Il secondo Ottocento – L'autore: Giosuè Carducci

L’AUTORE NEL TEMPO

Carducci contro tutti
Da qualche decennio a questa parte l’opera di Carducci viene identificata da numerosi critici come il nostalgico residuo di una tradizione scolastica dal sapore un po’ stantio.
Divenuto retorico e “illeggibile” a causa della strumentalizzazione che il fascismo opera proclamandolo il poeta della “Terza Roma” (cioè quella dell’Italia unita, dopo la “prima” imperiale e la “seconda” cristiana), Carducci è indigesto anche a molti letterati del suo tempo. Un’avversione dichiarata gli riserva Gabriele d’Annunzio, che pure da giovane si è considerato suo allievo. Più strisciante, ma non meno netta polemica gli indirizza Giovanni Pascoli, il quale, pur avendo ereditato da lui la cattedra bolognese di Letteratura italiana, conia l’aggettivo “carduccioso” come sinonimo di pedante e noioso e vuole trasmettere di sé stesso un’immagine ideale di poeta (non certo «oratore o predicatore, non filosofo, non istorico, non maestro», come è stato Carducci) decisamente distante da quella del maestro.

Quando Carducci egemonizzava le antologie
Tali stroncature non riescono tuttavia a incidere sul prestigio che Carducci ha già acquistato a partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento grazie alla miriade di discepoli e ammiratori che hanno visto nella sua opera il modello più alto di classicismo.
Il veicolo più autorevole per legittimare l’onnipresenza carducciana nell’insegnamento scolastico per tutta la prima metà del Novecento è, come abbiamo già rilevato, Benedetto Croce, il quale riconosce il primato di Carducci come «poeta della storia» e come artista immune dalla “malattia” decadente.
Manuali e antologie scolastiche accolgono le indicazioni provenienti dai programmi ministeriali (nel 1944 si raccomanda di assegnare un posto preminente a Carducci, valorizzando «il carattere educativo della sua patriottica e umana poesia»), e i versi delle Odi barbare e delle Rime nuove vengono imparati a memoria da intere generazioni di italiani.

Il declino di un «poeta minore»
Di questa diffusa ricezione oggi rimane ben poco. Nel 1949 Natalino Sapegno liquida Carducci come un «poeta minore», ideologicamente ancorato a un conservatorismo infarcito di nazionalismo e a un formalismo certo prezioso, ma troppo angusto e provinciale. Qualche critico di rilievo, ancora nel cuore degli anni Cinquanta, prova a rivalutare almeno una parte della sua produzione: tra gli altri, Luigi Russo (al quale spetta il merito di aver fornito la lettura di un Carducci romantico alternativa a quella crociana di un Carducci classico), Giovanni Getto e Umberto Bosco, che mettono in luce non più la componente politico-morale dei suoi versi, ma quella più dimessa e nostalgica, non priva di vibrazioni sentimentali ed emotive. Ma il ridimensionamento è ormai avvenuto e perfino nella scuola, «tradizionale santuario della sua fortuna» (Baldi), la parabola discendente non si arresta più.

Carducci oggi, senza apologie o preclusioni
I motivi del deprezzamento critico toccato al poeta sono diversi, ma un peso notevole hanno avuto, senza dubbio, le ragioni politiche. Così ha scritto Walter Binni in un saggio del 1960: «Perduto il fascino più vicino di quella forte personalità e cambiata in dissenso la consonanza di gusto più generale con la sua poesia, gli uomini della mia generazione motivarono la loro educazione antifascista e il loro stesso spirito nazionale e laico su tutt’altri esempi giungendo magari sino ad un’eccessiva aperta accusa del vate crispino e monarchico come primo creatore di molti “slogans” nazionalistici della dittatura».
Vi è stato, insomma, un eccesso di ideologismo alla base della critica dell’opera di Carducci, che invece gli ultimi studi (da quelli di Raffaele Sirri a quelli di Mario Saccenti) e nuove indagini critico-filologiche (come quelle di Emma Giammattei e Francesco Ursini) hanno permesso di rileggere in una prospettiva storico-culturale più obiettiva ed equilibrata.

Al cuore della letteratura - volume 5
Al cuore della letteratura - volume 5
Il secondo Ottocento