Il primo Novecento – L'autore: Italo Svevo

temi nel tempo

Tra carte e scartoffie.
La figura dell’impiegato nella letteratura

Svevo, Balzac, Zola, Kafka e altri ancora sono autori accomunati dalla necessità di doversi guadagnare da vivere con lavori da impiegato, per integrare le magre entrate del mestiere di scrittore. L’esperienza dell’ufficio ha spesso ispirato romanzi e racconti ambientati appunto tra banche, aziende e ditte commerciali.

Il fantasma dell’impiegato
Una delle prime e più significative testimonianze è dello scrittore russo Nikolaj Gogol’ (1809-1852, immagine a fianco), il quale nel racconto Il cappotto (1842) narra di un impiegato ministeriale mite e solitario, Akakij Akakievič, spesso preso di mira dai colleghi. Il poveruomo deve lavorare un anno per potersi far confezionare un cappotto nuovo, che però non potrà godersi, poiché la sera stessa del giorno in cui lo indossa per la prima volta gli viene sottratto da un ladro. L’uomo muore di freddo, ma il suo fantasma si vendicherà di tutti i soprusi subiti in vita.

Travet, l’impiegato simbolo di una condizione sociale
Il piemontese Vittorio Bersezio (1828-1900, immagine a fianco), nella commedia dialettale Le miserie d’monsù Travet (Le miserie del signor Travet, 1863), mette in scena la figura di Travetti, un impiegato anonimo ma dignitoso, che diventerà presto simbolo di una condizione sociale e della relativa mentalità: il suo cognome nella sua storpiatura dialettale (travet in piemontese significa «travicello») si trasformerà infatti, per antonomasia, in un termine dal significato di “impiegato di rango modesto e mal retribuito”.

Impiegati novecenteschi
Impiegato alle Ferrovie è stato, all’inizio del Novecento, il senese Federigo Tozzi (1883-1920, immagine a fianco), che da quel vissuto trarrà il romanzo autobiografico Ricordi di un impiegato (pubblicato postumo nel 1927). Il lavoro meccanico e ripetitivo determina nel protagonista, Leopoldo Gradi, una dolorosa condizione di disagio: «Passo i giorni in un’angoscia, che non ha rimedio. Sono irritabilissimo anche. Non imparo bene quel che devo fare». Ma proprio questo lavoro rappresenta per il narratore un passo fondamentale per prendere coscienza di sé stesso e del mondo.

Il lombardo Giuseppe Pontiggia (1934-2003) dopo il liceo lavora come impiegato di banca. A questa precoce esperienza si ispira il suo primo breve romanzo, La morte in banca (1959), sulla crisi morale di un giovane intellettuale avviato a una mortifera carriera impiegatizia.
Citiamo infine Paolo Villaggio (n. 1932), l’attore e scrittore comico genovese autore di romanzi umoristici tra cui Fantozzi (1971) e Il secondo tragico libro di Fantozzi (1974). Il suo personaggio, il ragionier Ugo Fantozzi, impiegato servile e impacciato, soggetto a ogni sorta di frustrazioni e a umiliazioni paradossali e grottesche, diventa celebre attraverso i film tratti dai libri, a partire dal primo Fantozzi (1975). Fantozzi è diventato una sorta di maschera contemporanea, tanto che “fantozziano” è ormai un aggettivo di uso comune nel significato di “goffo”, “sfortunato”, “tragicomico”.

Al cuore della letteratura - volume 6
Al cuore della letteratura - volume 6
Dal Novecento a oggi