Al cuore della letteratura - volume 6

Il secondo Novecento e gli anni Duemila – L'opera: Scritti corsari

 T5 

Il romanzo delle stragi


Il capitolo 14 novembre 1974. Il romanzo delle stragi è uno dei più celebri tra gli Scritti corsari, nonché in assoluto uno dei testi più noti di Pasolini. In esso emerge il coraggio di una denuncia aperta e diretta delle responsabilità politiche negli attentati terroristici che in quegli anni insanguinavano il paese.

Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe1 (e che in realtà è
una serie di golpes istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano2 del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna3 dei primi mesi
5 del 1974.
Io so i nomi del «vertice» che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori
di golpes, sia i neofascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli «ignoti»
autori materiali delle stragi più recenti.
Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione:
10 una prima fase anticomunista (Milano 1969), e una seconda fase antifascista
(Brescia e Bologna 1974).
Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l’aiuto della CIA4 (e in second’ordine
dei colonnelli greci5 e della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente
fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il 1968, e in seguito, sempre
15 con l’aiuto e per ispirazione della CIA, si sono ricostituiti una verginità antifascista,
a tamponare il disastro del referendum.6
Io so i nomi di coloro che, tra una messa e l’altra,7 hanno dato le disposizioni
e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva,
l’organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neofascisti, anzi
20 neo–nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine a criminali
comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la
successiva tensione antifascista). Io so i nomi delle persone serie e importanti che
stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava,
alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano),
25 o a dei personaggi grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli.8

 >> pag. 1001 

Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi
che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no,
che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui
30 si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò
che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che
non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi
35 disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce
la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero.
Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell’istinto del mio mestiere. Credo che
sia difficile che il mio «progetto di romanzo»9 sia sbagliato, che non abbia cioè
attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti.
40 Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri sappiano ciò che so io in
quanto intellettuale e romanziere. Perché la ricostruzione della verità a proposito
di ciò che è successo in Italia dopo il 1968 non è poi così difficile.
Tale verità – lo si sente con assoluta precisione – sta dietro una grande quantità
di interventi anche giornalistici e politici: cioè non di immaginazione o di finzione
45 come è per sua natura il mio. Ultimo esempio: è chiaro che la verità urgeva, con
tutti i suoi nomi, dietro all’editoriale del «Corriere della Sera», del 1° novembre
1974. 10
Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno,
degli indizi.
50 Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove
e certamente degli indizi, non fanno i nomi.
A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il
necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e,
inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale.
55 Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei nomi:
ma egli non ha né prove né indizi.
Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col
potere, ha escluso gli intellettuali liberi – proprio per il modo in cui è fatto – dalla
possibilità di avere prove ed indizi.
60 Mi si potrebbe obiettare che io, per esempio, come intellettuale, e inventore di
storie, potrei entrare in quel mondo esplicitamente politico (del potere o intorno
al potere), compromettermi con esso, e quindi partecipare del diritto ad avere, con
una certa alta probabilità, prove ed indizi.
Ma a tale obiezione io risponderei che ciò non è possibile, perché è proprio la
65 ripugnanza ad entrare in un simile mondo politico che si identifica col mio potenziale
coraggio intellettuale a dire la verità: cioè a fare i nomi.

