Il paesaggio e la memoria

Il secondo Ottocento – L'autore: Giosuè Carducci

Il paesaggio e la memoria

L’immagine pubblica di Carducci – il “poeta professore”, l’interprete dei valori nazionali, l’autore di versi storico-celebrativi – convive con quella, più privata, desiderosa di esprimere tematiche intime e personali. In effetti, la componente autobiografica è centrale in buona parte della sua produzione, che oscilla tra immagini contrapposte dell’esistenza, in una continua alternanza di sentimenti: ora gioiosi e vitali, ora lugubri e angosciosi.
Fondamentali nel suscitare una tanto accentuata vocazione all’emotività sono soprattutto il rapporto con il passato, la nostalgia della giovinezza, il vagheggiamento malinconico del paesaggio maremmano. Sull’elemento paesistico, in particolare, il poeta indugia volentieri, rappresentando la natura in forme di grande ed efficace concretezza raffigurativa, piuttosto inusuale nella tradizione lirica italiana, spesso caratterizzata dalla stilizzazione tipica delle descrizioni petrarchesche.

La natura viene vista da Carducci come un regno dell’armonia e dell’equilibrio, non toccato dalla corruzione e dalla malattia imperanti nella città moderna. Non a caso essa è osservata sempre a distanza temporale, proiettata in un passato che esiste solo nel ricordo, in un’adolescenza sana e vitale non ancora insidiata dal «malor civile» (Idillio maremmano) del presente. La felicità selvaggia, di cui è specchio la natura solare ed esuberante della Maremma toscana frequentata in gioventù, può rivivere solo come una dolce e felice memoria che invita il poeta (come fanno i cipressi di Davanti San Guido) a riassaporare l’incanto di un tempo e a placare nelle gioie del sogno le «eterne risse» della quotidianità cittadina.

Tuttavia questo allettamento della natura finisce per alimentare in Carducci il paragone con la dura coscienza della realtà, cosicché l’immagine dei luoghi dell’infanzia si traduce nel doloroso confronto con ciò che è stata, veramente, la sua vita: di qui lo smarrimento per le speranze cadute, per la vecchiaia che avanza, per la tristezza che avviluppa ora la sua esistenza. In tal modo il paesaggio, luogo congeniale alla sua fanciullezza impetuosa e ribelle, mito sentimentale e fantastico della sua ispirazione poetica, finisce per rivelarsi un’illusione o uno scherzo dell’immaginazione, a poco a poco vanificato dalla realtà del presente e da un pessimismo crescente.

L’ambientazione non si risolve perciò in Carducci nella sola descrizione realistica o nel semplice dato estetico, ma allude sempre a una condizione dell’anima e a una rassegnata riflessione sulla Storia: le immagini ricorrenti dell’inverno e del tramonto trasmettono il senso cupo di un destino incombente e di una nuova e declinante stagione della vita, della poesia e della civiltà tutta. E allora ecco che la stessa natura in molte poesie carducciane (quali, per esempio, Nevicata o Presso una Certosa, rispettivamente nelle Odi barbare e nelle Rime e ritmi) si anima di simboli funerei e di malinconici silenzi, preannuncio commosso del nulla che incombe. Al paesaggio, in questi casi per lo più oscuro, nebbioso e autunnale, viene affidato il compito di incarnare lo stato d’animo del poeta, che sente avvicinarsi l’impietosa e ineluttabile legge della morte.

Al cuore della letteratura - volume 5
Al cuore della letteratura - volume 5
Il secondo Ottocento