Il secondo Ottocento – L'autore: Giovanni Pascoli

L’AUTORE NEL TEMPO

Le prime segnalazioni, articoli e recensioni che accompagnano le raccolte di Pascoli al loro apparire mostrano una critica da subito divisa in due campi contrapposti: quello dei “pascoliani” e quello degli “antipascoliani”. Tale spaccatura ha attraversato tutto il secolo scorso e permane per molti versi ancora oggi, con alcune questioni non del tutto risolte: Pascoli primo autore del Novecento o ultimo dell’Ottocento? Pascoli poeta delle piccole cose, delle umili myricae, o della retorica nazionalista e coloniale (sia pure di un nazionalismo e di un colonialismo con echi socialisteggianti)?

La condanna crociana
A svalutare con decisione l’opera di Pascoli ci pensa da subito Benedetto Croce, il quale, in un saggio del 1906, sostiene che «il meglio dell’arte del Pascoli è nella sua riduzione a frammenti, nel suo sciogliersi negli elementi costitutivi». Allo stesso tempo, però, proprio questo aspetto è all’origine di un limite, secondo Croce, assai grave: l’incapacità di costruire un’immagine unitaria e coerente del suo mondo poetico, che resta perciò frammentato e privo di armonia. Inoltre il critico confessa di provare un misto «di attrattiva e di repulsione» dinanzi ai versi pascoliani, in cui coglie «uno strano miscuglio di spontaneità e d’artifizio». Come per gli altri autori del Decadentismo, egli condanna i languori, gli abbandoni morbosi, quegli aspetti “malati” e corrotti che, a suo giudizio, sono le caratteristiche deteriori di un’intera epoca.

La fortuna scolastica
Tuttavia, al di là delle riserve dei critici, Pascoli ha avuto molto presto una fortuna immensa come poeta “per la scuola”. Il Pascoli “fanciullo” sensibile, un po’ lacrimoso, sembrava l’autore ideale per sussidiari e antologie: commovente e dai buoni, rassicuranti sentimenti. Nei suoi testi più famosi, generazioni di scolari italiani hanno scoperto per la prima volta la poesia. Il linguaggio sostenuto, le rime, un po’ di retorica: il Pascoli scolastico incarnava l’idea più elementare e immediata del “poetico”.

Un nuovo approccio critico
Nella seconda metà del Novecento però l’approccio dei lettori inizia a cambiare e la presunta facilità pascoliana si complica grazie a studi e analisi che mettono in luce gli aspetti più sofferti e problematici della sua produzione e della sua visione della vita. Nel 1955, in occasione del centenario della nascita, Gianfranco Contini tiene a San Mauro una conferenza (Il linguaggio di Pascoli, poi raccolta nel volume Varianti e altra linguistica, 1970) che – in polemica con il severo giudizio di Croce – sottolinea l’interesse e la novità degli aspetti linguistico-stilistici dell’opera di Pascoli, individuandone il perno nella tensione verso una “lingua morta” e sottolineandone le consonanze con la grande poesia europea. Insieme agli interventi di Pier Paolo Pasolini (Pascoli, 1955), a quelli di Alfredo Schiaffini (Forma e rivoluzione poetica di Giovanni Pascoli, 1955) e di Luciano Anceschi (Pascoli “verso” il Novecento, 1960), il saggio di Contini contribuisce a trasformare in modo decisivo l’immagine del poeta e del suo lavoro: comincia a farsi strada l’idea di un Pascoli “sperimentale”, innovativo, punto di riferimento essenziale per la poesia italiana del Novecento.

La posizione politica di Pascoli
Un altro filone di indagine degli studi pascoliani del secondo dopoguerra è inerente ai rapporti tra il poeta e la vita politica italiana del suo tempo. Si tratta di approfondimenti importanti, poiché l’atteggiamento politico di Pascoli, sebbene vissuto forse in maniera più istintiva che razionale, influenzò la sua produzione letteraria, i suoi temi, i suoi simboli. Sappiamo che la posizione politica pascoliana fu, di fatto, piuttosto contraddittoria: Pascoli era, insieme, socialista e nazionalista, internazionalista e patriota, umanitarista e fautore delle guerre coloniali.
In un saggio, ancora oggi fondamentale, pubblicato nel 1961, il critico Claudio Varese sonda proprio questo aspetto, studiando la formazione del pensiero politico del poeta romagnolo sullo sfondo delle tendenze culturali e ideologiche dell’epoca in cui è vissuto e ha operato: per lo studioso le intrinseche contraddizioni e gli scarsi risultati artistici della poesia pascoliana di ispirazione politica sono una testimonianza indiretta del fallimento della classe dirigente italiana di quegli anni.

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Le riserve del Gruppo 63
Intanto la poesia italiana sta vivendo una stagione di grande fermento, i cui aspetti più clamorosi sono rappresentati dalla Neoavanguardia (o Gruppo 63). Nel 1965, in occasione delle celebrazioni pascoliane, un intervento di Edoardo Sanguineti denuncia gli aspetti “piccolo-borghesi” della poetica pascoliana e ridimensiona la portata del suo contributo a quello di un testimone di un tempo che finisce, piuttosto che di un altro tempo che inizia. Sanguineti insiste sulla visione arretrata di Pascoli e parla di «ripiegamento nostalgico verso un mondo perduto», di «rifiuto della lingua moderna», di legame con una «cultura anticittadina», di ripulsa dell’industria e della vita urbana, di una “nostalgia” di mitologie antimoderniste e di una paura antitecnologica. In questa prospettiva, Pascoli rappresenta la mentalità ristretta e tendenzialmente reazionaria di un’Italietta piccolo-borghese.
La nuova immagine, proposta da Contini, Pasolini e altri, di un Pascoli “sperimentale”, padre del Novecento poetico italiano, non fa in tempo a delinearsi, che viene dunque smontata, ridimensionata, rifiutata.

La demistificazione psicanalitica
Alla “demistificazione” ideologica si affianca, a partire dagli anni Settanta, un parallelo “smascheramento” del poeta romagnolo sul piano psicologico. La critica psicanalitica comincia allora a parlare sempre più apertamente delle sue inibizioni e delle debolezze private: l’ossessione per il «nido», il rifiuto dell’eros, il morboso attaccamento alle sorelle vengono impietosamente indagati e interpretati.

Gli studi successivi
Gli anni Ottanta del Novecento vedono però una significativa riscoperta dell’opera di Pascoli, finalmente libera da giudizi ideologici troppo condizionanti.
L’episodio più rilevante in questo senso è forse il saggio di Giorgio Agamben (Pascoli e il pensiero della voce) che nel 1982 introduce una nuova edizione del Fanciullino. Riprendendo e sviluppando lo scritto di Contini di quasi trent’anni prima, Agamben dà della poesia pascoliana una lettura “nobilitante”, che mette da parte ogni preconcetto sociopolitico e psicologico, per sottolineare invece i ricchi spunti che essa fornisce a una riflessione sulla natura e sul ruolo della parola poetica. Dodici anni più tardi (1994), nell’introduzione significativamente intitolata Il sillogismo di Pascoli a una nuova edizione dei Pensieri e discorsi, lo studioso Rocco Ronchi mostra a sua volta un Pascoli inedito: un pensatore intento a meditare in modo ben poco convenzionale sul rapporto tra scienza e poesia, tra nichilismo e illusione.

Al cuore della letteratura - volume 5
Al cuore della letteratura - volume 5
Il secondo Ottocento