 >> pag. 1002 

Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili
in Italia.
All’intellettuale – profondamente e visceralmente disprezzato da tutta la borghesia
70 italiana – si deferisce11 un mandato falsamente alto e nobile, in realtà servile:
quello di dibattere i problemi morali e ideologici.
Se egli vien meno a questo mandato viene considerato traditore del suo ruolo:
si grida subito (come se non si aspettasse altro che questo) al «tradimento dei
chierici». 12 Gridare al «tradimento dei chierici» è un alibi e una gratificazione per i
75 politici e per i servi del potere.
Ma non esiste solo il potere: esiste anche un’opposizione al potere. In Italia
questa opposizione è così vasta e forte, da essere un potere essa stessa: mi riferisco
naturalmente al Partito comunista italiano.
[…]
Di conseguenza gli uomini politici di tale opposizione non possono non comportarsi
80 anch’essi come uomini di potere.
Nel caso specifico, che in questo momento così drammaticamente ci riguarda,
anch’essi hanno deferito all’intellettuale un mandato stabilito da loro. E, se l’intellettuale
viene meno a questo mandato – puramente morale e ideologico – ecco che
egli è, con somma soddisfazione di tutti, un traditore.
85 Ora, perché neanche gli uomini politici dell’opposizione, se hanno – come
probabilmente hanno – prove o almeno indizi, non fanno i nomi dei responsabili
reali, cioè politici, dei comici golpes e delle spaventose stragi di questi anni? È semplice:
essi non li fanno nella misura in cui distinguono – a differenza di quanto farebbe
un intellettuale – verità politica da pratica politica.13 E quindi naturalmente,
90 neanch’essi mettono al corrente di prove e indizi l’intellettuale non funzionario:14
non se lo sognano nemmeno, com’è del resto normale, data l’oggettiva situazione
di fatto.
L’intellettuale deve continuare ad attenersi a quello che gli viene imposto come
suo dovere, a iterare15 il proprio modo codificato16 di intervento.
95 Lo so bene che non è il caso – in questo particolare momento della storia italiana
– di fare pubblicamente una mozione di sfiducia contro l’intera classe politica.
Non è diplomatico, non è opportuno. Ma queste sono categorie della politica, non
della verità politica: quella che – quando può e come può – l’impotente intellettuale
è tenuto a servire.
100 Ebbene, proprio perché io non posso fare i nomi dei responsabili dei tentativi
di colpo di Stato e delle stragi (e non al posto di questo) io non posso non pronunciare
la mia debole e ideale accusa contro l’intera classe politica italiana.
E lo faccio in quanto io credo alla politica, credo nei principi «formali» della
democrazia, credo nel parlamento e credo nei partiti. E naturalmente attraverso la
105 mia particolare ottica che è quella di un comunista.
Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto altro che
questo) solo quando un uomo politico – non per opportunità, cioè non perché
sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la possibilità di tale momento –

 >> pag. 1003 

deciderà di fare i nomi dei responsabili dei colpi di Stato e delle stragi, che evidentemente
110 egli sa, come me, ma su cui, a differenza di me, non può non avere prove,
o almeno indizi.
Probabilmente – se il potere americano lo consentirà17 – magari decidendo
«diplomaticamente» di concedere a un’altra democrazia ciò che la democrazia
americana si è concessa a proposito di Nixon18 – questi nomi prima o poi saranno
115 detti. Ma a dirli saranno uomini che hanno condiviso con essi il potere: come
minori responsabili contro maggiori responsabili (e non è detto, come nel caso
americano, che siano migliori). Questo sarebbe in definitiva il vero colpo di Stato.

      Dentro il testo

I contenuti tematici

La vocazione all’impegno, a una critica alla società italiana e alle sue storture, porta Pasolini a pronunciare un durissimo atto d’accusa contro la classe politica al potere, responsabile – a suo modo di vedere – delle stragi della cosiddetta “strategia della tensione”. Con questa espressione ci si riferisce a una serie di attentati (a partire dalla fine del 1969) nei quali furono forse coinvolti anche i servizi segreti italiani e quelli di altri paesi alleati (soprattutto gli Stati Uniti). Tali azioni terroristiche erano volte a creare, nella società italiana, incertezza, paura, tensione appunto, per scoraggiare le crescenti prospettive di cambiamento sociale e politico (va ricordato che risalgono a pochi mesi prima l’autunno caldo nelle fabbriche e la contestazione studentesca).
Lo scrittore afferma di conoscere i nomi dei mandanti dei vari tentati golpe e delle bombe fatte esplodere in Italia dal 1969 (12 dicembre, la strage di piazza Fontana a Milano) in poi (28 maggio 1974 la strage di piazza della Loggia a Brescia; 4 agosto 1974 quella del treno Italicus, il Roma–Brennero, nei pressi di San Benedetto Val di Sambro, in provincia di Bologna). Si tratterebbe, per Pasolini, di una prima fase organizzata per contrastare l’avanzata del Partito comunista (la strage di Milano del 1969) e di una seconda messa in atto per arrestare la crescita di consensi popolari verso la destra missina (le due stragi del 1974).

