Il genio dietro una banale normalità
Le biografie dei letterati possiedono talvolta l’aspetto dei romanzi. Passioni travolgenti, amori disperati, personalità forti e contrastate, esistenze avventurose: non è raro, così, imbattersi nello stereotipo del letterato-personaggio, eroe disperato, tragico e spesso in lotta con il proprio tempo. Per quanti sforzi si possano fare, un tale modello non può riferirsi alla figura di Ettore Schmitz, alias Italo Svevo.
Pur con il rispetto e l’ammirazione che si devono a uno dei più importanti narratori del Novecento, non si può che sottoscrivere la descrizione che ha dato della sua esistenza uno scrittore di oggi, Alessandro Piperno: «un manifesto della banalità borghese: accidiosa e laboriosa a un tempo, opportunista, comoda, cinica, priva di impennate, di eroismi, di istanti di autentico pathos».
Un ritratto fuorviante
Basterebbe forse affidarsi alle tante fotografie che lo ritraggono per farsi un’idea della sua vita e del suo carattere: questo impiegato di banca che, come un tipico arrampicatore sociale, diventa un ricco industriale attraverso il matrimonio, ci appare sempre con l’aspetto di un baffuto e opulento borghese immerso nella quiete dorata del proprio salotto. La sigaretta, la partita a tennis, i bagni termali, la passioncella per il violino e l’hobby della scrittura come un passatempo necessario, un ingrediente di una quotidianità senza rischi.
Né per riscattare l’immagine di questo conformismo ci si può appigliare alle testimonianze dei pochi letterati che lo hanno frequentato, perché il ritratto che essi danno di Ettore Schmitz è ben poco edificante. Persino Roberto Bazlen, l’influente intellettuale triestino che ha contribuito alla sua scoperta alla metà degli anni Venti, lo descrive come «stupido, egoista, calcolatore, senza tatto».
Eppure quest’uomo che ha sempre cercato di nascondersi, appagato in apparenza dalle comodità domestiche, in realtà ha depistato tutti, nascondendo sotto la superficie della mediocrità la sua impassibile e tenace investigazione dell’interiorità degli individui.
E rimane un segreto come un borghese qualunque e tanto a suo agio nella ritualità un po’ snob del benessere mercantile sia stato capace di coltivare fino all’ultimo, sotto le false sembianze del dilettante, una dissacrante e sovversiva attività di profondo, impietoso e sorprendente indagatore della coscienza collettiva.