L’estetismo dannunziano

Il secondo Ottocento – L'autore: Gabriele d’Annunzio

L’estetismo dannunziano

Il culto della bellezza, la teorizzazione dell’arte per l’arte, l’identificazione di arte e vita sono aspetti che già prima di d’Annunzio avevano segnato la cultura decadente europea di fine secolo e l’opera di poeti simbolisti e parnassiani.
Il poeta interpreta l’Estetismo nella prima fase della sua ricerca artistica, che culmina con la stesura del Piacere: come per molte altre componenti, l’assimilazione di questa poetica nasce da una grande capacità di assorbire linee e indirizzi della cultura europea, rielaborati poi in modo personale. Tutta l’opera di d’Annunzio è infatti caratterizzata da una sorta di saccheggio: egli legge, copia, cita, riprende, accumula espressioni e immagini che trova nei classici latini, nelle raccolte dei poeti italiani delle origini (anche quelli minori) e soprattutto nei testi degli scrittori francesi e inglesi contemporanei.

Immergersi nella letteratura è per d’Annunzio una delle attività che permettono di conservare, come fa dire al protagonista del Piacere, Andrea Sperelli, «intiera la libertà fino all’ebbrezza». La vita, votata al bello, assegna dunque all’arte un valore supremo e assoluto, sottraendosi a ogni condizionamento o vincolo etico. La Bellezza (che andrà scritta con la “B” maiuscola, essendo un concetto personificato e cristallizzato in un mito quasi religioso) deve essere raggiunta in ogni modo, non importa come, in un processo di innalzamento rispetto agli altri e di continuo, inebriante affinamento del gusto.

Tale visione edonistica è alla base di due caratteri intrecciati della produzione letteraria dannunziana, uno stilistico e uno ideologico. Sul piano della forma, d’Annunzio opta per soluzioni lessicali, sintattiche, retoriche che privilegiano i toni sostenuti e le modulazioni più solenni della lingua letteraria. La preziosità dello stile, la ricerca ridondante del sublime, l’uso costante dei classicismi accomunano la sua poesia e la sua prosa: anzi, si può dire che quest’ultima, in assenza di una ricca componente narrativa (i romanzi dannunziani hanno una trama assai esile e povera di fatti), abbia un grado molto alto di liricità e musicalità, sconfinando spesso nel verso vero e proprio grazie a un apparato ricchissimo di immagini liriche, metafore, sinestesie, ripetizioni, parallelismi ecc.
Sul piano ideologico, l’esteta è colui che assapora tutti i doni dell’esistenza, si tiene lontano dalla “massa volgare” (il «grigio diluvio democratico odierno» di cui parla nel Piacere) e da ogni impegno attivo, sociale e politico, per vivere in un mondo aristocratico, circondato dal lusso e dal superfluo e per «costruire la propria vita come un’opera d’arte».

L’esteta dannunziano, tuttavia, non è in grado di celebrare fino in fondo il proprio privilegio: la raffinatezza del suo mondo «tutto impregnato d’arte» non può, alla lunga, coprirne le debolezze e la sterilità. Svuotato di energia morale, privo di una robusta forza vitale, egli è destinato alla solitudine, alla sconfitta nel rapporto affettivo con le donne, alla paralisi dell’azione. Il suo bisogno di sensazioni intense ma fugaci rivela una sostanziale incapacità di adattamento al mondo: l’io finisce così per disgregarsi e perdere il proprio centro.
Non siamo ancora, evidentemente, alla coscienza della crisi dell’identità del soggetto, che permea le esperienze critiche più consapevoli della letteratura del primo Novecento; tuttavia, l’insoddisfazione e la malattia della volontà che destabilizzano lo Sperelli dannunziano e ne decretano il misero fallimento sembrano già anticipare i tratti caratteriali tipici della figura dell’inetto, incapace di vivere dentro i meccanismi della società moderna.

Al cuore della letteratura - volume 5
Al cuore della letteratura - volume 5
Il secondo Ottocento