Ma il poeta non deve farlo apposta.
Il poeta è poeta, non oratore o predicatore, non filosofo, non istorico, non
65 maestro, non tribuno o demagogo,34 non uomo di stato o di corte. E nemmeno è,
sia con pace del Maestro, un artiere che foggi spada e scudi e vomeri;35 e nemmeno,
con pace di tanti altri, un artista che nielli36 e ceselli l’oro che altri gli porga. A
costituire il poeta vale infinitamente più il suo sentimento e la sua visione, che il
modo col quale agli altri trasmette l’uno e l’altra. Egli, anzi, quando li trasmette,
70 pur essendo in cospetto d’un pubblico, parla piuttosto tra sé, che a quello. Del
pubblico, non pare che si accorga. Parla forte (ma non tanto!) più per udir meglio
esso, che per farsi intendere da altrui. […]
Ora il poeta sarà invece un autore di provvidenze37 civili e sociali?
Senza accorgersene, se mai.
75 Si trova esso tra la folla; e vede passar le bandiere e sonar le trombe. Getta la sua
parola, la quale tutti gli altri, appena esso l’ha pronunziata, sentono che è quella
che avrebbero pronunziata loro.
Si trova ancora tra la folla: vede buttare in istrada le masserizie38 di una famiglia
povera. Ed esso dice la parola, che si trova subito piena delle lagrime di tutti.
80 Il poeta è colui che esprime la parola che tutti avevano sulle labbra e che nessuno
avrebbe detta. Ma non è lui che sale su una sedia o su un tavolo, ad arringare.
Egli non trascina, ma è trascinato; non persuade, ma è persuaso. […]
XIV.
[…] La poesia consiste nella visione d’un particolare inavvertito, fuori e dentro di noi.
Guardate i ragazzi quando si trastullano seri seri. Voi vedete che hanno sempre
85 alle mani cose trovate per terra, nella loro via, che interessano soltanto loro e che
perciò sol essi sembrano vedere: chioccioline, ossiccioli, sassetti. Il poeta fa il medesimo.
Ma come chiamare questi lapilli ideali, questi cervi volanti della sua anima?
Il nome loro non è fatto, o non è divulgato, o non è comune a tutta la nazione
o a tutte le classi del popolo. Pensate ai fiori e agli uccelli, che sono de’ fanciulli
90 la gioia più grande e consueta: che nome hanno? S’ha sempre a dire uccelli, sì di
quelli che fanno tottavì e sì di quelli che fanno crocro? Basta dir fiori o fioretti, e
aggiungere, magari, vermigli e gialli, e non far distinzione tra un greppo39 coperto
di margherite e un prato gremito di crochi?
Ora se vi provate a dire il nome proprio loro, ecco che il nome di Linneo40 non
95 va, per cento ragioni, e il nome popolare varia, quando c’è, da regione a regione,
anzi da contado a contado. Se il popolo italiano badasse a queste tali cose, fiori,
piante, uccelli, insetti, rettili, che formano per gran parte la poesia della campagna,
il nome che esse hanno in una terra, avrebbe finito per prevalere su quello dominante
in altre. Ma gl’italiani abbarbagliati per lo più dallo sfolgorio dell’elmo di
100 Scipio,41 non sogliono seguire i tremolii cangianti delle libellule.