Il classicismo malinconico

Il secondo Ottocento – L'autore: Giosuè Carducci

Il classicismo malinconico

Sulla fruizione odierna dell’opera letteraria di Carducci grava – per paradosso – il giudizio del critico a cui pure si deve la sua fortuna per una buona parte del Novecento: Benedetto Croce. Oltre alla passione etica e civile, Croce esaltava nel temperamento poetico di Carducci l’«integra umanità» e il rifiuto dei sentimenti cantati dai poeti decadenti, intrisi di ossessioni e voluttà. Nel poeta maremmano era possibile, secondo il critico, individuare gli antidoti alla «vaga fantasticheria» e alla morbosa ansia di trascendenza o di misticismo della poesia romantica: la sua tempra psicologica, robusta e immune da sterili abbandoni lacrimosi, doveva essere offerta alle giovani generazioni come un esempio carico di messaggi nobili e positivi.

Non c’è dubbio che Carducci rifiuti in linea teorica i motivi e le espressioni del nascente Decadentismo, a cui oppone la fedeltà ai dettami del classicismo, assunti sia sul piano dello stile (sempre di straordinaria perfezione formale; attento allo scrupoloso rispetto delle regole, delle tecniche e degli imprescindibili modelli proposti dalla tradizione letteraria; contrario alla soluzione della lingua manzoniana, giudicata bassa e plebea), sia su quello dei contenuti e, per così dire, dell’atteggiamento. Assumere il ruolo di «scudiero dei classici», come egli stesso ha voluto definirsi, non significa per lui limitarsi a una scolastica imitazione dei grandi autori del passato, né tanto meno scorgere in essi lo strumento di un’umanistica evasione dalla realtà: l’antico non è per Carducci «archeologia, ma energia vitale e spirituale che periodicamente rinasce, e grazie alla voce dell’arte rianima il corso della civiltà» (Finotti).

Lungi dall’essere un’operazione esclusivamente formale, il classicismo carducciano costituisce una strategia programmatica e ideologica, un’arma contro le forme più “sentimentali” del tardo Romanticismo e una vibrante aspirazione alla dignità, alla misura e al decoro. Egli individua nell’antichità greco-romana un’epoca di solidi valori morali, politici ed estetici, rimpianti con sconsolata nostalgia, in contrasto con la debolezza interiore e la vaga religiosità deprecate nello spirito romantico.

Tuttavia, proprio la consapevolezza della distanza di quel modello e dell’impossibilità di trapiantarlo in un mondo contemporaneo corrotto e privo di nobili ideali genera in Carducci e nella sua poesia un sentimento di malinconica inquietudine, uno stato d’animo improntato a tristezza, che potremmo definire (suo malgrado) decadente, una dolorosa meditazione sulla morte, resa in molti versi (specie quelli raccolti in Rime nuove) con toni e colori cupi che contrastano con la luminosa solarità delle sue più tipiche immagini poetiche.

Proprio questa ambivalenza rappresenta, specie negli anni della maturità, una componente assai importante e moderna – messa in rilievo solo negli ultimi decenni dalla critica, per molto tempo appiattita sullo stereotipo crociano – della produzione di Carducci, che non rinuncia a far convivere la sua ispirazione civile con una precoce percezione della crisi epocale della Storia e della stessa poesia.
Da tale sensibilità, filtrata da suggestioni acutissime e da un turbamento quasi decadente, nascono le tipiche contrapposizioni presenti in molti suoi versi: tra la vita e la morte, tra la luce e il buio, tra il passato e il presente, tra una lucente e spesso ostentata compostezza e il freddo sgomento che lo attanaglia, non molto diverso dallo spleen di Baudelaire.

Al cuore della letteratura - volume 5
Al cuore della letteratura - volume 5
Il secondo Ottocento