Dolore e sentimento della morte nella fase “notturna”

Il secondo Ottocento – L'autore: Gabriele d’Annunzio

Dolore e sentimento della morte nella fase “notturna”

Oltre all’immagine ufficiale, spettacolarizzata in miriadi di esposizioni eroiche e autocelebrative, d’Annunzio ha manifestato nella vita e nell’opera letteraria anche una più segreta e dolorosa interiorità, che compare – a prima vista stridente e insospettabile – tra le pieghe dell’uomo d’eccezione abituato a indossare esclusivamente gli abiti del vate, dell’eroe, dell’istrione. Questa componente della sua personalità emerge soprattutto durante la vecchiaia e nelle prose autobiografiche che la costellano, ma traspare anche prima, quando una traccia di nichilismo affiora nel vitalismo del superuomo (il tema della malattia e della morte si presenta, per esempio, in romanzi come Giovanni Episcopo e L’innocente).

Non c’è dubbio, tuttavia, che sono proprio gli scritti autobiografici redatti negli ultimi anni a proporre questi aspetti, tipici della cultura decadente: l’ossessione per la vecchiaia, la contemplazione della morte (che è poi, non a caso, il titolo di una raccolta di prose, del 1912), l’esplorazione dell’ignoto, l’immersione nelle tenebre dell’oscurità.
Di questo risvolto della personalità dannunziana offre una testimonianza rivelatrice soprattutto il Notturno, l’originale prosa lirica scritta durante il periodo di convalescenza dopo l’incidente aereo. Qui d’Annunzio sembra rinunciare alle pose eroiche e superomistiche di tanta sua produzione, lirica e oratoria al tempo stesso. La sua voce, liberatasi dagli eccessi retorici, si modula in frammenti sofferti e privi del tipico vitalismo e acquista così un tono naturale, sfumato, diafano con cui esprime il mistero funereo della natura e il rimpianto di una giovinezza perduta per sempre.

Tuttavia, anche in questa posa così debole e stanca, d’Annunzio rimane sempre d’Annunzio. Proprio perché privato del rapporto sensoriale con la realtà, il poeta cerca di scandagliare la propria interiorità, saggiando le inedite sensazioni di chi scopre la nuova fisicità di una «creatura terrestre» insonne e sofferente, che vive – e sente – il proprio corpo costretto in una sorta di letto-bara.
Al mito – sebbene mito rovesciato – egli, insomma, non rinuncia: il “Comandante” senza vista che scrive al buio le sue sensazioni possiede invero la vista lunga del vaticinatore, dell’ oracolo che legge la realtà sotto le apparenze, la scompone e la porge in frammenti ai comuni mortali. La componente sublime dell’arte dannunziana, apparentemente consumata, si mantiene invece intatta: sotto altra veste questo straordinario illusionista della parola conserva gli attributi del poeta artefice e veggente a cui è permesso esprimere ogni esperienza, anche la più oscura.

Al cuore della letteratura - volume 5
Al cuore della letteratura - volume 5
Il secondo Ottocento