Il secondo Ottocento – L'autore: Gabriele d’Annunzio

CLASSICI a confronto

Pascoli e d’Annunzio

I più importanti rappresentanti del Decadentismo italiano, Pascoli e d’Annunzio, furono legati da un rapporto reciproco di odio e amore. Molto diversi per indole e temperamento, a prima vista assai distanti anche per scelte ideologiche e poetiche, essi rivelano, a un esame più approfondito, molti più punti di contatto di quanto appaia a prima vista.

La rivalità tra due “primedonne”

In effetti, sono proprio l’ambivalenza e la contraddizione a costituire la sostanza della relazione umana e intellettuale tra Pascoli e d’Annunzio. Li uniscono attestati di stima e ammirazione (Pascoli definisce il rivale il «Massimo », l’«Unico», l’«insuperabile Stesichoros», paragonandolo a un famoso poeta della Grecia antica), dediche apposte alle loro opere (celebre quella presente nel Commiato, la poesia che chiude Alcyone) e, nel caso di d’Annunzio, anche un commosso elogio funebre del collega (pubblicato nel 1912, nel volume Contemplazione della morte); li dividono polemiche che infiammano la società letteraria del tempo.
A Firenze, nel 1900, una lettura dantesca nella chiesa di Orsanmichele viene affidata a d’Annunzio e non a Pascoli, certo migliore dantista, che scrive alla rivista “Il Marzocco”: «Come potrò piacere alle dame, e perciò alla gente, senza un po’ di sport? Ché lo sport è ormai necessario allo scrittore, oh!, più dell’ingegno! Più dello studio! E anzi si può dire che la letteratura sia essa tutto uno sport; una cavalcata in frak rosso». La risposta all’attacco pascoliano («degno di una donnetta inacidita e pettegola») da parte di d’Annunzio, punzecchiato per il suo debole per le donne e i cavalli, non si fa attendere: «È noto che, tra i letterati d’Italia, io ho il gusto di cavalcare a caccia e di arrischiare il mio bel cranio contro le staccionate della Campagna romana; come è noto che tu hai il gusto – egualmente rispettabile – di rimaner su la ciambella, di centellinare il fiasco, di curare la stitichezza del tuo cagnolino».

Il fanciullino e il superuomo

Contrasti personali a parte, Pascoli e d’Annunzio tratteggiano due modelli di poeta apparentemente divergenti: il primo delinea nel fanciullino una figura di veggente, che scopre la poesia nelle piccole cose, viste sempre con meraviglia, come se fosse la prima volta; il secondo invece aspira a incarnare il superuomo, il vate che orienta i gusti della massa, il poeta orfico che dà parola alle cose.
In realtà, entrambe queste concezioni costituiscono una soluzione che cerca di risarcire l’intellettuale della perdita di significato e di prestigio nella società moderna. Pascoli e d’Annunzio, il primo professando una solidarietà umanitaria e il secondo rivendicando il disprezzo per gli uomini comuni, danno vita a modelli letterari e culturali speculari nel sottolineare il valore magico e taumaturgico della parola e nel concepire l’attività poetica come un privilegio riservato ad anime elette, che sanno esprimere compiutamente il proprio io, distinguendosi dagli altri.

Due repertori tematici antitetici

Dalle poetiche dei due autori derivano poi tutte le differenze, di natura tematica e letteraria. In stretta correlazione con i bisogni e le aspirazioni del fanciullino, ma anche con la sua personale condizione psicologica, Pascoli canta il «nido», gli affetti familiari, l’infanzia: tutti miti difensivi grazie ai quali può trovare protezione e rifugio dal caos e dalla violenza del mondo esterno. D’Annunzio, invece, ricava dalla propria ideologia aristocratica la volontà di potenza, l’esigenza edonistica del piacere, il culto estetizzante della bellezza, il vitalismo, la disponibilità a sperimentare senza riserve ogni aspetto dell’esistenza.

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La diversa concezione della natura

Come abbiamo visto, anche il panismo nasce dalla ricerca di un godimento assoluto e dalla volontà di assaporare i «frutti terrestri»: il rapporto con la natura comporta in d’Annunzio la necessità di spogliarsi di ogni limite umano per risalire alle sorgenti mitiche della vita.
Mentre in lui l’identificazione con il paesaggio coincide con l’aspirazione a coglierne i palpiti attraverso i sensi, per Pascoli il mondo naturale va esplorato per ricavarne un’impalpabile verità, per ascoltare e percepire le cose misteriose che «sfuggono alla nostra ragione».

Le differenze nello stile

Tali visioni della natura incidono molto anche sulle scelte stilistiche: Pascoli tenta di rivelare la vita sotterranea delle cose grazie ai suoni e ai simboli, aprendosi a un pluristilismo che mescola in un audace intarsio linguistico termini dalla grande forza evocativa e parole umili e quotidiane, che ampliano il repertorio lessicale della lingua poetica italiana.
D’Annunzio concentra invece il proprio sperimentalismo soprattutto in ambito metrico, mentre in ambito lessicale assapora il gusto del raro e del prezioso, accentuando la ricerca di effetti fonici inediti, capaci di enfatizzare la musica sensuale e suggestiva della parola.

Al cuore della letteratura - volume 5
Al cuore della letteratura - volume 5
Il secondo Ottocento