Lo scrittore sa, ma non ha né proveindizi: sa perché è un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero (rr. 32–36). È questa una straordinaria definizione di che cosa sia, o – meglio – dovrebbe essere, un intellettuale: una persona attenta, partecipe della vita collettiva (sul piano sociale, civile, politico), impegnata e coraggiosa.

 >> pag. 1004 

Ma in Italia – polemizza Pasolini – il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili (rr. 67–68): agli intellettuali si richiede per lo più di occuparsi di cultura in senso “alto”, e dunque generico, mentre ogni sconfinamento nel campo politico viene visto quasi come un tradimento; ma in tal modo il loro è un mandato falsamente alto e nobile, in realtà servile (rr. 70–71), in quanto succube del potere che concede un limitato raggio d’azione.

Eppure c’è qualcun altro che sa quei nomi, oltre a Pasolini, e che, a differenza di lui, possiede anche prove o quanto meno indizi. Lo scrittore si riferisce ai giornalisti e ai politici.
Nei confronti di questi ultimi – in particolare quelli dei partiti, anzi del principale partito di opposizione, il Pci – l’attacco dello scrittore è molto duro: in Italia l’opposizione è così vasta e forte, da essere un potere essa stessa (r. 77); così essa «si identifica con un altro potere: che è tuttavia sempre potere». Di conseguenza gli uomini politici di tale opposizione non possono non comportarsi anch’essi come uomini di potere (rr. 79–80). L’accusa al Partito comunista italiano, insomma, è quella di consociativismo ► e, in definitiva, di omertà.

Le scelte stilistiche

Lo stile del brano è solenne, come se a parlare fosse una sorta di profeta o di pubblico accusatore, che non teme di dichiarare a chi lo ascolta verità scomode e sgradevoli. In tale direzione vanno le ripetizioni, a partire dall’anafora* della frase Io so, che si ripresenta per ben undici volte all’inizio di altrettanti capoversi consecutivi. Tale modulo iterativo contribuisce a sottolineare, in un modo che vuole essere perentorio e indiscutibile, l’autorevolezza e l’attendibilità dello scrittore, il quale rivendica per sé un ruolo di denuncia sul terreno politico e sociale: è come se al lettore non fosse più lecito dubitare in merito a verità proclamate quasi da una cattedra o da un pulpito laico.

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Su quali basi Pasolini afferma di conoscere i nomi dei responsabili delle stragi?


2 Come vengono descritti i politici? Perché, secondo Pasolini, nemmeno gli esponenti del Pci fanno i nomi dei responsabili delle stragi?


3 Quale sarebbe per lo scrittore il vero colpo di Stato (r. 117)?


4 Qual è il principale bersaglio dell’accusa pasoliniana?


ANALIZZARE

5 Individua nel testo altre ripetizioni oltre a quelle segnalate nell’analisi. Qual è il loro scopo?


6 Come descriveresti le scelte sintattiche?


INTERPRETARE

7 Qual è il messaggio profondo che Pasolini ti sembra voglia trasmettere in questo capitolo degli Scritti corsari?


PRODURRE

8 Nella nostra analisi abbiamo riflettuto sulla definizione pasoliniana di intellettuale. Ti sembra che nella società di oggi, in Italia e più in generale nel mondo, esistano figure simili? Se sì, chi sono? Se no, per quale motivo a tuo avviso non si trovano? Argomenta la tua risposta in circa 30 righe.


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