegiando l’attività di riflessione (i «contemplatori»).
Svevo riprende questa visione filosofica dividendo l’umanità in due schiere: da una parte ci sono i «sani», coloro che godono dei doni della vita e sono integrati nell’ordine naturale e sociale; dall’altra si trovano i «malati», gli “inetti” che si sottraggono alla vita e sono infelici, deboli e rinunciatari e per questo destinati all’insuccesso. Questi ultimi appaiono goffi e ridicoli anche nei rapporti interpersonali, mentre i lottatori risultano brillanti nella vita sociale, ma per puro istinto, senza l’apporto della ragione o di particolari doti intellettuali.
A differenza che nel filosofo, però, in Svevo manca qualsiasi spirito eroico: il suicidio di Alfonso, in Una vita, non solo contraddice la tenace resistenza morale predicata da Schopenhauer, ma riafferma la debolezza umana.

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La visione di Schopenhauer si incrocia con le tesi di Charles Darwin (1809-1882) sulla selezione naturale, che Svevo applica alla sfera sociale per interpretare i rapporti tra il singolo e la comunità in cui vive: nei suoi romanzi vi è sempre un personaggio inadatto alla competizione che soccombe all’antagonista vincente (Macario in Una vita, Stefano Balli in Senilità, Guido Speier nella Coscienza di Zeno). Si tratta però di una vittoria apparente: come vedremo nella Coscienza di Zeno, la presunta “sanità” coincide spesso con l’ottuso conformismo, mentre una condizione disadattata, se accompagnata dalla consapevolezza e dalla capacità di accettarla con ironia, può garantire una maggiore libertà nell’osservare il mondo e la vita.

Per Svevo infatti l’uomo moderno è costretto a misurarsi con le drammatiche conseguenze dello sviluppo della civiltà industriale e con le dinamiche sociali ed economiche interne alla società capitalistica illustrate da Karl Marx (1818-1883). Anche in questo caso però la conoscenza e la vicinanza di Svevo al pensiero del filosofo (ne è testimonianza, tra l’altro, la sua collaborazione a una delle più importanti riviste del socialismo italiano, “Critica sociale”) non implicano un’adesione: il marxismo viene accettato come prospettiva per studiare i meccanismi psicologici alienanti che incidono sulla personalità dell’individuo, ma non come proposta sociale o come teoria rivoluzionaria.

Alla stessa maniera Svevo riprende dalla filosofia di Friedrich Nietzsche (1844-1900) la critica implacabile dei valori borghesi, ma non l’esaltazione della volontà di potenza: non a caso egli si mostrerà del tutto indifferente alle interpretazioni superomistiche ed estetizzanti del pensiero del filosofo tedesco elaborate da d’Annunzio e da una parte della cultura italiana del tempo.

A incidere maggiormente sulla sua visione dell’esistenza è però la conoscenza della psicanalisi. Le teorie di Sigmund Freud (► p. 31), apprese nel 1908 e approfondite a partire dal 1911, si riverberano nel romanzo La coscienza di Zeno, ma l’indagine dell’interiorità è un tratto che caratterizza anche la fase precedente della produzione sveviana. Il medico viennese fornisce all’autore una serie di tecniche utili per rivelare le ambiguità e le tortuosità della psiche umana, per studiare l’inconscio ed esplorare in profondità i processi mentali attraverso i quali ogni persona maschera, mistifica e giustifica i propri comportamenti.
La psicanalisi costituisce dunque uno straordinario strumento di conoscenza per scandagliare le stratificazioni della coscienza e le ingannevoli costruzioni della memoria, ma ciò non significa che essa si riveli un valido sistema terapeutico. In fondo, Svevo è convinto che Freud e i suoi metodi curino i “malati” sbagliati: coloro che sanno di esserlo, ma non coloro che pensano di essere sani ma non lo sono, ottusi e normalizzati senza nemmeno rendersene conto.

Al cuore della letteratura - volume 6
Al cuore della letteratura - volume 6
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