La critica alla modernità

Il secondo Ottocento – L'autore: Giosuè Carducci

La critica alla modernità

L’avversione di Carducci nei confronti del Romanticismo nasce dalla sua concezione della letteratura come prodotto del genio nazionale, vale a dire come attività legata non esclusivamente a istanze soggettive e individuali, ma a situazioni concrete e a vicende storiche e collettive.
Se da una parte egli esprime nei suoi versi l’ondeggiare dei propri sentimenti, il desiderio di evasione, il culto di un’arte di disinteressata bellezza, la necessità di una poesia pura e perfino contemplativa (molti critici hanno parlato, a tale proposito, di un parnassianesimo ► carducciano), dall’altra egli non manca mai di avvertire la realtà nelle sue esigenze più materiali e immediate, perfino contingenti, legate cioè a pulsioni effimere e a vicende di stretta attualità (molte sue poesie sono ispirate da motivi occasionali, tratti perfino dalla cronaca politica, sociale e di costume).

Letteratura e vita sono per Carducci strettamente intrecciate: la prima, calata nella dimensione del presente, documenta il tragico sfiorire delle speranze e delle illusioni della seconda. In tal modo, affiorano spesso nei suoi versi il disgusto verso la modernità, la percezione dell’ineluttabile trascorrere e scomparire delle cose belle e degli affetti autentici e il venir meno di miti e sogni svaniti a contatto con il grigiore quotidiano. La fantasia eroica di un mondo idealizzato, fatto di bellezza e solennità, si scontra – in poesie come Dinanzi alle terme di Caracalla, Fuori alla Certosa di Bologna e Alla stazione in una mattina d’autunno► T6, p. 74) – con un presente mortificante che turba ogni sentimento nobile e vitale, soffocandolo nei ritmi, nei suoni e nei gesti meccanici e insensati della vita moderna.
Nella poesia di Carducci si registra così una costante struttura oppositiva (delineata apertamente in una poesia giovanile come Maggio e novembre), che vede da un lato la solarità di tempi che «fiorian di primavera», quando, a stretto contatto tra loro, amore e poesia trasfiguravano il mondo, arricchendolo di energia morale; dall’altro l’inerzia e il disinganno di un inverno che ora regna sugli uomini.

Abbandonato l’impeto della prima produzione, il poeta esprime il proprio conflitto con il mondo esibendo una solitudine malinconica, confortata solo dalla capacità della letteratura di tenere in vita la bellezza e il ricordo della Storia. Nella società moderna, che condanna all’emarginazione i poeti, Carducci ripropone come unica soluzione quella di scrivere di cose ed eventi lontani nel tempo, per ricavare la lezione sempre attuale delle grandi azioni e delle belle idee che hanno mosso il mondo.
A queste idee e vigore degli uomini del passato dovrebbero ispirarsi gli italiani, ma l’auspicio, nel momento stesso in cui viene formulato, appare già utopistico: il dialogo con le ombre dei padri o lo stupore che emerge dalla millenaria grandezza della Roma antica diventano amare suggestioni appena ci si guarda intorno e si scorgono le piccole cose degli «uomini novelli», impigriti dal cristianesimo, omologati dalla stupidità imperante e svuotati di ogni autentica passione.

Al cuore della letteratura - volume 5
Al cuore della letteratura - volume 5
Il secondo Ottocento