di fornire tesori alle sue prodigalità. Ma l’espansion di quella sua forza era la distruzione
in lui di un’altra forza, della forza morale che il padre stesso non aveva
ritegno a deprimere.14 Ed egli non si accorgeva che la sua vita era la riduzion progressiva
35 delle sue facoltà, delle sue speranze, del suo piacere, quasi una progressiva
rinunzia; e che il circolo gli si restringeva sempre più d’intorno, inesorabilmente
se ben con lentezza.
Il padre gli aveva dato, tra le altre, questa massima fondamentale: «Bisogna fare
la propria vita, come si fa un’opera d’arte. Bisogna che la vita d’un uomo d’intelletto
40 sia opera di lui. La superiorità vera è tutta qui».
Anche, il padre ammoniva: «Bisogna conservare ad ogni costo intiera la libertà,
fin nell’ebrezza.15 La regola dell’uomo d’intelletto, eccola: – Habere, non haberi».16
Anche, diceva: «Il rimpianto è il vano pascolo d’uno spirito disoccupato.17 Bisogna
sopra tutto evitare il rimpianto occupando sempre lo spirito con nuove sensazioni
45 e con nuove imaginazioni».
Ma queste massime volontarie,18 che per l’ambiguità loro potevano anche essere
interpretate come alti criterii morali, cadevano appunto in una natura involontaria,19
in un uomo, cioè, la cui potenza volitiva20 era debolissima.
Un altro seme paterno aveva perfidamente fruttificato nell’animo di Andrea: il
50 seme del sofisma.21 «Il sofisma» diceva quell’incauto educatore «è in fondo ad ogni
piacere e ad ogni dolore umano. Acuire e moltiplicare i sofismi equivale dunque
ad acuire e moltiplicare il proprio piacere o il proprio dolore. Forse, la scienza della
vita sta nell’oscurare la verità. La parola è una cosa profonda, in cui per l’uomo
d’intelletto son nascoste inesauribili ricchezze. I Greci, artefici della parola, sono
55 infatti i più squisiti goditori dell’antichità. I sofismi fioriscono in maggior numero
al secolo di Pericle, al secolo gaudioso».22
Un tal seme trovò nell’ingegno malsano del giovine un terreno propizio. A
poco a poco, in Andrea la menzogna non tanto verso gli altri quanto verso sé stesso
divenne un abito così aderente alla conscienza ch’egli giunse a non poter mai essere
60 interamente sincero e a non poter mai riprendere su sé stesso il libero dominio.
Dopo la morte immatura del padre, egli si trovò solo, a ventun anno, signore
d’una fortuna considerevole, distaccato dalla madre, in balia delle sue passioni e
de’ suoi gusti. Rimase quindici mesi in Inghilterra. La madre passò in seconde nozze,
con un amante antico. Ed egli venne a Roma, per predilezione.
65 Roma era il suo grande amore: non la Roma dei Cesari ma la Roma dei Papi;
non la Roma degli Archi, delle Terme, dei Fòri, ma la Roma delle Ville, delle Fontane,
delle Chiese. Egli avrebbe dato tutto il Colosseo per la Villa Medici, il Campo
Vaccino per la Piazza di Spagna, l’Arco di Tito per la Fontanella delle Tartarughe.
La magnificenza principesca dei Colonna, dei Doria, dei Barberini23 l’attraeva assai
70 più della ruinata24 grandiosità imperiale. E il suo gran sogno era di possedere un